Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, giugno 11, 2011

Giacomo Manzoni: pensare musica oggi

Devo subito avanzare una critica che riguarda l'ascolto distratto e convenzionale della musica di repertorio. Sarei curioso di sapere quante delle persone che vanno alla Scala, alla Società del Quartetto, insomma a qualsiasi manifestazione musicale di routine, hanno l'intenzione di capire quello che ascoltano o sono più portati dalla curiosità verso tale o talaltro interprete o da elementi di mondanità, da convenienze veicolate dalla stampa o dalla televisione. Non ci sono segnali confortanti anche dove c'è un'attività musicale piuttosto ampia, mentre anche nella programmazione si preferiscono le cose note e stranote, dato che le istituzioni non muovono un dito per venire incontro a una diversa conoscenza della musica e si lasciano trascinare dall'andazzo generale, che dura purtroppo non da oggi.
In realtà la migliore musica che ci dà la storia è una musica piena di pensiero, di complessità, che richiede applicazione da parte di chi ascolta e che è frutto di un pensiero e di un'applicazione da parte del compositore. In queste condizioni di ascolto questi aspetti vengono del tutto trascurati, non percepiti. Bisognerebbe anche nei rapporti con la musica più nota, ripensarla da capo per capirne la struttura nel momento in cui si ascolta, per cercare di penetrarla nella sostanza profonda. C'è una grande quantità di musica che non viene assolutamente presa in considerazione. Se penso alla musica antica, del basso Medioevo e del Rinascimento, questa è completamente scomparsa, ma lo stesso vale per parte della produzione di Johann Sebastian Bach, perfino per un certo Beethoven, o per tutta la straordinaria produzione liederistica. Sono cose che per la complessità di pensiero vengono trascurate per favorire le poche predilette dagli esecutori, dal pubblico e dalle istituzioni.
Se pensiamo ad altri rami della cultura, come la letteratura e il cinema, vediamo che ci sono invece presenze editoriali e istituzionali che dimostrano un atteggiamento diverso. Gran parte della colpa di questa situazione nel settore musicale è proprio dei musicisti. E' in effetti significativo che in Italia non ci siano "gruppi di pressione" reali di musicisti: non esistono sindacati o associazioni di musicisti, soprattutto non esistono per quanto riguarda i compositori, che sono in un certo senso l'anello più debole della catena, non esistono gruppi che possano far sentire la loro voce alle istituzioni pubbliche, dal Comune allo Stato. Siamo un'armata Brancaleone in cui ognuno va allo sbando per conto suo. Le capacità associative sono scomparse in Italia ed è un fatto che voglio fortemente sottolineare, perché dovrebbe essere una cosa su cui riflettere per trovare sbocchi sensati. Non esiste più, o meglio esiste solo sulla carta, la benemerita Società Internazionale di Musica Contemporanea, un'associazìone presente in tutti i maggiori paesi di cultura occidentale. Un paio di anni fa ero in Giappone, e ospitato dalla sezione locale della Società ho saputo come pur essendo una piccola associazione essa ha una sovvenzione di quasi un miliardo all'anno, cifra che nell'ambito della musica contemporanea costituirebbe già un significativo punto di partenza da cui potrebbero nascere varie iniziative, una indispensabile attività promozionale. Anche la SIMC però in Italia è stata distrutta, quando invece negli anni '50 e '60 era una società dal peso notevole sul piano europeo. Insomma, i compositori si fanno male da sé, non riescono a mettersi insieme, non riescono ad avere un'idea comune, e questo può anche far capire come da parte del pubblico ci sia una risposta così fievole.
Uno degli aspetti fondamentali su cui porre l'accento sarebbe quello della scuola. Fino a qualche tempo fa mi risultava che una percentuale altissima delle ore di educazione musicale fosse dedicata al rock e ai cantautori, presentati come gli unici rappresentanti della musica del nostro tempo. Questa è una situazione contro cui occorre lottare per far capire che accanto a questi cosiddetti grandi musicisti c'è una produzione tradizionale e contemporanea su cui la società dovrebbe appuntare la propria attenzione. Non possiamo pensare che la musica sia finita nel nostro paese con Verdi o giù di lì: mentre sono certo che se si fa a un cittadino italiano di media cultura il nome, che so, di Dallapiccola o di Nono, ebbene questi sono per lui nomi del tutto sconosciuti.
Un altro elemento che vorrei toccare è quello della privatizzazione galoppante dell'attività musicale. A tal proposito vorrei raccontare un esempio personale che mi ha visto forse come prima vittima della privatizzazione, in tempi non sospetti. Nel 1990 avevo ricevuto una commissione dall'Orchestra Sinfonica di Parma per un nuovo lavoro. Questo doveva ormai andare in programmazione, quando mi telefona il presidente della società e mi dice che avendo dovuto ricorrere a finanziamenti privati, il mio lavoro era stato escluso dai programmi a favore di Verdi o Rossini: fortunatamente fu recuperato un paio di anni dopo. Il caso, eccezionale una decina di anni fa, andrebbe moltiplicato all'infinito in un momento in cui si va verso la privatizzazione generale dell'attività musicale. E questo può significare davvero la fine della musica, specie della musica di oggi.
Chi ha letto gli estratti del convegno avrà visto un punto che parla di musica contemporanea "impegnata", e chi mi conosce si sarà detto: 1l solito Manzoni, politicizzato, eccetera". Vorrei chiarire il concetto di impegno citando una intervista pubblicata recentemente: "oggi il tempo che è passato è servito a stemperare a far capire meglio il significato della parola "impegno", tanto abusata negli anni '60, '70 e ancora '80. E qui sono costretto a guardare indietro alla mia storia. Che cosa vedo? Vedo una persona che è stata dentro al Partito Comunista, fino a quando questo non ha mutato la sua natura, che ha scritto articoli e saggi su quotidiani e periodici di sinistra, dove ha strenuamente difeso la causa della musica di ricerca, che ha firmato appelli a favore di cause libertarie, comuniste e socialiste. Di tutto questo non si pente di sicuro, anche se sa che non è rimasto gran che. E vede anche un compositore che si è ispirato alle figure di Che Guevara, di Robespierre, alla condizione dell'uomo nell'era della morte atomica, ma che nello stesso tempo ha messo in musica Samuel Beckett, Friedrich Hölderlin, i versi sereni e strazianti di Bruno Maderna morente e così via. Questo per dire che non ha senso applicare etichette a chicchessia perché il sentire dell'uomo è troppo ricco, troppo vasto e troppo sfuggente perché ad esso vi si possa adattare. Infine perché proprio la musica per la sua natura proteiforme continuamente invita il compositore ad immaginare orizzonti nuovi, a evitare legacci e vincoli di qualsiasi tipo. A meno che non si voglia parlare dell'impegno nella totalità e nel rigore del proprio inventare musica. Ma questo dovrebbe essere il comandamento primo di ogni compositore che prenda sul serio il suo lavoro." Rimane per me, come è sempre stato, il fatto che musica impegnata significa soprattutto musica di ricerca, di scoperta di avanzamento, di critica.
Pensare la musica oggi, dal punto di vista dell'ascoltatore, significa che questo si deve porre in una situazione di ascolto non edonistico e non superficiale. Penso talvolta, nonostante siano passati diversi decenni, all'Introduzione alla sociologia della musica di Adorno, in cui c'è un capitolo dedicato alle diverse tipologie di ascoltatori, dal quale si evince che tra l'ascolto amusicale o indifferente e quello impegnato ci passano parecchi gradini. E quello che noi musicisti vorremmo è l'ascolto impegnato. attento, critico.
Dalla parte del compositore sottolineo un fatto preoccupante nella composizione di oggi, cioè la tendenza predominante non più al comporre, all'inventare, ma al rifacimento di musiche già note. E' vero, questo fenomeno è sempre esistito nella storia della musica, basti pensare alla produzione polifonica del '400 e '500. Ma oggi il gusto del rifacimento sembra un modo di evadere dalla responsabilità prima, che è quella dell'invenzione e dell'innovazione.
Ritengo che nonostante l'espulsione della musica di ricerca il compositore debba continuare a lavorare, non per la cosiddetta audience a tutti i costi, ma per sollecitare l'attenzione di quella parte del pubblico, sicuramente minoritaria, certo, che ritiene necessario un atteggiamento critico nei confronti della società di massa, generatrice di cattive masse. Il ruolo del musicista e dell'artista in generale è di far leva sul nucleo critico per esercitare l'intelligenza di chi ascolta, alla comprensione di qualcosa che può sembrare difficile, ma che deve essere capito. Il compositore non si può sottrarre al compito di inventare, di proporre, di provocare, non può rinunciare a affrontare determinati problemi e non deve cedere al ricatto del mercato. Altrimenti viene meno la funzione reale e profonda dell'artista in generale. Penso che sia un compito difficile per il compositore e per l'ascoltatore, ma sono anche convinto che nell'uomo esistono risorse di fantasia, di curiosità, di impegno appunto che lo rendono capace, approfondendo i repertori del passato, di non rinunciare all'invenzione del nuovo.

Giacomo Manzoni (da "Tèmenos", Auditorium, 2002)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Così Parlò Zarathustra"uno spettacolo per tutti e per nessuno"
http://www.youtube.com/user/LaChiaveNellaToppa?feature=mhee#p/u

www.lachiavenellatoppa.it

Anonimo ha detto...

Un bell'assolo di trombone per un compositore minore del novecento, cresciuto e rimasto all'ombra dei grandi innovatori (Stockhausen e Xenakis, per primi e poi Boulez, Maderna, Donatoni Berio, Nono).
Di egli resteranno famosi i finali di frase chiassosi del repertorio sinfonico (sempre, banalmente e ripetitivametne in crescendo), la pretesa di "nuovo" delle masse di cluster e multifonici a pallocchoni lunghi un quarto d'ora a riempore i pentagrammi e le povere recchie dell'ascoltatore. Complice di cio'l'illetterato Pestalozza, autore di ameni scritti con periodi di centocinquanta parole e sgrammaticature da essere bocciato in quinta elementare, si' da celebrare le masse (informi e ben destrutturate) anche in letteratura.

Florestano

Anonimo ha detto...

...e questi saccenti anonimi che criticano uno dei più bravi compositori dei nostri giorni chi sarebbero?...fuori nomi e cognomi, quando si critica in maniera così gratuita il lavoro di qualcun altro...voi cosa sapete fare? che titoli avete? i vostri brani dove sono?....
un po' di umiltà ogni tanto non guasterebbe...

M° Massimo Munari

Anonimo ha detto...

gli insulti gratuiti di certi commentatori sono certo spiacevoli e tristi. ma florestano non ha del tutto torto. ecco un articolo firmato, tagliente e satirico su giacomo manzoni e sul conformismo comunisticheggiante di quegli anni:

http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=38626