Alexander Zemlinsky (1871-1942) |
Oltre che direttore d’orchestra fra i più apprezzati della sua generazione e didatta prestigioso per ammissione del suo allievo più illustre - Arnold Schönberg - Alexander Zemlinsky fu compositore assai stimato nella Vienna tra fine Ottocento e primo Novecento, di rango superiore a quello ufficialmente assegnatogli da un secolo, il nostro, pur non avaro di simpatie verso i protagonisti della "finis Austriae".
Benché di quel mondo Zemlinsky fosse un esponente esemplare, gli nocquero da un lato il confronto ravvicinato con Mahler, più rappresentativo nella sua modernità, dall’altro l’estraneità ai ‘progressi’ della Scuola di Vienna, che per lui si fermarono ai confini della tonalità e ben prima della dodecafonia. L'incidenza di Zemlinsky parve più limitata rispetto alle tematiche che lo coinvolsero; quasi si trattasse di un fenomeno tipico della sua epoca, compiuto artisticamente ma sfumato, da riconsiderare semmai in seconda battuta.
Benché di quel mondo Zemlinsky fosse un esponente esemplare, gli nocquero da un lato il confronto ravvicinato con Mahler, più rappresentativo nella sua modernità, dall’altro l’estraneità ai ‘progressi’ della Scuola di Vienna, che per lui si fermarono ai confini della tonalità e ben prima della dodecafonia. L'incidenza di Zemlinsky parve più limitata rispetto alle tematiche che lo coinvolsero; quasi si trattasse di un fenomeno tipico della sua epoca, compiuto artisticamente ma sfumato, da riconsiderare semmai in seconda battuta.
Prima che il riconoscimento giungesse a toccare momenti importanti della sua produzione come la musica da camera e soprattutto il teatro, oggi pienamente rivalutato, il nome di Zemlinsky fu quasi esclusivamente legato alla Lyrische Symphonie, in parte anche per il fortunato abbinamento con i testi del filosofo e scrittore indiano Rabindranath Tagore, Premio Nobel per la letteratura nel 1913 e poi mito di una certa avanguardia poetica novecentesca. Autore di cui Zemlinsky mise qui in musica sette poesie in traduzione tedesca affidandole al canto alternato di sue solisti e ad un'orchestra di proporzioni tanto grandiose quanto lussureggianti.
Se la data di composizione (1922-23) si colloca nel periodo della piena maturità di Zemlinsky (compositore tutt'altro che prolifico, e portato a meditare bene le sue scelte), il tono che pervade l'opera è quello dell'espressionismo onirico, impreziosito da uno stile decorativo di gusto finemente cesellato. Siamo in un clima culturale e musicale sensibilizzato dai colori esotici dell'ultimo Mahler (quello del Canto della terra, più volte adombrato e riecheggiato in passi decisivi) e agitato dal ricordo delle fantasie inquiete dello Schönberg dei Gurrelieder: in versione più estenuata e decadente, con uno sguardo già chiaramente retrospettivo e velato della mesta consapevolezza dei congedi. Il termine lirico è da intendersi in duplice senso: ora struggentemente nostalgico, ora esaltato da un'ansia liberatoria, come metafora di un mondo ormai perduto o idealizzato.
Il lirismo della Sinfonia lirica nasce dalla poesia ardente di Tagore, declamata in linee sinuose ed avvolgenti dalle voci soliste, che ne fanno veri e propri lamenti di un amore vagheggiato, ma è di tipo più simbolico che realistico, anche nella sensualità e nell'ebrezza. Nell'orchestra quel canto diviene qualcosa d'altro: desiderio d'appartenenza, evocazione di una perdita e sogno d'una riconquista. Da questo punto di vista Zemlinsky delinea un percorso nel quale le stazioni dei sette canti, concepiti nella forma di un dialogo tra solitarii che sembrano non incontrarsi mai, si salda intimamente cin gli interludii sinfonici che li collegano tra loro in un unico, omogeneo disegno formale: la cifra fondamentale è enunciata nel preludio, scandito da accenti fatali e minacciosi, con espressione insieme austera e appassionata. Il rivestimento sinfonico diviene così commento e ampliamento della poesia, sogno di un sogno, estasi di un desiderio che sopravanza la morte, per consegnarsi voluttuosamente al silenzio dell'oscurità.
La ricchissima tavolozza orchestrale, con il suo eclettismo cosciente, è un involucro abbagliante che racchiude una tragica monocromia e sottintende un'essenziale unità formale. A tacere degli evidenti richiami tematici che costellano le diverse sezioni in corrispondenza delle immagini poetiche, non sfugge a un'attenta analisi la costruzione dell'opera secondo precise coordinate sinfoniche, sì da combinare la forma del ciclo liederistico con quella del poema sinfonico. Anche questo aspetto conferma la volontà di riflettere i contenuti poetici in una sorta di contemplazione estetica, non vissuta in prima persona ma riflessa in uno specchio oggettivante di evocazioni sonore. Come se tutto fosse un ricordo, un simbolico vagare tra realtà e sogno, tra esaltazione e rassegnazione, fluttuante e incorporeo.
Sergio Sablich
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