Artur Rodzinski (1892-1958) |
"Cerco di riprodurre con i miei mezzi le intenzioni del compositore, e quando questo accade, se accade, non sono in grado di dire il perché. Il segreto, e forse la sola cosa di cui mi accorgo, è che amo la musica con tutto il cuore".
Sono parole, piuttosto recenti, di Artur Rodzinski. Una risposta scaturita con quel tanto di ovvietà e di scappatoia che un'intervista comporta, nella inevitabile domanda sul "segreto" dell’arte e del successo d’un direttore. Ma sono parole che, ritrovate oggi - la scomparsa dl Rodzinski, immatura, e quasi ancora incredibile - nella loro spontanea immediatezza, riassumono da un lato la saggia umiltà ed il credo di questo artista, e tracciano dall’altro la sintesi di quello che deve e può essere la figura dell'interprete e del direttore d’orchestra, nei momenti e caratteri della sua realizzazione. Esse fanno afferrare, appunto, il "tipo" della meditata intelligenza, della sensibilità e dello stato d’anirno, infine della creazione sonora di questo grande direttore tanto profondo e prestigioso; così come ne motivano il diapason del successo.
La formazione e gli inizi della carriera. Polacco di famiglia (era però nato a Spalato in Dalmazia), destinato dal padre medico agli studi universitari, conseguì una laurea in legge ma in pari tempo riuscì a far vincere anche la propria decisa vocazione musicale, con la laurea in Musica dell'Accademia di Vienna. La fanciullezza in Polonia, l’adolescenza nell’atmosfera musicale e nello spirito della capitale austriaca, sottolinearono e svilupparono in Rodzinski quella tipologia latina dell’indole e della vivacità intellettuale, che sono state le caratteristiche dell’artista. Cosi come nacquero là la sua profonda fede, l’amore e il culto della liberta. Esordì come direttore al Teatro dell’Opera di Lwow, dedito dapprima alla lirica; ma ben presto passò al concerto, con l’Orchestra Filarmonica di Varsavia. E nel '25 la sua fama era diffusa in tutta l’Europa Centrale.
Il '25 fu l’anno, storico per la biografia di Rodzinski, del suo debutto negli Stati Uniti, chiamatovi da Stokowski. Inizia cosi quel lungo periodo americano, acceso di avvenimenti, di movimenti, di successi tipo "star", nel teatro lirico e nel concerto, in tournées come nelle grandi tappe delle sue direzioni stabili: Filadelfia dapprirna, quindi nel '29 Los Angeles (quella famosa Orchestra Filarmonica volle "catturare" questo direttore), Cleveland nel ’33 fino al ’43, quindi New York a capo della Philharmonic Symphony Orchestra non solo, rna anche ad organizzare l’Orchestra della NBC su richiesta di Toscanini; infine Chicago. Qualche stralcio dei giudizi americani: "Libero gioco della fantasia e una maestria musicale che rasenta il genio"; "modo di dirigere spirituale e dinamico"; "un maestro capace di spremere fino l’ultima goccia di energia costruttiva dai singoli componenti l’orchestra"; "il più drammatico dei direttori d’orchestra"; "costruttore di musica"; "mastro-muratore di orchestre, di prim'ordine" (V. Thomson).
E pure smorzando questi tripudi giornalistici, vi si estrae la vera forza di Rodzinski, che è quella dell’estrema cura sonora, dell’esaltare ed equilibrare i singoli settori e timbri nella massa, per l’illuminazione dell’opera nel suo intero arco attraverso l’esatta misura della pagina e della partitura. Si può richiamare così la fortunata frase di Berlioz "jouer de l’orchestre", poiché sotto le mani di Rodzinski l’orchestra e proprio come un’enorme tastiera.
Fare confronti? riferimenti ad altre grandi arti direttoriali? E' sempre fuori luogo. Eppure si può cogliere in Artur Rodzinski il continuarsi di una tradizione di alti nomi, per questo o quel verso. La minuzia analitica, il vigile controllo e il "lavoro di lima" di von Bulow, così come l’affascinante "colore" di Nikisch; la plastica scansione di Toscanini; l’ala di Furtwangler, pur nell’estetica di "non dover violentare l’opera d’arte"; l’umanistica bontà e il senso di verità di Walter.
Il repertorio, le predilezioni e le "missioni" dell’artista. Un giusto eclettismo, si potrebbe dire a prima vista: che era vastità di vedute e preoccupazione del nuovo; e sempre nel freno d’un gusto fondato, nella conformazione dei programmi. In Beethoven e in Brahms trovava il terreno per dominare le complesse costruzioni, culminando nella eccelsa espansività della Nona. Amava e "soffriva" Wagner, dal Tannhauser al Parsifal, dal Vascello al Tristano (opera che appare veramente "fatale" nelle vicende della vita di Rodzinski, nel segnargli trionfi e sofferenze e malattie: e fu l’ultima esecuzione della sua vita, ora a Boston). Il suo amore per Strauss era invece quello d’un adolescente innamorato, specie nel Rosenkavalier dal guizzante e patetico spirito viennese: e non solo per Richard Strauss, ma anche per il viennesissimo Johann. Il culto della razza e del temperamento era per gli autori slavi: in tutto questo repertorio, emergono come realizzazioni storiche e peculiari di Rodzinski il Boris e la Khovanscina, la Dama di picche di Ciaikovskij, il Sacre stravinskiano, Guerra e pace di Prokofiev. Molto egli operò anche per il lancio di novità russe in America (le Sinfonie e la Lady Macbeth di Mzensk di Sciostakovic), come pure per i contemporanei americani, da Barber a Gershwin. Ed una nutrita produzione discografica lascia il documento non labile di quest’arte direttoriale. Detto addio nel ’48 ad ogni posizione "stabile", Rodzinski fece poi libere tournées nelle due Americhe, tornò in Europa, amò risiedere in Italia (a Roma intendeva ora sistemarsi, dopo una liquidazione americana, e dopo una visita - non potuta attuare - nella sua Polonia).
In quest’ultimo periodo abbiamo conosciuto Artur Rodzinski, avvicinandolo anche nella paziente ed accesa costruzione di alcune sue fatiche musicali. Amiamo perciò rievocare cosi il caro e grande Maestro, con una ammirazione ed una commozione che ce ne rendono difficile e insieme prezioso il compito. Un maestro tranquillo dopo i suoi giorni tutti di battaglia, in una pace "di casa" che però cercava il rinnovarsi delle battaglie e in esse ritrovava intatto l'aggressivo giovanilismo. Vezzeggiato dai familiari amatissimi e dagli amici, tra le sue partiture indagate e nutrite nell’alone silenzioso d’una lampada al leggio, con la sua pacatezza e le impennate di pungente humour, i suoi hobbies, i suoi mali ora verissimi ed ora anche essi amabili hobbies. Una testa un po’ leonina, e tanto buona. Lo sguardo sapiente, ironico, dolce. Il preciso discorrere d’arte e di cultura. E poi il passare all’azione musicale, la figura del direttore. Un po’ curvo perché così alto, tutto dentro la musica. Un gesto minimo, a volte improvvisamente squassante, subito rientrato nella proporzione. Esaurita la pagina e la tensione espressiva, Egli era non esausto come appariva, ma non altro che completamente remissivo di fronte a quel suo "amore per la musica" che, forse solo quello, lo ha fatto definitivamente ammalare. E di tale amore, pur nel cordoglio, diamo a Rodzinski alto ringraziamento.
Sono parole, piuttosto recenti, di Artur Rodzinski. Una risposta scaturita con quel tanto di ovvietà e di scappatoia che un'intervista comporta, nella inevitabile domanda sul "segreto" dell’arte e del successo d’un direttore. Ma sono parole che, ritrovate oggi - la scomparsa dl Rodzinski, immatura, e quasi ancora incredibile - nella loro spontanea immediatezza, riassumono da un lato la saggia umiltà ed il credo di questo artista, e tracciano dall’altro la sintesi di quello che deve e può essere la figura dell'interprete e del direttore d’orchestra, nei momenti e caratteri della sua realizzazione. Esse fanno afferrare, appunto, il "tipo" della meditata intelligenza, della sensibilità e dello stato d’anirno, infine della creazione sonora di questo grande direttore tanto profondo e prestigioso; così come ne motivano il diapason del successo.
La formazione e gli inizi della carriera. Polacco di famiglia (era però nato a Spalato in Dalmazia), destinato dal padre medico agli studi universitari, conseguì una laurea in legge ma in pari tempo riuscì a far vincere anche la propria decisa vocazione musicale, con la laurea in Musica dell'Accademia di Vienna. La fanciullezza in Polonia, l’adolescenza nell’atmosfera musicale e nello spirito della capitale austriaca, sottolinearono e svilupparono in Rodzinski quella tipologia latina dell’indole e della vivacità intellettuale, che sono state le caratteristiche dell’artista. Cosi come nacquero là la sua profonda fede, l’amore e il culto della liberta. Esordì come direttore al Teatro dell’Opera di Lwow, dedito dapprima alla lirica; ma ben presto passò al concerto, con l’Orchestra Filarmonica di Varsavia. E nel '25 la sua fama era diffusa in tutta l’Europa Centrale.
Il '25 fu l’anno, storico per la biografia di Rodzinski, del suo debutto negli Stati Uniti, chiamatovi da Stokowski. Inizia cosi quel lungo periodo americano, acceso di avvenimenti, di movimenti, di successi tipo "star", nel teatro lirico e nel concerto, in tournées come nelle grandi tappe delle sue direzioni stabili: Filadelfia dapprirna, quindi nel '29 Los Angeles (quella famosa Orchestra Filarmonica volle "catturare" questo direttore), Cleveland nel ’33 fino al ’43, quindi New York a capo della Philharmonic Symphony Orchestra non solo, rna anche ad organizzare l’Orchestra della NBC su richiesta di Toscanini; infine Chicago. Qualche stralcio dei giudizi americani: "Libero gioco della fantasia e una maestria musicale che rasenta il genio"; "modo di dirigere spirituale e dinamico"; "un maestro capace di spremere fino l’ultima goccia di energia costruttiva dai singoli componenti l’orchestra"; "il più drammatico dei direttori d’orchestra"; "costruttore di musica"; "mastro-muratore di orchestre, di prim'ordine" (V. Thomson).
E pure smorzando questi tripudi giornalistici, vi si estrae la vera forza di Rodzinski, che è quella dell’estrema cura sonora, dell’esaltare ed equilibrare i singoli settori e timbri nella massa, per l’illuminazione dell’opera nel suo intero arco attraverso l’esatta misura della pagina e della partitura. Si può richiamare così la fortunata frase di Berlioz "jouer de l’orchestre", poiché sotto le mani di Rodzinski l’orchestra e proprio come un’enorme tastiera.
Fare confronti? riferimenti ad altre grandi arti direttoriali? E' sempre fuori luogo. Eppure si può cogliere in Artur Rodzinski il continuarsi di una tradizione di alti nomi, per questo o quel verso. La minuzia analitica, il vigile controllo e il "lavoro di lima" di von Bulow, così come l’affascinante "colore" di Nikisch; la plastica scansione di Toscanini; l’ala di Furtwangler, pur nell’estetica di "non dover violentare l’opera d’arte"; l’umanistica bontà e il senso di verità di Walter.
Il repertorio, le predilezioni e le "missioni" dell’artista. Un giusto eclettismo, si potrebbe dire a prima vista: che era vastità di vedute e preoccupazione del nuovo; e sempre nel freno d’un gusto fondato, nella conformazione dei programmi. In Beethoven e in Brahms trovava il terreno per dominare le complesse costruzioni, culminando nella eccelsa espansività della Nona. Amava e "soffriva" Wagner, dal Tannhauser al Parsifal, dal Vascello al Tristano (opera che appare veramente "fatale" nelle vicende della vita di Rodzinski, nel segnargli trionfi e sofferenze e malattie: e fu l’ultima esecuzione della sua vita, ora a Boston). Il suo amore per Strauss era invece quello d’un adolescente innamorato, specie nel Rosenkavalier dal guizzante e patetico spirito viennese: e non solo per Richard Strauss, ma anche per il viennesissimo Johann. Il culto della razza e del temperamento era per gli autori slavi: in tutto questo repertorio, emergono come realizzazioni storiche e peculiari di Rodzinski il Boris e la Khovanscina, la Dama di picche di Ciaikovskij, il Sacre stravinskiano, Guerra e pace di Prokofiev. Molto egli operò anche per il lancio di novità russe in America (le Sinfonie e la Lady Macbeth di Mzensk di Sciostakovic), come pure per i contemporanei americani, da Barber a Gershwin. Ed una nutrita produzione discografica lascia il documento non labile di quest’arte direttoriale. Detto addio nel ’48 ad ogni posizione "stabile", Rodzinski fece poi libere tournées nelle due Americhe, tornò in Europa, amò risiedere in Italia (a Roma intendeva ora sistemarsi, dopo una liquidazione americana, e dopo una visita - non potuta attuare - nella sua Polonia).
In quest’ultimo periodo abbiamo conosciuto Artur Rodzinski, avvicinandolo anche nella paziente ed accesa costruzione di alcune sue fatiche musicali. Amiamo perciò rievocare cosi il caro e grande Maestro, con una ammirazione ed una commozione che ce ne rendono difficile e insieme prezioso il compito. Un maestro tranquillo dopo i suoi giorni tutti di battaglia, in una pace "di casa" che però cercava il rinnovarsi delle battaglie e in esse ritrovava intatto l'aggressivo giovanilismo. Vezzeggiato dai familiari amatissimi e dagli amici, tra le sue partiture indagate e nutrite nell’alone silenzioso d’una lampada al leggio, con la sua pacatezza e le impennate di pungente humour, i suoi hobbies, i suoi mali ora verissimi ed ora anche essi amabili hobbies. Una testa un po’ leonina, e tanto buona. Lo sguardo sapiente, ironico, dolce. Il preciso discorrere d’arte e di cultura. E poi il passare all’azione musicale, la figura del direttore. Un po’ curvo perché così alto, tutto dentro la musica. Un gesto minimo, a volte improvvisamente squassante, subito rientrato nella proporzione. Esaurita la pagina e la tensione espressiva, Egli era non esausto come appariva, ma non altro che completamente remissivo di fronte a quel suo "amore per la musica" che, forse solo quello, lo ha fatto definitivamente ammalare. E di tale amore, pur nel cordoglio, diamo a Rodzinski alto ringraziamento.
di A. M. Bonisconti ("L'Approdo Musicale", n.4, Anno I, Ottobre/Dicembre 1958)
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