Reggio Emilia, "Rinaldo di Pierluigi Pizzi" |
Ottavio Dantone
a capo dell’Accademia Bizantina e un cast vocale di professionisti del canto
barocco ha conferito ulteriore valore alla seconda ripresa reggiana del Rinaldo
dopo quella del ’91 che era stata effettuata con un’orchestra di strumenti
moderni, e senza la cura filologica oggi imprescindibile nell’esecuzione di
questo tipo di repertorio.
La geniale
intuizione di Pizzi, caratterizzante questo storico allestimento, consiste nell’esibire
le macchinerie teatrali grazie ad uno
stuolo di mimi i quali, completamente mascherati di nero e mimetizzati col
fondale scuro, muovono piedistalli su
cui, statue immote, giganteggiano i singoli personaggi, lontani, irreali, solenni
e preziosi nei loro abiti e pennacchi strabilianti, resi vivi e credibili
unicamente dalla musica. Si appalesa in tal modo l’elemento sostanziale dell’opera
Barocca e del Rinaldo, in particolare, ovvero l’aria, momento statico
che racchiude un unico “affetto“ stereotipato (ira, trasporto amoroso, idillio,
pena) e in cui si convogliano virtuosismo vocale spinto all’estremo e volute strumentali che
ivi gareggiano con la voce. Il libretto di Aaron Hill tradotto da Giacomo Rossi,
tratto con molta libertà dalla Gerusalemme
liberata del Tasso, assai astutamente confeziona un prodotto che altro non
è che una modesta “scaletta” per il rivestimento musicale, giusto prodotto in
una Londra che si apriva proprio allora all’opera italiana e il cui pubblico, non
comprendendo una parola dell’idioma del belcanto, occorreva stupire con un canto
massimamente virtuosistico e una musica invadente e onnicomprensiva. E la
musica oltre a porsi in gara con la voce, si accolla il compito di essere mare,
tempesta, frastuono di battaglia, cinguettare di uccelli e stormire di fronde.
La regia, lo sfarzo di scene e costumi, esibiti quanto le macchinerei (vedi
gli strascichi che ondeggiano, mossi pure essi stessi dai mimi), la sorpresa,
la meraviglia sono perfettamente funzionali alla musica, assoluta protagonista.
E se il cast vocale nel complesso ha dato buona prova di sé, l’Orchestra dell’Accademia
Bizantina, diretta con slancio ed energia da Dantone, ha plasticamente invaso
la scena, avvolto i personaggi, evocato situazioni, mostrando finalmente il
peso che essa assume, fatto assolutamente nuovo e originale, rispetto alla
media degli autori italiani, in Händel. Dunque il cast vocale: accanto alle
punte di Almirena, Maria Grazia Schiavo; Armida, Roberta Invernizzi
e Goffredo, Krystian Adam, il protagonista eponimo, Delphine Galou, in sostituzione
della indisposta Marina De Liso, è apparsa non sempre a fuoco con la voce e priva
di quella veemenza e autorevolezza virtuosistica che il ruolo impone; di buon
impatto l’Argante di Riccardo Novaro; sbiadito il mago, Antonio Vincenzo
Serra. Completavano Lavinia Bini da fuori scena come voce di sirena e William Corrò.
Molti gli
applausi, non tanto a scena aperta, ma nel finale, come tributo a Pizzi,
senz’altro, accolto da una vera e propria ovazione,
tributata poi, anche a Dantone e agli interpreti più apprezzati e ancora ai mimi,
cui spetta un compito difficilissimo. Ma l’omaggio affettuoso a Pizzi portava
con sé il valore aggiunto del ricordo di una stagione straordinaria della vita
culturale della nostra città; stagione in cui curiosità verso mondi teatrali inesplorati,
apertura ad esperienze nuove, inventiva, lungimiranza, originalità segnavano il
progetto culturale nel suo complesso. Un progetto che nasceva a Reggio, qui si
sviluppava e definiva per essere se mai esportato; un progetto che non sempre
veniva accettato senza riserve, e, dato il carattere innovativo, non sempre andava
esente da critiche, ma che alla fine, alla resa dei conti e a fronte del
riscontro internazionale, trovava la via del consenso anche tra gli scettici.
Daniela Iotti (“Giornale di Reggio”, 1 maggio 2012)
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