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Gustav Mahler fu acclamato finché era in vita soprattutto come un importante direttore d’orchestra; come artista creativo al contrario non ebbe vita facile. La sua musica fu a mala pena presa in considerazione dal grande pubblico e rimase limitata a poche esecuzioni, scontrandosi quindi per lo più con l'incomprensione o con un'aperta ostilità. Solamente una piccola schiera di "giovani" reagì sin d’allora con entusiasmo e riconobbe in lui quel compositore di levatura eccezionale che oggi viene universalmente ammirato. Il riconoscimento è iniziato in realtà solo piuttosto tardi, vale a dire nei primi anni Settanta; da allora l’opera di Mahler è divenuta in tutto il mondo una parte irrinunciabile dcl repertorio sinfonico. Le sue celebri parole: “La mia epoca deve ancora venire", si sono quindi avverate interamente.
Chi cerca di spiegarsi la ragione di questa scoperta tardiva di Mahler, troverà diverse spiegazioni che, per quanto divergenti nei dettagli, costituiscono un concorso di cause che si integrano a vicenda. Prima di tutto, a partire già dagli anni Sessanta, si può constatare una generica affinità con l’epoca della fine del secolo scorso: le correnti artistiche della fin de siécle e dello stile liberty furono considerate allora per la prima volta, dopo una svalutazione durata decenni, come dei risultati artistici autonomi. ln tal modo si posero sostanzialmente le basi per la rinascita di Mahler, infatti la sua musica rappresenta più di ogni altra l'espressione profonda di quell‘epoca che non solo esteriormente, ma anche nei suoi contenuti, si colloca “a cavallo tra i due secoli”: il vecchio e il nuovo, l'"ancora" e il "già", l’ultimo apice del Romanticismo e l’inizio della modernità si intersecano strettamente in questo periodo.
Pertanto quando la nostra epoca, che ama definirsi secondo un termine popolare come "postmoderna”, cerca i modelli spirituali e stilistici delle sue tendenze pluralistiche, non può non rinvenirli in Mahler più che altrove: non solo nel senso di una superficiale nostalgia del passato, ma anche per quanto riguarda gli aspetti contenutistici. Proprio infatti quelle qualità della musica di Mahler, che prima venivano spesso osteggiate o addirittura irrise - la sua mancanza di omogeneità stilistica, la pluralità di piani e la sua frammentazione - fanno l’effetto come di un'anticipazione della condizione esistenziale odierna: non si tratta infatti di fingere un mondo di sanità, ma di esplicitare le contraddizioni del sentire, le angosce e le speranze, le catastrofi e le visioni di redenzione. E' questo ciò che rende Mahler attuale.
Ma le sue parole profetiche si sono avverate anche in un senso completamente differente, poiché infatti alla capacità interiore di intendere la sua musica si sono aggiunti anche i presupposti oggettivi per una ricezione adeguata: infatti solo grazie ai moderni procedimenti tecnici la sua musica poté essere riprodotta nella sua totale differenziazione acustica, cosi come aveva auspicato lo stesso Mahler. Grazie alla tecnica stereofonica e del missaggio graduate dei suoni è possibile realizzare fedelmente le indicazioni assai complesse delle sue partiture, spesso con risultati ancora migliori di quanto sia possibile fare durante una esecuzione dal vivo. Ciò vale sia per la sfera della dinamica e delle sfumature strumentali, che per i particolari effetti spaziali, dei quali la musica di Mahler è quanto mai ricca, Già nella sua prima grande composizione, Das klagende Lied, è prevista infatti un'"orchestra in eco”. Mahler segue con ciò non solo dei modelli corrispondenti, come ad esempio nella musica di Berlioz, ma al di là di ciò trasferisce nella musica sinfonica le esperienze acquisite durante la sua attività di direttore di un’orchestra operistica. Qui le differenze tra suono vicino e lontano non si riferiscono solamente a delle distanze stabilite, ma producono dei rapporti prospettici e acustici, come ad esempio nel caso di un pianissimo suonato da vicino e un forte suonato in lontananza. Tali relazioni sono parte integrante della drammaturgia compositiva di Mahler, della sua "arte scenica musicale".
Perché in effetti Mahler "non era solamente un grande compositore di sinfonie, ma anche uno dei drammaturghi più efficaci degli ultimi cento anni. Ciascuna delle sue sinfonie si comporta come un’opera. Non conosco nessun altro compositore che abbia una sensibilità paragonabile per come si debba iniziare un movimento (si può addirittura vedere il sipario che si alza) e per come si debba concluderlo, o some si debba ripartire shock dopo shock, un effetto contrastante dopo un momento culminante o una fase di riposo. Non conosco inoltre nessun compositore che sapesse sfruttare in modo così virtuosistico e ricco di effetto le possibilità drammatiche dell’ambiguità". Queste parole sono di Leonard Bernstein; con esse si potrebbe chiamare in causa nuovamente un altro fattore decisivo della vasta influenza di Mahler: i suoi grandi interpreti. I veri direttori mahleriani (non ce ne sono molti di tal fatta) infatti non solo devono saper condurre l’orchestra in maniera eccellente ed essere dei "registi del suono", ma devono anche saper comunicare il pensiero e l'alto messaggio etico della musica di Mahler. Ciò presuppone una disponibilità spirituale all'identificazione che è tutt'altro che scontata, un essere arsi dal fuoco del sentimento mahleriano. Dopo la generazione che apparteneva ancora direttamente alla cerchia dei giovani mahleriani (come Bruno Walter e Otto Klemperer), proprio Bernstein ha svolto un ruolo decisivo in questa direzione.
La Sesta Sinfonia di Mahler fu composta durante le “ferie di composizione” nell’estate del 1903/04 e fu eseguita per la prima volta il 27 maggio 1906 ad Essen, durante il Festival della Società pantedesca dei musicisti. Mahler stesso la definì la sua Sinfonia Tragica, a causa del ruolo svolto in essa da motivi di natura strettamente personale e familiare. Di ciò riferisce la moglie Alma nel suo libro di “Ricordi": “Dopo aver progettato il primo movimento, Mahler era ritornato giù dal bosco e aveva detto: "Ho cercato di ritrarti in un tema, non so se mi e riuscito. Dovrai sforzarti di sopportarlo". Si tratta del grande tema pieno di slancio del primo movimento della Sesta sinfonia. Nel terzo movimento egli raffigura il gioco disordinato delle due bambinette che corrono barcollando sulla sabbia. E' orribile, queste voci infantili divengono sempre più tragiche e alla fine si sente piagnucolare una vocina che si va spegnendo, Nell’ultimo movimento Mahler descrive se stesso e il suo tramonto o, come ebbe a dire in seguito, quello del suo eroe. "L’eroe, che riceve tre colpi dal destino, il terzo dei quali lo abbatte, come un albero" [...] Nessun’altra opera gli è sgorgata così dal cuore come questa. Piangemmo allora entrambi. A tal punto sentivamo profondamente questa musica e i presagi che essa tradiva, La Sesta sinfonia è la sua opera più personale in assoluto e oltre tutto un’opera profetica [...]." Così si ricorda Alma Mahler. Il carattere profetico di questa musica doveva avverarsi in maniera insolita nel 1907, per via di alcuni intrighi, Mahler fu costretto a rassegnare le dimissioni dall'incarico di direttore dell'Opera di Vienna, i coniugi perdettero una delle due figliolette e a Mahler venne diagnosticata una grave malattia cardiaca; tutti questi fatti apparvero allora come i "tre colpi del destino". In che misura il compositore stesso prendesse sul serio questo riferimento autobiografico è testimoniato dal fatto che egli cancellò l’ultimo dei tre colpi di martello del finale, come per scongiurare in tal mode la sua stessa fine.
E' abbastanza sorprendente il fatto che questa composizione, che dal punto di vista di Mahler rappresentava la fusione più stretta di "arte e vita", costituisca allo stesso tempo una testimonianza epocale della "musica assoluta". Ciò si mostra non solo nel fatto che essa segue la struttura formate tradizionale in quattro movimenti (sebbene Mahler per un po’ di tempo abbia invertito i due movimenti centrali, ripristinando poi nuovamente 1'ordine Scherzo/Andante), ma si vede in misura ancora maggiore nel linguaggio musicale stesso. Questo fa l'effetto come di un compendio di tutto quanto e stato scritto da Mahler fino a questo punto; già nel 1904 - quand’era ancora nel mezzo del lavoro - egli aveva ammesso: “La mia Sesta sinfonia porrà dei quesiti, ai quali potrà osare di avvicinarsi solo una generazione che avrà assimilato e digerito le mie prime cinque". La ricchezza dell’invenzione motivica e della strumentazione, le numerose innovazioni armoniche, il rigoroso lavoro tematico c i nessi compositivi, che vanno al di là dei singoli movimenti, fanno apparire questa partitura, particolarmente agli occhi di coloro che non sono affatto a conoscenza del carattere soggettivo del suo contenuto, come una fonte inesauribile di musica assoluta. Nessuno fu così consapevole di questo fatto come Alban Berg, il quale durante la composizione dei suoi Tre pezzi per orchestra, op, 6 (1914) scrisse all’amico Anton Webern: "Ma che cosa significa tutto questo gran comporre, quando il giorno dopo si ascolta la Sesta sinfonia (non c’è bisogno che io dica di chi e, vi è al mondo infatti solo una Sesta, nonostante la Pastorale)? Ti dico - o forse non c’è in realtà bisogno neppure che te lo dica - che non si finisce mai di sviscerare completamente questa composizione, non la si comprende mai del tutto [...]".
La Sesta sinfonia non era ancora completata del tutto e Mahler stava ancora finendo di scrivere la versione definitiva della partitura, quando egli iniziò a lavorare già alle due sinfonie seguenti; pochi mesi dopo la prima esecuzione della Sesta, nell'agosto del l906, Mahler comunicava al direttore d’orchestra olandese Willem Mengelberg, di cui era amico: "Ho appena finito di scrivere la mia Ottava sinfonia - si tratta della cosa più grande che io abbia fatto finora. E' inoltre così originale nella forma e nel contenuto, che non è possibile scrivere nulla al riguardo, - Lei si immagini che l’universo prenda a risuonare e a emettere del suoni. Non sono più voci umane, ma pianeti e soli che gravitano in circolo". Già da queste allusioni è possibile riconoscere il livello particolare di questa composizione, "la cosa più grande" non solo dal punto di vista esteriore, ma anche da quello delle aspettative interiori: che questa sinfonia non rappresenti cioè unicamente una musica autonoma, ma sia oltre ciò espressione di un pensiero filosofico e teologico, una mistica ricerca dei fini ultimi. La vecchia concezione del XIX secolo, secondo la quale l’arte e la religione hanno delle radici comuni e possono entrambe svilupparsi in una comune unità, dove trovano espressione contemporaneamente l’umano e il divino, la nostalgia e la rivelazione, viene trasferita in questa composizione in maniera affatto particolare.
Mahler stesso si è espresso in modo assai esauriente al riguardo: "Non ho mai scritto nulla di simile, è qualcosa di completamente differente: nello stile e nel contenuto da tutte le altre mie opere [...]. Inoltre non ho mai lavorato forse sotto una tale costrizione interiore; è stata come una visione fulminea - tutto si è trovato immediatamente davanti ai miei occhi e io ho dovuto solamente scriverlo sulla carta, così, come se mi fosse stato dettato [...]. Questa Ottava sinfonia è già curiosa per il semplice fatto di riunire due poesie in due lingue differenti; la prima parte e un inno latino, la seconda niente di meno che la scena finale della seconda parte del "Faust". Lei si meraviglia? Comporre questa scena dell’Anacoreta e il finale del "Mater gloriosa" [...] era già da molto tempo un mio ardente desiderio; solo che ora non ci avevo più pensato affatto. Recentemente mi è capitato casualmente tra le mani un vecchio libro e l'ho aperto sull’inno Veni, creator spiritus: come un`illuminazione, improvvisamente ho avuto dinnanzi a me non solo il primo tema, ma l'intero primo movimento, e come sua risposta non avrei potuto trovare assolutamente niente di più bello che le parole di Goethe nella scena dell'Anacoreta! Anche dal punto di vista della forma si tratta di qualcosa di affatto nuovo: Lei riesce a immaginarsi una sinfonia che viene cantata interamente, dall’inizio alla fine? Finora ho sempre impiegato la parola e la voce umana solo in maniera esplicativa, per abbreviare, come un fattore per determinare uno stato d'animo e per dire con quella stringatezza e precisione che solo le parole permettono ciò che, con mezzi puramente sinfonici, si sarebbe potuto esprimere unicamente con delle dimensioni enormi. Tuttavia qui la voce umana e allo stesso tempo uno strumento musicale; tutti i movimenti sono scritti rigorosamente in forma sinfonica e vengono allo stesso tempo cantati interamente".
Orbene, in questa hybris stilistica del genere strumentale e vocale ma soprattutto nell'impiego di opere poetiche così importanti, come l'inno medievale di Rabano Mauro (composto probabilmente nell’809 in occasione di un sinodo dei vescovi ad Aquisgrana) e la scena finale del "Faust" di Goethe, risiedono da un lato le alte aspettative storico-culturali che il compositore rivendica con la sua sinfonia, dall'altro però anche la discutibilità della sua impresa. Infatti proprio questo carattere di sintesi spirituale ha dato ripetutamente adito ai critici di Mahler di sollevare delle riserve dal punto di
vista estetico, in misura maggiore che nei confronti di tutte le sue altre sinfonie. Non si è voluto forse strafare? - ci si è chiesto. Un simile progetto monumentale e storicamente di così vasto respiro non è forse condannato sin dall’inizio al fallimento? La musica non travalica qui le sue stesse possibilità? Anche i giudizi sul valore dell’Ottava Sinfonia di Mahler oscillano infatti tra l'incomprensione da una parte e l'approvazione entusiastica dall’altra (così fu già al momento della sua prima esecuzione a Monaco il 12 settembre 1910, quando il compositore assaporò il più grande trionfo di tutta la sua carriera), Ernst Bloch cita nel suo libro “Der Geist der Utopie” (Lo spirito dell’utopia, del l9l8) l’enorme sforzo di Mahler, profondamente commovente; Bloch parla della "serissima musica che introduce la parte finale del "Faust", che nessuno, che sia stato innalzato da essa verso le supreme altitudini montane degli Anacoreti, costruite a mo’ di terrazze, potrà mai dimenticare [...]. Nessuno più di quest'uomo pieno di malinconia, santa e inneggiante è stato finora portato cosi vicino al cielo dalla Forza di una musica traboccante di sentimento, mugghiante e visionaria quant'altre mai [...]. Come un messaggero lontano, quest’artista è giunto nel suo tempo vuoto, fiacco e scettico, quest’uomo dal sentimento sublime, straordinario nella forza e nell’ardore virile del suo pathos e veramente assai prossimo a spandere l’ultimo mistero della musica sul mondo e sulle tombe".
Chi cerca di spiegarsi la ragione di questa scoperta tardiva di Mahler, troverà diverse spiegazioni che, per quanto divergenti nei dettagli, costituiscono un concorso di cause che si integrano a vicenda. Prima di tutto, a partire già dagli anni Sessanta, si può constatare una generica affinità con l’epoca della fine del secolo scorso: le correnti artistiche della fin de siécle e dello stile liberty furono considerate allora per la prima volta, dopo una svalutazione durata decenni, come dei risultati artistici autonomi. ln tal modo si posero sostanzialmente le basi per la rinascita di Mahler, infatti la sua musica rappresenta più di ogni altra l'espressione profonda di quell‘epoca che non solo esteriormente, ma anche nei suoi contenuti, si colloca “a cavallo tra i due secoli”: il vecchio e il nuovo, l'"ancora" e il "già", l’ultimo apice del Romanticismo e l’inizio della modernità si intersecano strettamente in questo periodo.
Pertanto quando la nostra epoca, che ama definirsi secondo un termine popolare come "postmoderna”, cerca i modelli spirituali e stilistici delle sue tendenze pluralistiche, non può non rinvenirli in Mahler più che altrove: non solo nel senso di una superficiale nostalgia del passato, ma anche per quanto riguarda gli aspetti contenutistici. Proprio infatti quelle qualità della musica di Mahler, che prima venivano spesso osteggiate o addirittura irrise - la sua mancanza di omogeneità stilistica, la pluralità di piani e la sua frammentazione - fanno l’effetto come di un'anticipazione della condizione esistenziale odierna: non si tratta infatti di fingere un mondo di sanità, ma di esplicitare le contraddizioni del sentire, le angosce e le speranze, le catastrofi e le visioni di redenzione. E' questo ciò che rende Mahler attuale.
Ma le sue parole profetiche si sono avverate anche in un senso completamente differente, poiché infatti alla capacità interiore di intendere la sua musica si sono aggiunti anche i presupposti oggettivi per una ricezione adeguata: infatti solo grazie ai moderni procedimenti tecnici la sua musica poté essere riprodotta nella sua totale differenziazione acustica, cosi come aveva auspicato lo stesso Mahler. Grazie alla tecnica stereofonica e del missaggio graduate dei suoni è possibile realizzare fedelmente le indicazioni assai complesse delle sue partiture, spesso con risultati ancora migliori di quanto sia possibile fare durante una esecuzione dal vivo. Ciò vale sia per la sfera della dinamica e delle sfumature strumentali, che per i particolari effetti spaziali, dei quali la musica di Mahler è quanto mai ricca, Già nella sua prima grande composizione, Das klagende Lied, è prevista infatti un'"orchestra in eco”. Mahler segue con ciò non solo dei modelli corrispondenti, come ad esempio nella musica di Berlioz, ma al di là di ciò trasferisce nella musica sinfonica le esperienze acquisite durante la sua attività di direttore di un’orchestra operistica. Qui le differenze tra suono vicino e lontano non si riferiscono solamente a delle distanze stabilite, ma producono dei rapporti prospettici e acustici, come ad esempio nel caso di un pianissimo suonato da vicino e un forte suonato in lontananza. Tali relazioni sono parte integrante della drammaturgia compositiva di Mahler, della sua "arte scenica musicale".
Perché in effetti Mahler "non era solamente un grande compositore di sinfonie, ma anche uno dei drammaturghi più efficaci degli ultimi cento anni. Ciascuna delle sue sinfonie si comporta come un’opera. Non conosco nessun altro compositore che abbia una sensibilità paragonabile per come si debba iniziare un movimento (si può addirittura vedere il sipario che si alza) e per come si debba concluderlo, o some si debba ripartire shock dopo shock, un effetto contrastante dopo un momento culminante o una fase di riposo. Non conosco inoltre nessun compositore che sapesse sfruttare in modo così virtuosistico e ricco di effetto le possibilità drammatiche dell’ambiguità". Queste parole sono di Leonard Bernstein; con esse si potrebbe chiamare in causa nuovamente un altro fattore decisivo della vasta influenza di Mahler: i suoi grandi interpreti. I veri direttori mahleriani (non ce ne sono molti di tal fatta) infatti non solo devono saper condurre l’orchestra in maniera eccellente ed essere dei "registi del suono", ma devono anche saper comunicare il pensiero e l'alto messaggio etico della musica di Mahler. Ciò presuppone una disponibilità spirituale all'identificazione che è tutt'altro che scontata, un essere arsi dal fuoco del sentimento mahleriano. Dopo la generazione che apparteneva ancora direttamente alla cerchia dei giovani mahleriani (come Bruno Walter e Otto Klemperer), proprio Bernstein ha svolto un ruolo decisivo in questa direzione.
La Sesta Sinfonia di Mahler fu composta durante le “ferie di composizione” nell’estate del 1903/04 e fu eseguita per la prima volta il 27 maggio 1906 ad Essen, durante il Festival della Società pantedesca dei musicisti. Mahler stesso la definì la sua Sinfonia Tragica, a causa del ruolo svolto in essa da motivi di natura strettamente personale e familiare. Di ciò riferisce la moglie Alma nel suo libro di “Ricordi": “Dopo aver progettato il primo movimento, Mahler era ritornato giù dal bosco e aveva detto: "Ho cercato di ritrarti in un tema, non so se mi e riuscito. Dovrai sforzarti di sopportarlo". Si tratta del grande tema pieno di slancio del primo movimento della Sesta sinfonia. Nel terzo movimento egli raffigura il gioco disordinato delle due bambinette che corrono barcollando sulla sabbia. E' orribile, queste voci infantili divengono sempre più tragiche e alla fine si sente piagnucolare una vocina che si va spegnendo, Nell’ultimo movimento Mahler descrive se stesso e il suo tramonto o, come ebbe a dire in seguito, quello del suo eroe. "L’eroe, che riceve tre colpi dal destino, il terzo dei quali lo abbatte, come un albero" [...] Nessun’altra opera gli è sgorgata così dal cuore come questa. Piangemmo allora entrambi. A tal punto sentivamo profondamente questa musica e i presagi che essa tradiva, La Sesta sinfonia è la sua opera più personale in assoluto e oltre tutto un’opera profetica [...]." Così si ricorda Alma Mahler. Il carattere profetico di questa musica doveva avverarsi in maniera insolita nel 1907, per via di alcuni intrighi, Mahler fu costretto a rassegnare le dimissioni dall'incarico di direttore dell'Opera di Vienna, i coniugi perdettero una delle due figliolette e a Mahler venne diagnosticata una grave malattia cardiaca; tutti questi fatti apparvero allora come i "tre colpi del destino". In che misura il compositore stesso prendesse sul serio questo riferimento autobiografico è testimoniato dal fatto che egli cancellò l’ultimo dei tre colpi di martello del finale, come per scongiurare in tal mode la sua stessa fine.
E' abbastanza sorprendente il fatto che questa composizione, che dal punto di vista di Mahler rappresentava la fusione più stretta di "arte e vita", costituisca allo stesso tempo una testimonianza epocale della "musica assoluta". Ciò si mostra non solo nel fatto che essa segue la struttura formate tradizionale in quattro movimenti (sebbene Mahler per un po’ di tempo abbia invertito i due movimenti centrali, ripristinando poi nuovamente 1'ordine Scherzo/Andante), ma si vede in misura ancora maggiore nel linguaggio musicale stesso. Questo fa l'effetto come di un compendio di tutto quanto e stato scritto da Mahler fino a questo punto; già nel 1904 - quand’era ancora nel mezzo del lavoro - egli aveva ammesso: “La mia Sesta sinfonia porrà dei quesiti, ai quali potrà osare di avvicinarsi solo una generazione che avrà assimilato e digerito le mie prime cinque". La ricchezza dell’invenzione motivica e della strumentazione, le numerose innovazioni armoniche, il rigoroso lavoro tematico c i nessi compositivi, che vanno al di là dei singoli movimenti, fanno apparire questa partitura, particolarmente agli occhi di coloro che non sono affatto a conoscenza del carattere soggettivo del suo contenuto, come una fonte inesauribile di musica assoluta. Nessuno fu così consapevole di questo fatto come Alban Berg, il quale durante la composizione dei suoi Tre pezzi per orchestra, op, 6 (1914) scrisse all’amico Anton Webern: "Ma che cosa significa tutto questo gran comporre, quando il giorno dopo si ascolta la Sesta sinfonia (non c’è bisogno che io dica di chi e, vi è al mondo infatti solo una Sesta, nonostante la Pastorale)? Ti dico - o forse non c’è in realtà bisogno neppure che te lo dica - che non si finisce mai di sviscerare completamente questa composizione, non la si comprende mai del tutto [...]".
La Sesta sinfonia non era ancora completata del tutto e Mahler stava ancora finendo di scrivere la versione definitiva della partitura, quando egli iniziò a lavorare già alle due sinfonie seguenti; pochi mesi dopo la prima esecuzione della Sesta, nell'agosto del l906, Mahler comunicava al direttore d’orchestra olandese Willem Mengelberg, di cui era amico: "Ho appena finito di scrivere la mia Ottava sinfonia - si tratta della cosa più grande che io abbia fatto finora. E' inoltre così originale nella forma e nel contenuto, che non è possibile scrivere nulla al riguardo, - Lei si immagini che l’universo prenda a risuonare e a emettere del suoni. Non sono più voci umane, ma pianeti e soli che gravitano in circolo". Già da queste allusioni è possibile riconoscere il livello particolare di questa composizione, "la cosa più grande" non solo dal punto di vista esteriore, ma anche da quello delle aspettative interiori: che questa sinfonia non rappresenti cioè unicamente una musica autonoma, ma sia oltre ciò espressione di un pensiero filosofico e teologico, una mistica ricerca dei fini ultimi. La vecchia concezione del XIX secolo, secondo la quale l’arte e la religione hanno delle radici comuni e possono entrambe svilupparsi in una comune unità, dove trovano espressione contemporaneamente l’umano e il divino, la nostalgia e la rivelazione, viene trasferita in questa composizione in maniera affatto particolare.
Mahler stesso si è espresso in modo assai esauriente al riguardo: "Non ho mai scritto nulla di simile, è qualcosa di completamente differente: nello stile e nel contenuto da tutte le altre mie opere [...]. Inoltre non ho mai lavorato forse sotto una tale costrizione interiore; è stata come una visione fulminea - tutto si è trovato immediatamente davanti ai miei occhi e io ho dovuto solamente scriverlo sulla carta, così, come se mi fosse stato dettato [...]. Questa Ottava sinfonia è già curiosa per il semplice fatto di riunire due poesie in due lingue differenti; la prima parte e un inno latino, la seconda niente di meno che la scena finale della seconda parte del "Faust". Lei si meraviglia? Comporre questa scena dell’Anacoreta e il finale del "Mater gloriosa" [...] era già da molto tempo un mio ardente desiderio; solo che ora non ci avevo più pensato affatto. Recentemente mi è capitato casualmente tra le mani un vecchio libro e l'ho aperto sull’inno Veni, creator spiritus: come un`illuminazione, improvvisamente ho avuto dinnanzi a me non solo il primo tema, ma l'intero primo movimento, e come sua risposta non avrei potuto trovare assolutamente niente di più bello che le parole di Goethe nella scena dell'Anacoreta! Anche dal punto di vista della forma si tratta di qualcosa di affatto nuovo: Lei riesce a immaginarsi una sinfonia che viene cantata interamente, dall’inizio alla fine? Finora ho sempre impiegato la parola e la voce umana solo in maniera esplicativa, per abbreviare, come un fattore per determinare uno stato d'animo e per dire con quella stringatezza e precisione che solo le parole permettono ciò che, con mezzi puramente sinfonici, si sarebbe potuto esprimere unicamente con delle dimensioni enormi. Tuttavia qui la voce umana e allo stesso tempo uno strumento musicale; tutti i movimenti sono scritti rigorosamente in forma sinfonica e vengono allo stesso tempo cantati interamente".
Orbene, in questa hybris stilistica del genere strumentale e vocale ma soprattutto nell'impiego di opere poetiche così importanti, come l'inno medievale di Rabano Mauro (composto probabilmente nell’809 in occasione di un sinodo dei vescovi ad Aquisgrana) e la scena finale del "Faust" di Goethe, risiedono da un lato le alte aspettative storico-culturali che il compositore rivendica con la sua sinfonia, dall'altro però anche la discutibilità della sua impresa. Infatti proprio questo carattere di sintesi spirituale ha dato ripetutamente adito ai critici di Mahler di sollevare delle riserve dal punto di
vista estetico, in misura maggiore che nei confronti di tutte le sue altre sinfonie. Non si è voluto forse strafare? - ci si è chiesto. Un simile progetto monumentale e storicamente di così vasto respiro non è forse condannato sin dall’inizio al fallimento? La musica non travalica qui le sue stesse possibilità? Anche i giudizi sul valore dell’Ottava Sinfonia di Mahler oscillano infatti tra l'incomprensione da una parte e l'approvazione entusiastica dall’altra (così fu già al momento della sua prima esecuzione a Monaco il 12 settembre 1910, quando il compositore assaporò il più grande trionfo di tutta la sua carriera), Ernst Bloch cita nel suo libro “Der Geist der Utopie” (Lo spirito dell’utopia, del l9l8) l’enorme sforzo di Mahler, profondamente commovente; Bloch parla della "serissima musica che introduce la parte finale del "Faust", che nessuno, che sia stato innalzato da essa verso le supreme altitudini montane degli Anacoreti, costruite a mo’ di terrazze, potrà mai dimenticare [...]. Nessuno più di quest'uomo pieno di malinconia, santa e inneggiante è stato finora portato cosi vicino al cielo dalla Forza di una musica traboccante di sentimento, mugghiante e visionaria quant'altre mai [...]. Come un messaggero lontano, quest’artista è giunto nel suo tempo vuoto, fiacco e scettico, quest’uomo dal sentimento sublime, straordinario nella forza e nell’ardore virile del suo pathos e veramente assai prossimo a spandere l’ultimo mistero della musica sul mondo e sulle tombe".
Effettivamente questa musica non vuole solamente essere udita, ma anche essere "vista" e vissuta intimamente; ciò è accennato già dalle indicazioni sceniche riportate nella partitura, l'indicazione all’inizio della scena del Faust recita infatti: "Gole montane, foreste, dirupi, luoghi solitari. Santi Anacoreti, dispersi qua e là sulle allure dei monti e annidati tra i crepacci (coro ed eco)"; la figura dcl Pater ecstaticus appare "volteggiante su e giù", così come il coro e gli angeli.
Si tratta di azioni immaginarie, che non si svolgono tuttavia solamente su di una scena fittizia, bensì in un teatro del mondo, nel quale la sfera umana e quella cosmica si abbracciano. Le fonti di tale concezione sono molteplici, basti pensare ad esempio alla Damnation de Faust di Berlioz. Allora il modello offerto da questo compositore risulterà chiaro anche per quanto riguarda la strumentazione (ad esempio per quanto riguarda l’effetto di incredibile Crescendo ottenuto dall’entrata degli ottoni "collocati singolarmente" nei due finali). l'organico di dimensioni enormi, che ha dato origine all’appellativo di Sinfonia dei mille si può ricondurre inoltre anche alla tradizione delle grandi esecuzioni di oratori del secolo scorso, sebbene colpisca tuttavia il fatto che Mahler differenzi espressamente non soltanto i solisti e i cori, ma anche l'apparato orchestrale e che lo impieghi spesso con una trasparenza propria della musica da camera. Ma è soprattutto una composizione che si deve nominare come modello per questa sinfonia, sia dal punto di vista formale e contenutistico che anche dei mezzi compositivi (particolarmente per quanto riguarda la grande importanza attribuita alle vecchie tecniche contrappuntistiche): la Nona Sinfonia di Beethoven. Con essa infatti l'idea di una musica intesa come confessione personale, diretta a tutta l’umanità, aveva già raggiunto un primo vertice assoluto; ed è proprio quest'idea che Mahler esprime con la sua Ottava sinfonia in un ultimo, grandissimo crescendo.
Si tratta di azioni immaginarie, che non si svolgono tuttavia solamente su di una scena fittizia, bensì in un teatro del mondo, nel quale la sfera umana e quella cosmica si abbracciano. Le fonti di tale concezione sono molteplici, basti pensare ad esempio alla Damnation de Faust di Berlioz. Allora il modello offerto da questo compositore risulterà chiaro anche per quanto riguarda la strumentazione (ad esempio per quanto riguarda l’effetto di incredibile Crescendo ottenuto dall’entrata degli ottoni "collocati singolarmente" nei due finali). l'organico di dimensioni enormi, che ha dato origine all’appellativo di Sinfonia dei mille si può ricondurre inoltre anche alla tradizione delle grandi esecuzioni di oratori del secolo scorso, sebbene colpisca tuttavia il fatto che Mahler differenzi espressamente non soltanto i solisti e i cori, ma anche l'apparato orchestrale e che lo impieghi spesso con una trasparenza propria della musica da camera. Ma è soprattutto una composizione che si deve nominare come modello per questa sinfonia, sia dal punto di vista formale e contenutistico che anche dei mezzi compositivi (particolarmente per quanto riguarda la grande importanza attribuita alle vecchie tecniche contrappuntistiche): la Nona Sinfonia di Beethoven. Con essa infatti l'idea di una musica intesa come confessione personale, diretta a tutta l’umanità, aveva già raggiunto un primo vertice assoluto; ed è proprio quest'idea che Mahler esprime con la sua Ottava sinfonia in un ultimo, grandissimo crescendo.
Volker Scherliess (trad. Marco Marica, 1992)
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