Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, giugno 25, 2011

Bernstein, Mahler e il senso della catastrofe

Dalla fine degli anni Sessanta in avanti, l'opera di Gustav Mahler ha cominciato a occupare una posizione di prestigio nel canone della musica classica, in gran parte grazie alla promozione che ne fece Bernstein. Le sale da concerto affollate nelle città di tutto il mondo, i festival imponenti, l'aumento vertiginoso nel numero di incisioni, la quantità di biografie, discografie e analisi, alcune delle quali costituiscono a loro volta dei capolavori in più volumi, e poi i libri strenna illustrati, gli atti di convegni, le associazioni e i siti web a lui dedicati: tutto oggi indica l'importanza di Mahler.
Eppure il compositore non è sempre stato così riverito. [...] Di fatto, per decenni, la musica di Mahler ebbe un pubblico di estimatori piuttosto ristretto. Prima della guerra e fino al boom degli anni Sessanta, direttori d'orchestra del calibro di Mengelberg, Walter, Klemperer, Scherchen, Rodzinski, Rosbaud, Furtwängler e Mitropoulos avevano mantenuto viva la musica di Mahler. Sebbene tra il 1924 e il 1940 fossero state realizzate e messe in commercio solamente sedici incisioni delle opere di Mahler, negli anni Cinquanta ne furono prodotte, in media, cinque all'anno. Il numero crebbe con l'invenzione dell'LP nel 1958, che fece apparire le maestose sinfonie meno proibitive al vasto pubblico che si era senza dubbio sentito intimidito dai dieci o più 78 giri necessari per ascoltare una sola ora di musica.
I rapporti di Bernstein con le opere di Mahler risalivano al 1948, quando eseguì la Sinfonia n. 2, "Risurrezione" a Tanglewood. Per le celebrazioni del centenario mahleriano, che iniziarono nel 1960, diresse molte opere di Mahler e registrò per la Columbia (ora Sony) il primo ciclo completo di Mahler, terminando nel 1967. In quegli anni scesero in campo anche Bernard Haitink per la Philips, Rafael Kubelik per la Deutsche Grammophon e Georg Solti per la London, cosicché già nel 1972 gli acquirenti di dischi potevano scegliere tra quattro diversi cicli mahleriani in commercio. Nel frattempo, la media annuale complessiva di pubblicazioni destinate alla vendita salì a undici all'anno nel decennio 1960-70, con un picco di sedici tra il 1966 e il 1971. Bernstein continuò a dirigere Mahler con i Wiener Philharmoniker tra gli anni Settanta e gli Ottanta e in quel periodo registrò un secondo ciclo completo di sinfonie di Mahler su pellicola cinematografica per la Unitel e un terzo ciclo completo su CD per la Deutsche Grammophon. Non solo era il paladino di Mahler, ma la stessa figura di Mahler, morto nel 1911, sembrava rivestire un ruolo importante nella vita di Bernstein. A che cosa si può imputare il legame di Bernstein con Mahler? E come era composto il pubblico che sosteneva quel "Mahler boom" e che rispondeva a Bernstein incoraggiandolo a rimanerne il paladino?
Bernstein, al pari di Mahler, era ebreo, era un compositore e dirigeva sia la New York Philharmonic sia i Wiener Philharmoniker. Mahler morì nel 1911, sette anni prima della nascita di Bernstein, ma occupava un posto simbolico, se non addirittura mitico, nel cuore di Bernstein, considerando anche che quest'ultimo ricevette la bacchetta di direttore d'orchestra dal protégé di Mahler, Bruno Walter, il 14 novembre 1943. Ma vi erano altre ragioni che spiegavano una tale affinità, non solo con Bernstein ma anche con la sua generazione, e di certo con il pubblico delle opere di Mahler e con gli acquirenti delle sue registrazioni. Chi erano i nuovi consumatori di questa musica fino allora poco nota? Che cosa li spingeva a correre verso Mahler?
La tesi che sia stata l'invenzione dell'LP a rendere le opere di Mahler accessibili all'ascolto casalingo non è sufficiente a spiegare la loro ascesa dal quasi totale anonimato alla popolarità, e la loro capacità di riempire le sale da concerto di tutto il mondo. Di certo, la risposta deve trovarsi nel fascino che la musica esercitava sul suo pubblico. La musica di Mahler è in genere celebre per la giustapposizione di ciò che è elevato e di ciò che è popolare, del mistico e del banale; nelle sue note, marce implacabili si dissolvono in fantasticherie rapsodiche e surreali, dolci frasi liriche sono interrotte da episodi ironici, parodici e grotteschi. In Mahler, udiamo protratte sospensioni dolceamare che si dissolvono mentre un fragile violino continua per intere battute oppure mentre le linee di fiati vengono controbilanciate dallo scintillio di una celesta, di un'arpa o di un glockenspiel.
Questi effetti sono ben lontani dalle soluzioni consuete ai maestri precedenti. È in un simile contesto che il protagonista di "Der Abschied" dal Das Lied von der Erde scompare in una natura eterna che consuma e abbraccia ogni cosa, e allo stesso modo la musica sprofonda negli episodi onirici della Nona Sinfonia.
Chiunque ascolti il dramma di queste opere sperimenta qualcosa di emotivamente bruciante. Forse questa caratteristica è la chiave per comprendere il boom di Mahler: il pubblico che stava nascendo intorno alle sue opere alla fine degli anni Cinquanta e agli inizi del decennio successivo, e che sarebbe cresciuto negli anni a venire, trovava in questa musica l'espressione di preoccupazioni irrisolte o irrisolvibili per la distruzione di una civiltà e per un dolore e una pietà sconfinati, che non potevano trovare espressione nelle solide linee liriche e nelle soluzioni energiche e limpide delle forme sinfoniche tradizionali.
Gran parte del pubblico mahleriano degli anni Sessanta e dei primi Settanta era ben consapevole delle catastrofi derivate dalla presa di potere da parte dei nazisti in Europa. Alcuni avevano vissuto direttamente l'orrore del fascismo e della guerra; altri avevano combattuto; quelli che erano nati durante quel periodo non avevano combattuto, ma avevano vissuto il terrore o assistito al dispiegarsi di tali eventi. Tutti avevano sperimentato la catastrofe in un modo o nell'altro. Nei decenni successivi alla guerra, la loro sensibilità era sopraffatta dagli orrori del genocidio, oltre che dal maccartismo e dalla retorica della Guerra fredda. Vivevano e lavoravano all'interno di economie dominate da colossali blocchi di potere finanziario-industriale e burocratico-statale, in soluzioni spaziali dominate dalla suburbanizzazione, e in una sfera pubblica governata da una commercializzazione insaziabile. Non sorprende, dunque, che fossero tutti assorti in riflessioni esistenziali e freudiane sull'isolamento dell'individuo e sul malessere spirituale. Avevano bisogno di una musica che si esprimesse in prima persona singolare e si trovasse al di fuori dei discorsi ortodossi di affermazione e trionfalismo ideologico, patriottico e nazionalistico. Questa generazione cercava disperatamente di evitare di cadere nel cinismo, nel narcisismo e nel nichilismo. Aveva bisogno di collegarsi, o ricollegarsi, alle proprie radici nella cultura intellettuale, artistica e musicale dell'Europa prefascista e di esprimere solidarietà alle vittime delle catastrofi europee. Questa musica, pertanto, non poteva celebrare la vittoria alla maniera eroica di un Beethoven.
La musica di Mahler soddisfaceva questi requisiti di rappresentazione biografica ed epica non eroica. Innanzitutto, coloro che possiedono una conoscenza più che superficiale della vita e della musica di Mahler sanno bene in quale modo i suoi interessi letterari e intellettuali abbiano informato le prime sinfonie, e come il compositore abbia espresso la propria vita nelle sinfonie più tarde e in Das Lied von der Erde. In secondo luogo, poiché Mahler venne di fatto esiliato dai protofascisti antisemiti di Vienna, rendendo così la sua oppressione un presagio della catastrofe che avrebbe colpito gli ebrei europei, la sua musica può essere inserita in un discorso sul genocidio, l'assassinio di un popolo e della sua cultura. Terzo, nelle opere di Mahler gli sconvolgimenti massicci e improvvisi permettono alla musica di rappresentare l'immanenza del catastrofico nella vita del periodo, fornendo a quanto sembra un tropo adeguato per i decenni successivi alla seconda guerra mondiale, come suggerì Bernstein. Come disse quest'ultimo, l'epoca di Mahler era giunta. Non ci dobbiamo stupire, allora, dell'affinità di Bernstein con Mahler e della sua strenua difesa della musica del compositore austriaco.

Barry Seldes (da "Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano", Edt 2011)

3 commenti:

yellow ha detto...

Se non ci fosse l'Adagietto la vita sarebbe più triste.....

Alessandro Romanelli ha detto...

Questo scritto di Sheldes è decisamente interessante per cogliere il contesto storico in cui operò Mahler e l'influenza che esso determinò sulla sua Arte, soprattutto nell'ultimo intenso (quanto tragico) periodo della sua vita. Grazie per averlo riportato e per avermi invogliato ad acquistare il volume.

Alessandro Romanelli ha detto...

Ops...Seldes e non Sheldes: chiedo scusa per l'errore.