Ernest Bloch (1880-1959) |
Il 15 di luglio del 1960 è già scorso un anno da quando in una clinica di Portland nell’Oregon si è spento Ernest Bloch. Pareva quasi che avesse smesso di scrivere musica da parecchio tempo - e non era vero se quest’anno un discepolo di Yehudi Menuhin, Albert Lysy, ha eseguito a Londra in prima assoluta una. sua ancora inedita e recente Suite per violino solo. Certo che il nome di Bloch figurava con molto minor frequenza nei programmi di concerto e poteva apparire come di un compositore dimenticato e superato - ma non lo era. La produzione del musicista è, relativamente al tempo che gli fu concesso per lavorare, scarsa, ma di rilievo. Aveva cominciato a comporre a 15 anni in Svizzera, dove era nato nel 1880, come figlio di un modesto orologiaio. Da principio pensava di fare il violinista - e questo spiega che poi si sia recato a perfezionarsi in questo strumento a Bruxelles dove fu allievo di Eugène Ysaye - ma dopo alcune incertezze si decise per la più pericolosa carriera del compositore. E' stato detto e scritto che la sua formazione musicale fu prevalentemente francese - ma non é esatto, perché oltre allo studio compiuto nei Conservatori svizzeri e alla scuola di Ysaye, fu di grande importanza il lavoro di preparazione e di approfondimento compiuto da Bloch ai conservatori di Francoforte sul Meno e di Monaco. ll musicista passava dall’una all’altra delle capitali del gusto europee del suo tempo e cosi il suo stile giovanile rivela influssi di Debussy da una parte, di Strauss e di Mahler dall’altra, anche se si dimostra particolarmente solido.
Fu quello il periodo della sua "prima maniera" - se così possiamo chiamarla - e a rappresentarla si può senz’altro prendere l’opera Machbet (ricavata dall’omonima tragedia shakesperiana) rappresentata con successo a Parigi nel novembre del 1910, che meritò all’autore la prima fama internazionale grazie all’intervento di critici illustri come Pierre Lalo e Romain Rolland con cui Bloch si doveva poi legar di profonda amicizia. Anche in Italia l’opera non restò senza eco: lldebrando Pizzetti ne parlò con entusiasmo nel fiorentino Marzocco; scrisse tra l’altro: "Bloch è un drammaturgo musicale: ciò che più vale e più importa, nella sua arte drammatica, è l’assenza di musica soltanto musica e l’esistenza di molte pagine (ma sarebbe lo stesso se fossero anche poche) nelle quali ogni più piccolo elemento musicale presenta, come espressione del dramma, carattere di necessità". Ma le speranze del musicista parmense di avere scoperto un futuro maestro di quel dramma musicale che egli vagheggiava da tempo, dovevano andare presto deluse: dopo il tentativo di Jezabel, che è del 1918, Bloch non scrisse mai più per il teatro d’opera.
Fu quello il periodo della sua "prima maniera" - se così possiamo chiamarla - e a rappresentarla si può senz’altro prendere l’opera Machbet (ricavata dall’omonima tragedia shakesperiana) rappresentata con successo a Parigi nel novembre del 1910, che meritò all’autore la prima fama internazionale grazie all’intervento di critici illustri come Pierre Lalo e Romain Rolland con cui Bloch si doveva poi legar di profonda amicizia. Anche in Italia l’opera non restò senza eco: lldebrando Pizzetti ne parlò con entusiasmo nel fiorentino Marzocco; scrisse tra l’altro: "Bloch è un drammaturgo musicale: ciò che più vale e più importa, nella sua arte drammatica, è l’assenza di musica soltanto musica e l’esistenza di molte pagine (ma sarebbe lo stesso se fossero anche poche) nelle quali ogni più piccolo elemento musicale presenta, come espressione del dramma, carattere di necessità". Ma le speranze del musicista parmense di avere scoperto un futuro maestro di quel dramma musicale che egli vagheggiava da tempo, dovevano andare presto deluse: dopo il tentativo di Jezabel, che è del 1918, Bloch non scrisse mai più per il teatro d’opera.
Cominciava invece quella che si potrebbe dire la sua "seconda maniera", o, per meglio dire, un successivo periodo, in cui Bloch passò attraverso a una esperienza religiosa e insieme artistica, che doveva essere capitale per il suo stile: il ritorno alle fonti ebraiche, non intese, come ebbe a chiarire a suo tempo il compositore, come un fatto "archeologico" e neppure come una ricerca di "colorito" particolare, ma piuttosto come trepidante ascoltazione di una intima voce che gli suggeriva ritmi e accenti durante la lettura del Vecchio Testamento. Nacquero così le sue composizioni più fortunate: i Tre Poemi Ebraici (1915), la sinfonia Israel (1916), la rapsodia per violoncello e orchestra Schélomo (1916) e il trittico per violino intitolato Baal-Shem (1923). In queste musiche - e in altre all’incirca dello stesso periodo - Bloch concentra la sua attenzione sulla recitazione, che è altamente drammatica e assume toni di declamato vocale, anche nelle composizioni esclusivamente strumentali, né più né memo come capiterà poi alcune volte a Pizzetti. Comune ai due creatori è questa capacità di concentrazione drammatica nella recitazione e anche il pericolo di cadere, a lungo andare, in forme di magniloquenza, di grandiosità solo esteriore.
Massimo Mila ha giustamente osservato: "Bloch aveva pochi riguardi verso l’ascoltatore: lo afferrava e lo inchiodava passivo, gli diceva tutto quel che gli passava per la testa e pretendeva superbamente un'attenzione assoluta, rassegnata, priva d’inquietudini. Non sempre, cominciando a scrivere, Bloch sapeva cosa avrebbe detto alla fine del pezzo. Spesso l’ultima nota di una frase e la prima di un nuovo codicillo. Bloch conclude a malincuore, e non sempre sa abbandonare un’idea musicale quand'è esaurita: questa viene piuttosto ancora una volta tentata, ripresa, risollevata in un gesto inutile di perorazione". Ma queste giuste riserve vengono dopo la affermazione del valore di quelle opere di Bloch che resteranno ormai nel tempo a determinare la figura di questo musicista. Parve che anche lui volesse sottolineare un valore "particolare" della sua opera quando dichiaro, molti anni or sono: "L'arte deve essere una parte necessaria della vita di un popolo e non una cosa di lusso; e deve avere le sue radici profonde nel terreno che la produce. Inutile dire che essa non può essere la produzione diretta della folla. Ma, se pure indirettamente, la folla deve aver contribuito alla sua esistenza. Un’opera d’arte è l’anima di una razza che parla con la voce del profeta in cui si è incarnata". Con queste parole egli si riconosceva chiaramente come un tale interprete "profetico" - e di qui vennero alcune esaltazioni eccessive, e poi come capita, delle svalutazioni ugualmente esagerate e, da parte di alcuni compositori contemporanei, un oblio, un disprezzo ostentato e fuori luogo.
Come esempio delle prime possiamo prendere queste parole con cui Guido Pannain salutava nel 1952, in Italia, il compositore svizzero: "Bloch è il principe dei musicisti moderni. E' il maggior punto di conquista del nuovo secolo musicale, nell’arte di superare la sensualità ed attingere un nuovo spirito di religione. Gli israeliti hanno molto conferito alla musica, nella storia, ma in realtà un israelitismo musicale, in senso vero e proprio, non si era avverato. I musicisti ebrei finirono sempre con l'inquadrarsi nelle file della civiltà musicale tradizionale e fecero numero come musicisti, non più come ebrei. Per Bloch la cosa va diversamente. Egli è un israelita che fa la musica in ispirito di Vecchio Testamento. Ha la visione d’un mondo biblico ancora al di qua del Messia. E' un poeta d’oggi al quale palpita un cuore Vecchio di secoli. Perciò la musica di Bloch ci è cosi contemporanea e vicina. Perché in essa v’è il senso drammatico di una umanità reietta. Una musica tutta pervasa dal senso di isolamento dell’anima ebraica, nell’Universo; presaga del suo destino, che è di attendere e di errare. Umanità fusa nell’unità dello spirito e frantumata negli inganni della carne e del peccato; a cui sembrerà angusta la terra sulla quale è condannata a vagare e non sosterà mai tra confini che siano suoi e sarà, come in perpetuo esilio, senza dimora e senza pace. Ed avrà sempre dinanzi a sè la visione fiammeggiante di quel Dio terribile, che non si nomina col suo nome, immagine di possanza e di vendetta. Questo stato d'animo storico del popolo d’Israele, che sempre si rinnova nel peccato, è il simbolo dello stato d’animo della umanità contrastata fra lo spirito e la carne. La bellezza dell’arte musicale di Bloch sta nell’aver intuito questo dissidio al di qua del misticismo, ma in forma di dramma umano e concreto". Sono parole grosse, che esprimono l'entusiasmo di uno spirito, forse deluso del mondo musicale contemporaneo e teso verso una apparizione quasi "messianica" nell’arte. Comunque, se anche sottolineano l’aspetto di una certa arte di Bloch, ne rinnegano completamente un altro e forse, oggi, lo stesso Pannain non si sarebbe sentito di scrivere quelle parole esaltatrici. A proposito invece della indifferenza o del disprezzo di certi critici che, col loro silenzio, vogliono lasciar intendere che l’autore di Schélomo non va neppure più preso in considerazione, non val la pena di insistere.
La verità è che tanto gli uni a loro tempo, come gli altri, oggi, prospettano la possibilità di un musicista che esista come un anacronismo, cioè completamente al di fuori della sua epoca - il che non solo è molto difficile a credersi, ma va anche contro le intenzioni precise dell’autore. A un cerro momento insomma bisognerebbe conceder diritto di esistenza a un certo Bloch, cancellando completamente l’altro; più precisamente a quello "profetico" e più specificamente "ebraico", a danno de1l’altro. Ora non credo che una critica illuminata che esamini a fondo, senza preconcetti, l’opera di Bloch dai suoi inizi all’ultima Suite per Violino solo possa compiere una scelta in base a un criterio, in fondo, estraneo al valore musicale di una composizione. Perché a un certo punto si dovrebbe buttare a mare non solo il Concerto grosso, la sinfonia Helvetia e quella intitolata Amerika, ma anche il Quintetto (col pianoforte), i due Quartetti e perfino certe semplici composizioni infantili (per piano) intitolate Frohe Kinder, in cui senza una ispirazione particolarmente "biblica" Bloch riesce ad affermare pienamente la sua personalità musicale. A guardar bene lo stile del compositore si rivela tanto in Machbet (cui non si vorrà attribuire una ispirazione "biblica") come nelle opere dell’ultimo periodo. Solo che qualche volta, trascinato forse dalle insistenze di coloro che gli erano vicini, per apparire "moderno" tentò di far sue le tecniche compositive che si succedevano nella moda musicale (esiste purtroppo anche questa) da quella politonale a quella dodecafonica. Ma furono tentativi, esperienze a volte negative, da cui però non si può trarre un giudizio su tutta l’opera del musicista. La sua caratteristica più spiccata rimarrà, come già si era notato nelle opere della "prima maniera", sia pure a tratti, un particolare declamato, un recitativo drammatico, che si manifestava con ugual forza tanto nelle opere vocali come in quelle strumentali, con inflessioni spesso, prevalentemente, ma non sempre, necessariamente, disperate.
Prima di dare un giudizio completamente negativo su opere come la sinfonia Amerika, composta nel 1919, occorrerebbe ricordare che Bloch emigrò negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. Non attese il nazismo per crearsi una nuova patria di là dall’Oceano. E non è un caso che egli si sia spento, appunto, in America, ove fu insegnante per parecchi anni presso diversi istituti, sino all’Università, formando colla sua personalità alcuni allievi divenuti abbastanza celebri come Roger Sessions e Randall Thompson. L'omaggio alla sua nuova patria non era un fatto puramente esteriore; Bloch tornò diverse volte in Europa, anche in alcuni giri di concerti, ma la sua casa, la sua home restò quella americana, a cui si deve esser sentito ancor più attaccato durante la seconda guerra mondiale. Nel fragore del conflitto e poi dopo, il suo norne non destò più la eco che aveva nell’interval1o tra le
due guerre. C’è da credere che Bloch ne abbia sofferto, perché era una personalità troppo sensibile per non accorgersi che le nuove correnti musicali tendevano a tagliarlo fuori e, quanto meno, a isolarlo. Ma ora che egli è scomparso, si procederà forse con maggior equanimità a una valutazione obbiettiva della sua opera.
I musicisti "nuovi", come si è già detto, non lo hanno degnato della minima attenzione. Se si scorre la lista degli autori d'avanguardia esaminati dai nostri musicologi, fatta eccezione per Mila, si spera invano di trovare un accenno, meno che vago, per Bloch. Egli ebbe il suo momento di fortuna nel 1932 e sotto questo aspetto lo scritto di Pannain è sintomatico. Vi è inoltre da segnalare anche un intero volumetto dedicato a Bloch da Mary Tibaldi Chiesa che e del 1933 di tono prevalentemente biografico ed encomiastico, ma pieno di indicazioni interessanti. Poi vi furono anni e anni di silenzio. C’è da sperare che il tempo ristabiliti l'equilibrio. E questo anche perché - la cosa può parer strana - non si sono ripetute per Bloch le rivendicazioni proposte invece con insistenza per altri, esclusi dai programmi dei concerti per ragioni razziali durante l’ultimo periodo del fascismo. Si sono a volte riesumati lavori giovanili di autori noti, che forse non meritavano tanta attenzione, ma nessuno si e incaricato di far rivivere Bloch dinanzi ai giovani delle ultime generazioni, che non ne avevano forse mai sentito parlare. Con intenti commemorativi c’è stata una ripresa del Macbeth; ma non è forse nel campo della musica d’opera che va cercato il messaggio artistico più valido di Ernest Bloch.
Cogli anni quel che di veramente vivo è nell’opera di Bloch affiorerà con più chiarezza, certamente. E si sentirà che al di là di qualsiasi impostazione particolarmente "biblica" o "profetica" è la voce di un autentico artista quella che si rivela in alcune composizioni, anche non molte. Perché nel mondo della musica, come in generale in quello dell’arte, non è la quantità, che conta, ma la qualità. E basta un solo pezzo a mantener viva la memoria di un musicista per dei secoli.
La verità è che tanto gli uni a loro tempo, come gli altri, oggi, prospettano la possibilità di un musicista che esista come un anacronismo, cioè completamente al di fuori della sua epoca - il che non solo è molto difficile a credersi, ma va anche contro le intenzioni precise dell’autore. A un cerro momento insomma bisognerebbe conceder diritto di esistenza a un certo Bloch, cancellando completamente l’altro; più precisamente a quello "profetico" e più specificamente "ebraico", a danno de1l’altro. Ora non credo che una critica illuminata che esamini a fondo, senza preconcetti, l’opera di Bloch dai suoi inizi all’ultima Suite per Violino solo possa compiere una scelta in base a un criterio, in fondo, estraneo al valore musicale di una composizione. Perché a un certo punto si dovrebbe buttare a mare non solo il Concerto grosso, la sinfonia Helvetia e quella intitolata Amerika, ma anche il Quintetto (col pianoforte), i due Quartetti e perfino certe semplici composizioni infantili (per piano) intitolate Frohe Kinder, in cui senza una ispirazione particolarmente "biblica" Bloch riesce ad affermare pienamente la sua personalità musicale. A guardar bene lo stile del compositore si rivela tanto in Machbet (cui non si vorrà attribuire una ispirazione "biblica") come nelle opere dell’ultimo periodo. Solo che qualche volta, trascinato forse dalle insistenze di coloro che gli erano vicini, per apparire "moderno" tentò di far sue le tecniche compositive che si succedevano nella moda musicale (esiste purtroppo anche questa) da quella politonale a quella dodecafonica. Ma furono tentativi, esperienze a volte negative, da cui però non si può trarre un giudizio su tutta l’opera del musicista. La sua caratteristica più spiccata rimarrà, come già si era notato nelle opere della "prima maniera", sia pure a tratti, un particolare declamato, un recitativo drammatico, che si manifestava con ugual forza tanto nelle opere vocali come in quelle strumentali, con inflessioni spesso, prevalentemente, ma non sempre, necessariamente, disperate.
Prima di dare un giudizio completamente negativo su opere come la sinfonia Amerika, composta nel 1919, occorrerebbe ricordare che Bloch emigrò negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. Non attese il nazismo per crearsi una nuova patria di là dall’Oceano. E non è un caso che egli si sia spento, appunto, in America, ove fu insegnante per parecchi anni presso diversi istituti, sino all’Università, formando colla sua personalità alcuni allievi divenuti abbastanza celebri come Roger Sessions e Randall Thompson. L'omaggio alla sua nuova patria non era un fatto puramente esteriore; Bloch tornò diverse volte in Europa, anche in alcuni giri di concerti, ma la sua casa, la sua home restò quella americana, a cui si deve esser sentito ancor più attaccato durante la seconda guerra mondiale. Nel fragore del conflitto e poi dopo, il suo norne non destò più la eco che aveva nell’interval1o tra le
due guerre. C’è da credere che Bloch ne abbia sofferto, perché era una personalità troppo sensibile per non accorgersi che le nuove correnti musicali tendevano a tagliarlo fuori e, quanto meno, a isolarlo. Ma ora che egli è scomparso, si procederà forse con maggior equanimità a una valutazione obbiettiva della sua opera.
I musicisti "nuovi", come si è già detto, non lo hanno degnato della minima attenzione. Se si scorre la lista degli autori d'avanguardia esaminati dai nostri musicologi, fatta eccezione per Mila, si spera invano di trovare un accenno, meno che vago, per Bloch. Egli ebbe il suo momento di fortuna nel 1932 e sotto questo aspetto lo scritto di Pannain è sintomatico. Vi è inoltre da segnalare anche un intero volumetto dedicato a Bloch da Mary Tibaldi Chiesa che e del 1933 di tono prevalentemente biografico ed encomiastico, ma pieno di indicazioni interessanti. Poi vi furono anni e anni di silenzio. C’è da sperare che il tempo ristabiliti l'equilibrio. E questo anche perché - la cosa può parer strana - non si sono ripetute per Bloch le rivendicazioni proposte invece con insistenza per altri, esclusi dai programmi dei concerti per ragioni razziali durante l’ultimo periodo del fascismo. Si sono a volte riesumati lavori giovanili di autori noti, che forse non meritavano tanta attenzione, ma nessuno si e incaricato di far rivivere Bloch dinanzi ai giovani delle ultime generazioni, che non ne avevano forse mai sentito parlare. Con intenti commemorativi c’è stata una ripresa del Macbeth; ma non è forse nel campo della musica d’opera che va cercato il messaggio artistico più valido di Ernest Bloch.
Cogli anni quel che di veramente vivo è nell’opera di Bloch affiorerà con più chiarezza, certamente. E si sentirà che al di là di qualsiasi impostazione particolarmente "biblica" o "profetica" è la voce di un autentico artista quella che si rivela in alcune composizioni, anche non molte. Perché nel mondo della musica, come in generale in quello dell’arte, non è la quantità, che conta, ma la qualità. E basta un solo pezzo a mantener viva la memoria di un musicista per dei secoli.
Rodolfo Paoli ("L'Approdo Musicale", n.10, Aprile-Giugno 1960)
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