Principe e assassino, polifonista sublime e geloso vendicatore. Amico del Tasso, paragonabile per grandezza a Monteverdi, discendente di una blasonata e ricca famiglia, nipote di San Carlo Borromeo, Carlo Gesualdo da Venosa, nobile napoletano, straziò a colpi di roncola, il 16 ottobre del 1590, la moglie bellissima, Maria d'Avalos, di cui era innamorato sin dall'età di quindici anni, e l'amante di lei Fabrizio Carafa. Un delitto dal quale venne subito assolto, ma che espierà nella vecchiaia fra misticismo e pene corporali. Oggi la sua musica viaggia per il mondo (e anche Stravinskij gli rese omaggio nella composizione Monumentum pro Gesualdo di Venosa) mentre la sua figura ha eccitato la memoria di molti scrittori.
Ora il principe napoletano torna a vivere nella musica del più conosciuto e prolifico compositore vivente russo, ma di chiara origine tedesca, Alfred Schnittke. La sua nuova opera, Gesualdo, va in scena venerdì 26 maggio alla Staatsoper di Vienna, con la regia dell'italiano Cesare Lievi. Sul podio il grande direttore e violoncellista russo Mstislav Rostropovich.
Non è raro che un compositore racconti in musica di un altro compositore. Viene subito da citare il Palestrina di Hans Pfitzner. «Ma a Schnittke interessava soprattutto raccontare in opera la vita drammatica di Gesualdo», precisa Rostropovich, che per questo suo grande ritorno ha accettato di rilasciarci un'intervista.
La musica di Schnittke, piena di rimandi, citazioni, abitualmente definita polistilistica, avrà un po' il sapore dello stile di Gesualdo?
«Sì, certo, nell'opera per esempio ci sono due madrigali scritti alla maniera di Gesualdo».
Di Schnittke lei ha già diretto molte volte un'altra opera, Vita con un idiota, su libretto dello scrittore Viktor Erofeev. E' per via dell'amore della musica contemporana o perché Schnittke è russo come lei?
«Amo la sua musica. Lo dirigerei anche se arrivasse dalla Papuasia. Sono convinto che è un grandissimo talento, uno dei massimi compositori contemporanei. Quello che fa è sempre molto inatteso. Non si può mai prevedere, quando compone, quale sarà il risultato. E poi, oltre ad essere un grande musicista, è anche mio amico».
Vi siete conosciuti in Russia, prima che lei fosse espulso?
«Quando vivevamo tutt'e due in Russia ci conoscevamo, ma non eravamo amici. Ci siamo avvicinati quando lui è venuto via dall'Unione Sovietica e io già mi trovavo in Occidente. La nostra amicizia mi ha portato molta felicità. Soltanto negli ultimi tempi ha scritto per me una massa enorme di composizioni: il Secondo Concerto per violoncello, la Seconda Sonata per violoncello, l'Improvvisazione per violoncello, il brano Nostalgia per violoncello e pianoforte, il Prologo per violoncello, pianoforte e strumenti elettronici, del balletto Peer Gynt, il Triplo Concerto, per violino, viola e violoncello. Poi mi ha dedicato la sua Sesta Sinfonia che ho diretto per la prima volta a Washington, e adesso sono felice di dirigere, qui a Vienna, la sua ultima opera».
Oltre a Schnittke, lei ha anche diretto altre nuove opere, fra gli ultimi esempi la Lolita di Shedrin a Stoccolma. Cos'è il suo: un impegno nella musica contemporanea?
«Sono tutti amici miei, anche Shedrin. Sono stato io a suggerirgli l'idea di scrivere un'opera su Lolita. Ha fatto una cosa straordinaria, che spero ascolteremo ancora».
Ha un futuro l'opera contemporanea?
«Senza dubbio. Certo alcune cose non sono ancora sufficientemente popolari. Ma pensiamo alla Lady Macbeth del distretto di Mzensk di Shostakovic, è musica sublime ed è eseguita con una certa frequenza. Ma c'è un'altra opera contemporanea di cui vorrei parlare. E' di una giovane compositrice americana, si chiama Augusta Reed-Thomas, un bel talento. Ha scritto un'opera contemporanea, su mio invito, intitolata Legia, ispirata a Edgar Allan Poe, vincitrice di un premio per opera da camera in Italia. L'ho diretta per la prima volta al mio festival di Evian in Francia».
Cinque anni fa, ai tempi di Gorbaciov, dopo un lungo esilio, lei ha fatto un ritorno trionfale in Russia. Oggi, nelle mutate condizioni politiche, lo farebbe ancora?
«Sono stato espulso dall'Unione Sovietica nel 1974, ma continuo a sentirmi russo. Lo sarò per tutta la vita. Per questo non ho preso nessun'altra nazionalità: sul passaporto risulto apolide. Anche adesso però non ho preso la nazionalità russa, perché voglio vedere cosa accadrà. Comunque sono molto ottimista. Sono convinto che le cose si metteranno per il verso giusto in Russia. Il mio intuito mi dice che tutto andrà bene».
Russi all'estero. Lei ha vissuto a lungo in America vedendo Brodskij, Aksionov, BarYshnikov e altri. Qualche cosa che ricorda la vita dei suoi compatrioti dell'Ottocento che scrivevano della Russia e vivevano a Roma, come Gogol, o a Parigi, come Turgenev?
«Assolutamente sì. Noi russi siamo il sale della terra e questo manifestarsi di buoni russi - ma attenzione solo di "buoni russi" -, in Occidente, arricchisce sia l'Ovest sia la Russia. Io sto all'estero ormai da 21 anni. Ho potuto fare molto di più per la cultura e il pensiero russo del mio Paese qui in Occidente di quanto avrei potuto fare in patria. Qui sono stato libero di fare tutto quello che volevo, per esempio eseguire tutta la musica russa che preferivo».
Lei ha più volte affermato di non essere uno snob della musica e di dirigere con altrettanto piacere i contemporanei quanto Verdi e Puccini.
«Certo quando dirigo Puccini mi vengono le lacrime agli occhi».
C'è una bella differenza fra Puccini e Schnittke.
«Il compositore deve avere un gusto molto preciso. Prokofiev, per esempio, amava molto Ciajkovskij, ma non apprezzava Mahler. Shostakovic, invece, amava Mahler, ma non Ciajkovskij. Benjamin Britten mi ha detto una volta di preferire Schubert a Beethoven. Il direttore d'orchestra, invece, deve amare tutta la musica che esegue».
La sua vita difficile e complessa meriterebbe di essere raccontata in un libro di memorie.
«Le scriverò certamente. Mia moglie, la cantante Galina Vishnevskaja, insiste perché lo scriva».
Sua moglie infatti ha scritto un libro di memorie, Galina, che ha fatto molto rumore.
«Però adesso non ho tempo. Ma soprattutto non voglio dire, ora, cose magari poco piacevoli di persone ancora in vita. Non voglio mettermi in lite con nessuno. Ma so che devo assolutamente scrivere, per esempio, quello che mi ha raccontato Prokofiev, o Shostakovic. E mi hanno detto veramente molte cose scottanti».
Per esempio?
«Ho promesso di tacere sino a quando non scriverò».
intervista di Sergio Trombetta ("La Stampa", 22 maggio 1995)
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