Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, ottobre 06, 2013

Benedetti Michelangeli e Giulini al Conservatorio

Arturo Benedetti Michelangeli
(1920-1995)
Serata laboriosa per Benedetti Michelangeli, quella di ieri sera, e non riposante per un direttore, qual'è il Giulini, che non si limiti ad accompagnare il solista, ma, concorde con lui, miri alla unità e all'equilibrio delle composizioni. Due delle quali erano d'altissimo valore e di somma importanza, il Concerto in do magg., del dicembre 1786, di Mozart e il Quinto, detto "dell'Imperatore", di Beethoven.
Di somma importanza, s'è detto. E tale è infatti la numerosa raccolta di risorse inventive e tecniche che Mozart sparse in quell'opera. Nel momento decisivo per la più eletta funzione del solista in rapporto all'orchestra, per la integrazione del Concerto, non più edonistico ed esibizionistico, nella Sinfonia, collettività strumentale rispondente al più intenso ideale drammatico, Mozart compiva la sua prodigiosa evoluzione nel campo appunto del Concerto, cui aveva tanto contribuito come creatore e come pianista. Nel richiedere al concertista una bravura, che soltanto i migliori discepoli di Clementi avrebbero allora saputo mostrare, egli ne limitava l'appariscenza, inserendo la voce del pianoforte nella fitta trama sonora, togliendo al solista alcune tradizionali prerogative, iniziare il discorso, primeggiare sovente. E dunque più badava alla severa struttura e, naturalmente, all'espressione dei propri sentimenti.
Una delle note preclare al tempo del Don Giovanni, la maggior vigoria e tensione drammatica, e l'altra, perenne, la delicatezza sostenuta, nobilissima, risuonano infatti nella composizione, tanto contrappuntistica quanto aerosa. Quell'insistente ritorno nell'Allegro maestoso della cellula ritmica, che al De Saint-Foix sembra "decisamente fatidica" e che nella mirabile misura aristocratica di Mozart realmente rappresenta uno stato d'animo, si direbbe, ossessivo, è pari in bellezza alla speciale cantabilità dell'Andante, che, non espanso come in una toccante lirica, sembra racchiuso in sè, o desideroso di non comuni associazioni di timbri diversi.
Quali siano poi il valore e l'importanza del Quinto Concerto di Beethoven non occorre neppur accennare, tanto esso è noto. L'interpretazione di Benedetti Michelangeli parve un po' gracile; in qualche punto avrebbe dovuto balzare più veemente, gagliarda, anche più poderosa nella sonorità. Aveva toccato Invece Mozart con piena adesione allo spirito e alla tecnica. E ancora una volta fu notato come alla soavità costante del suo giuoco giovanile, costante e perciò alquanto generica, succeda il vario accentarsi di uno e di un altro sentimento. E ancora egli riuscì mirabilmente nel fraseggio articolato, nella particolare vibrazione delle note essenziali, nella diversa luminosità del trillo, nelle sfumature dei gruppetti. Il successo suo e quello del Giulini fu assai caloroso.
Il Concerto del maestro Mario Peragallo, che alterna episodi promettenti un dramma e relativo svolgimento e subito deludenti, con altri banali e altri vacui, raccolse tepidi applausi e qualche contrasto. (Molto uditori si domandavano perché Benedetti Michelangeli perseveri nel portare in giro questo Concerto, egli che pratica i grandi artisti ed esclude quasi del tutto musiche d'altri contemporanei, siano pari a questa o superiori).

Andrea Della Corte ("La Stampa", sabato 12 maggio 1951)

1 commento:

Stefano Villa ha detto...

un grandissimo pianista!
un ottimo esempio per i piansiti contemporanei.
Stefano