Alfredo Casella (1883-1947) |
Mahler era convinto che tutte le vere composizioni mantengono la loro pregnanza anche nelle cosiddette riduzioni pianistiche, e che dunque queste ultime risultino di valore insostituibile per lo studio e la divulgazione della musica per orchestra. Può sorprendere - per portare un esempio - che la prima stesura di quel capolavoro di cesello timbrico che è Das Lied von der Erde sia stata realizzata da Mahler per canto e pianoforte: non è possibile evidentemente pensare a due momenti creativi distinti, meno che meno, ovviamente, ad una fase di “orchestrazione”, vista come elemento di abbellimento ultimo, o di ornamento decorativo. È piuttosto vero – e Igor Stravinsky lo dichiarò apertamente – che la pratica del pianoforte (si presti attenzione: non la composizione al pianoforte) sprigiona illuminazioni coloristiche. Come una fotografia in bianco e nero riesce ad evocare potentemente i colori, così un’esecuzione pianistica, che a noi pare timbricamente imperfetta, consente in realtà di accedere con più gradi di libertà a quel mondo fantasmagorico che ci si accinge a descrivere con i suoni. Sebbene vari musicologi e critici si siano detti convinti che uno dei motivi delle difficoltà di ricezione dell’opera di Mahler (avvolta da un ingiustificato oblio per cinquant’anni dalla morte del suo autore) sia risieduta proprio nella pratica, comune prima dell’avvento dei mezzi di riproduzione fonografica, di affrontare la conoscenza delle partiture attraverso lo studio delle versioni per pianoforte a quattro mani, Mahler fu determinato riguardo il valore delle trascrizioni pianistiche e scelse con grande cura a chi affidarle: tra questi Bruno Walter, Alexander Zemlinsky e Alfredo Casella): non riteneva dunque tali trascrizioni colpevoli di depauperare la partitura originale dei suoi valori intrinseci.
Nel suo saggio "Casella mahleriano a Parigi" Roberto Calabretto delinea con magistrale tratto investigativo il clima di vivace polemica che, nei primi anni del secolo, investiva la figura Gustav Mahler, violentemente criticato dai musicisti francesi sia nella veste di direttore (in particolare per quanto riguarda i suoi interventi sulle partiture beethoveniane) che in quella di compositore (in particolare per la banalità dei temi, la ripetizione dei materiali, l’uso di masse sinfoniche inutilmente gigantesche). In questo ambiente polemicamente ostile Casella risulta l’unica figura musicale di rilievo che prende apertamente le difese della musica di Mahler, sapendone cogliere la portata e impegnandosi con convinzione (nelle sua duplice veste di critico e organizzatore musicale) a farla conoscere in Francia («A Casella pioniere... Parigi, aprile 1909» si legge scritto dal maestro sulla copia della partitura della Terza Sinfonia che troviamo nella biblioteca di Casella).
Grazie a Paul e Sophie Clemenceau – che avevano dato vita ad un salotto brillantissimo, tra i più importanti di Parigi – Casella incontrò Mahler, di ritorno da New York, nell’aprile del 1909. Stando alle sue parole «Mahler fu subito assai affettuoso con lui e quando vide che sapeva a memoria tanta musica sua, ne rimase sinceramente commosso».
Quanto alle circostanze dell’incarico dato da Mahler a Casella di trascrivere per pianoforte a quattro mani la Settima (a parte l’episodio curioso del dono di una foto ritratto con dedica «An meinem besten Freund» accanto ad un breve frammento del primo movimento della Settima Sinfonia, il tema del corno), non vi sono documenti né – stranamente – notizie nell’epistolario mahleriano. In merito alle motivazioni che spinsero Mahler ad affidare questo importante compito a Casella possiamo dunque solo arrischiare delle congetture: oltre alla stima per Casella ormai affermato virtuoso del pianoforte sicuramente Mahler aveva potuto apprezzare alcune raffinatezze armoniche e timbriche della Seconda Sinfonia di Casella (allora fresca di stampa). Letteralmente entusiasta per questo lavoro, Casella dichiarò spesso che la conoscenza delle Sinfonie di Mahler fu l’evento più importante e decisivo della sua formazione artistica. Quanto alle testimonianze di stima di Mahler per il giovane Casella dobbiamo citare la preziosa raccomandazione presso Universal Edition in merito alla pubblicazione della Rapsodia Italia e della Suite in Do maggiore (che avevano ricevuto “cortesi rifiuti” da parte degli editori francesi). Casella non avrà il piacere di vederle “tenute a battesimo” da Mahler. La Rapsodia Italia e la Suite in Do maggiore, in programma a Roma per la stagione primaverile del 1910, non vennero infatti eseguite per l’annullamento del concerto in quanto Mahler, come si legge nella sua lettera a Casella del 31 aprile 1910, a Roma trovò che «L’orchestre est abominable. Il m’a été impossible d’en faire quoi que ce soit. J’ai annulé mon troisième concert, dans lequel devaient être données votre Italia et votre Suite, et je m’en vais. Ces concerts ont été un purgatoire pour moi, surtout les répétitions. Jamais je ne me suis trouvé devant une société aussi ignorante et insolente…» (L’orchestra è abominevole. Mi è stato impossibile farne alcunché. Ho annullato il mio terzo concerto, in cui dovevano essere date la vostra Italia e la vostra Suite, ed io me ne vado. Questi concerti sono stati un purgatorio per me, soprattutto le prove. Mai mi sono trovato di fronte ad una società così ignorante e insolente ...). A Casella spetterà l’onore di tenere la prolusione al Mahlerfest di Amsterdam nel maggio 1920 dove, sotto la direzione di Mengelberg, per la prima volta al mondo verrà eseguita l’opera omnia mahleriana. In questa prolusione Casella dirà che «ciò che particolarmente lo afferra nell’arte di Mahler, non è tanto la sua volontà di creare una Sinfonia libera e universale ... ma il suo senso meraviglioso e acutissimo della qualità sonora, del timbro».
Quanto alle vicende che videro la nascita della Settima Sinfonia, la musicologia ci documenta di molti giovani colleghi e di ammiratori di Mahler presenti a Praga per la création dell’opera, il 19 settembre 1908, in particolare Alban Berg, oltre ai direttori Otto Klemperer, Bruno Walter, Artur Bodanzky e Klaus Pringheim. Klemperer racconta che Mahler, tra una prova e l’altra, ritirò l’intero materiale orchestrale e, ritornato al suo albergo, revisionò, limò, ritoccò l’orchestrazione correggendola direttamente sulle parti degli strumenti. Rifiutò ogni aiuto: il pavimento della sua grande camera di albergo era letteralmente ricoperto dalle parti di orchestra della sinfonia. Al di là del “successo di stima” per la prima praghese la Settima, nelle successive esecuzioni di Amsterdam e Vienna suscitò molte riserve della critica. Thomas Mann fu probabilmente presente alla prima praghese, ed è anche possibile che abbia ascoltato la versione di Monaco del 27 ottobre 1909: Henry-Louis de La Grange, nella sua monumentale biografia, sottolinea che la descrizione di due delle composizioni immaginarie di Adrian Leverkühn nel Doktor Faustus, il concerto per violino e la cantata Faust, fanno manifesto riferimento, rispettivamente al secondo e al quarto tempo della Settima, cioè alle due Nachtmusik (composte per prime, contemporaneamente al Finale della Sesta Sinfonia, nell’estate del 1904, a Maiernigg am Wörthersee, in Carinzia). Già nel contesto della création a Praga nel 1908 i discepoli di Mahler proposero di ribattezzare l’insieme dei tre movimenti di mezzo della sinfonia come Nachtwanderung (vagare nella notte): la prima Nachtmusik (costantemente percorsa da alternanze del modo maggiore e minore e di risposte in eco), una lenta marcia attraverso la notte in ascolto dei suoi rumori e dei suoi suoni misteriosi, sembra ispirata alla Ronda di notte di Rembrandt; lo Scherzo (Schattenhaft, spettrale) come un passaggio tormentato e inquietante nell’oscurità, un pandemonio nel quale gli spiriti danzano, un riflesso del mondo passato, popolato d’ombre; infine nella seconda Nachtmusik questa progressiva discesa verso gli inferi si inverte, il pathos si dissolve, lascia spazio ad un Andante amoroso, di fattura pressoché classica, sottilmente policromo nella raffinata orchestrazione con arpa, chitarra e mandolino.
Il passaggio che si oppone alla notte è il giorno. Il Rondò-Finale fu composto (con lo Scherzo e, per ultimo, il primo movimento) nell’estate del 1905 e fu il frutto del superamento di una acuta crisi creativa che sfociò in uno slancio produttivo folgorante. Questo movimento costituisce una grande kermesse della gioia collettiva, un mosaico, un gigantesco potpourri che celebra l’azione, l’ottimismo, il giubilo per la ritrovata creatività. Mahler esalta l’orchestra in tutte le sue sezioni e non si vergogna di apparire rumoroso fino al banale nell’esprimere un tripudiante e festoso sinfonismo: usa tutti i mezzi, dallo stile rococò del minuetto, alle turcherie (con tanto di piatti e gran cassa) a movenze tipiche del cancan francese, fino ad una citazione del preludio dei Maestri cantori di Wagner (che Mahler, quando dirigeva la Settima, usava far significativamente precedere alla sinfonia). Alla fine del movimento la ripresa del doloroso tema principale del primo movimento può essere letto come l’epilogo di un processo che conduce “dall’oscurità alla luce”, come una vittoria riportata sulle miserie del mondo. In molti, a cominciare da Adorno hanno trovato questo movimento teatrale, superficiale, pomposo, fallimentare. Altrettanto polemicamente sembra rispondergli il filosofo Eugenio Trías: «Questo finale, in un ironico tono “assertivo” in do maggiore, riempiva di circospetta diffidenza Adorno, grande puritano, con poco senso dell’umorismo e incapace di godere di una musica altamente comica senza sentirsi in colpa. Nell’analisi di questo delirante e spropositato finale, infatti, [Adorno] supera se stesso quanto a ristrettezza di vedute: probabilmente anch’egli temeva che questa musica, tanto amata, finisse con il ritrovarsi sommersa e annegata da questa “volgarità”, che in fondo lo disturbava.» Come disse di Adorno, con pungente acume, György Ligeti: «era un personaggio contraddittorio. Geniale e stupido insieme. Una volta ho affermato che Adorno è la persona più intelligentemente stupida che abbia mai conosciuto».
Per finire un’osservazione sul Primo movimento, sicuramente il più complesso e profondo dell’intera Sinfonia. Fondato su un inusuale schema tonale esso fornisce senza dubbio uno dei primi esempi di tonalità progressiva e al quale Arnold Schoenberg ha più volte guardato nel comporre la sua (quasi coeva) Kammersymphonie op. 9. Una introduzione lugubre in si minore, con un ritmo di marcia funebre e una dolorosa melodia del corno tenore germinatrice di tutti i temi del movimento (qui la natura ruggisce, fu la descrizione di Mahler a Mengelberg, che troviamo annotata sulla sua partitura della Settima), conduce (attraverso numerose divagazioni motiviche) ad un Allegro con fuoco in mi minore, spavaldo, ove il carattere di marcia funebre si trasfigura in quello di una grottesca marcia militare; e poi in solenne inno, per liberarsi infine in una impetuosa coda, ove la tonalità di mi maggiore assume le sembianze beffarde di un ghigno spietato. Le sezioni dei secondi temi, sempre in tonalità maggiori, nostalgiche e imploranti, sembrano promettere un sollievo, sempre disatteso dalle dure riprese dei temi di marcia.
Nel suo saggio "Casella mahleriano a Parigi" Roberto Calabretto delinea con magistrale tratto investigativo il clima di vivace polemica che, nei primi anni del secolo, investiva la figura Gustav Mahler, violentemente criticato dai musicisti francesi sia nella veste di direttore (in particolare per quanto riguarda i suoi interventi sulle partiture beethoveniane) che in quella di compositore (in particolare per la banalità dei temi, la ripetizione dei materiali, l’uso di masse sinfoniche inutilmente gigantesche). In questo ambiente polemicamente ostile Casella risulta l’unica figura musicale di rilievo che prende apertamente le difese della musica di Mahler, sapendone cogliere la portata e impegnandosi con convinzione (nelle sua duplice veste di critico e organizzatore musicale) a farla conoscere in Francia («A Casella pioniere... Parigi, aprile 1909» si legge scritto dal maestro sulla copia della partitura della Terza Sinfonia che troviamo nella biblioteca di Casella).
Grazie a Paul e Sophie Clemenceau – che avevano dato vita ad un salotto brillantissimo, tra i più importanti di Parigi – Casella incontrò Mahler, di ritorno da New York, nell’aprile del 1909. Stando alle sue parole «Mahler fu subito assai affettuoso con lui e quando vide che sapeva a memoria tanta musica sua, ne rimase sinceramente commosso».
Quanto alle circostanze dell’incarico dato da Mahler a Casella di trascrivere per pianoforte a quattro mani la Settima (a parte l’episodio curioso del dono di una foto ritratto con dedica «An meinem besten Freund» accanto ad un breve frammento del primo movimento della Settima Sinfonia, il tema del corno), non vi sono documenti né – stranamente – notizie nell’epistolario mahleriano. In merito alle motivazioni che spinsero Mahler ad affidare questo importante compito a Casella possiamo dunque solo arrischiare delle congetture: oltre alla stima per Casella ormai affermato virtuoso del pianoforte sicuramente Mahler aveva potuto apprezzare alcune raffinatezze armoniche e timbriche della Seconda Sinfonia di Casella (allora fresca di stampa). Letteralmente entusiasta per questo lavoro, Casella dichiarò spesso che la conoscenza delle Sinfonie di Mahler fu l’evento più importante e decisivo della sua formazione artistica. Quanto alle testimonianze di stima di Mahler per il giovane Casella dobbiamo citare la preziosa raccomandazione presso Universal Edition in merito alla pubblicazione della Rapsodia Italia e della Suite in Do maggiore (che avevano ricevuto “cortesi rifiuti” da parte degli editori francesi). Casella non avrà il piacere di vederle “tenute a battesimo” da Mahler. La Rapsodia Italia e la Suite in Do maggiore, in programma a Roma per la stagione primaverile del 1910, non vennero infatti eseguite per l’annullamento del concerto in quanto Mahler, come si legge nella sua lettera a Casella del 31 aprile 1910, a Roma trovò che «L’orchestre est abominable. Il m’a été impossible d’en faire quoi que ce soit. J’ai annulé mon troisième concert, dans lequel devaient être données votre Italia et votre Suite, et je m’en vais. Ces concerts ont été un purgatoire pour moi, surtout les répétitions. Jamais je ne me suis trouvé devant une société aussi ignorante et insolente…» (L’orchestra è abominevole. Mi è stato impossibile farne alcunché. Ho annullato il mio terzo concerto, in cui dovevano essere date la vostra Italia e la vostra Suite, ed io me ne vado. Questi concerti sono stati un purgatorio per me, soprattutto le prove. Mai mi sono trovato di fronte ad una società così ignorante e insolente ...). A Casella spetterà l’onore di tenere la prolusione al Mahlerfest di Amsterdam nel maggio 1920 dove, sotto la direzione di Mengelberg, per la prima volta al mondo verrà eseguita l’opera omnia mahleriana. In questa prolusione Casella dirà che «ciò che particolarmente lo afferra nell’arte di Mahler, non è tanto la sua volontà di creare una Sinfonia libera e universale ... ma il suo senso meraviglioso e acutissimo della qualità sonora, del timbro».
Quanto alle vicende che videro la nascita della Settima Sinfonia, la musicologia ci documenta di molti giovani colleghi e di ammiratori di Mahler presenti a Praga per la création dell’opera, il 19 settembre 1908, in particolare Alban Berg, oltre ai direttori Otto Klemperer, Bruno Walter, Artur Bodanzky e Klaus Pringheim. Klemperer racconta che Mahler, tra una prova e l’altra, ritirò l’intero materiale orchestrale e, ritornato al suo albergo, revisionò, limò, ritoccò l’orchestrazione correggendola direttamente sulle parti degli strumenti. Rifiutò ogni aiuto: il pavimento della sua grande camera di albergo era letteralmente ricoperto dalle parti di orchestra della sinfonia. Al di là del “successo di stima” per la prima praghese la Settima, nelle successive esecuzioni di Amsterdam e Vienna suscitò molte riserve della critica. Thomas Mann fu probabilmente presente alla prima praghese, ed è anche possibile che abbia ascoltato la versione di Monaco del 27 ottobre 1909: Henry-Louis de La Grange, nella sua monumentale biografia, sottolinea che la descrizione di due delle composizioni immaginarie di Adrian Leverkühn nel Doktor Faustus, il concerto per violino e la cantata Faust, fanno manifesto riferimento, rispettivamente al secondo e al quarto tempo della Settima, cioè alle due Nachtmusik (composte per prime, contemporaneamente al Finale della Sesta Sinfonia, nell’estate del 1904, a Maiernigg am Wörthersee, in Carinzia). Già nel contesto della création a Praga nel 1908 i discepoli di Mahler proposero di ribattezzare l’insieme dei tre movimenti di mezzo della sinfonia come Nachtwanderung (vagare nella notte): la prima Nachtmusik (costantemente percorsa da alternanze del modo maggiore e minore e di risposte in eco), una lenta marcia attraverso la notte in ascolto dei suoi rumori e dei suoi suoni misteriosi, sembra ispirata alla Ronda di notte di Rembrandt; lo Scherzo (Schattenhaft, spettrale) come un passaggio tormentato e inquietante nell’oscurità, un pandemonio nel quale gli spiriti danzano, un riflesso del mondo passato, popolato d’ombre; infine nella seconda Nachtmusik questa progressiva discesa verso gli inferi si inverte, il pathos si dissolve, lascia spazio ad un Andante amoroso, di fattura pressoché classica, sottilmente policromo nella raffinata orchestrazione con arpa, chitarra e mandolino.
Il passaggio che si oppone alla notte è il giorno. Il Rondò-Finale fu composto (con lo Scherzo e, per ultimo, il primo movimento) nell’estate del 1905 e fu il frutto del superamento di una acuta crisi creativa che sfociò in uno slancio produttivo folgorante. Questo movimento costituisce una grande kermesse della gioia collettiva, un mosaico, un gigantesco potpourri che celebra l’azione, l’ottimismo, il giubilo per la ritrovata creatività. Mahler esalta l’orchestra in tutte le sue sezioni e non si vergogna di apparire rumoroso fino al banale nell’esprimere un tripudiante e festoso sinfonismo: usa tutti i mezzi, dallo stile rococò del minuetto, alle turcherie (con tanto di piatti e gran cassa) a movenze tipiche del cancan francese, fino ad una citazione del preludio dei Maestri cantori di Wagner (che Mahler, quando dirigeva la Settima, usava far significativamente precedere alla sinfonia). Alla fine del movimento la ripresa del doloroso tema principale del primo movimento può essere letto come l’epilogo di un processo che conduce “dall’oscurità alla luce”, come una vittoria riportata sulle miserie del mondo. In molti, a cominciare da Adorno hanno trovato questo movimento teatrale, superficiale, pomposo, fallimentare. Altrettanto polemicamente sembra rispondergli il filosofo Eugenio Trías: «Questo finale, in un ironico tono “assertivo” in do maggiore, riempiva di circospetta diffidenza Adorno, grande puritano, con poco senso dell’umorismo e incapace di godere di una musica altamente comica senza sentirsi in colpa. Nell’analisi di questo delirante e spropositato finale, infatti, [Adorno] supera se stesso quanto a ristrettezza di vedute: probabilmente anch’egli temeva che questa musica, tanto amata, finisse con il ritrovarsi sommersa e annegata da questa “volgarità”, che in fondo lo disturbava.» Come disse di Adorno, con pungente acume, György Ligeti: «era un personaggio contraddittorio. Geniale e stupido insieme. Una volta ho affermato che Adorno è la persona più intelligentemente stupida che abbia mai conosciuto».
Per finire un’osservazione sul Primo movimento, sicuramente il più complesso e profondo dell’intera Sinfonia. Fondato su un inusuale schema tonale esso fornisce senza dubbio uno dei primi esempi di tonalità progressiva e al quale Arnold Schoenberg ha più volte guardato nel comporre la sua (quasi coeva) Kammersymphonie op. 9. Una introduzione lugubre in si minore, con un ritmo di marcia funebre e una dolorosa melodia del corno tenore germinatrice di tutti i temi del movimento (qui la natura ruggisce, fu la descrizione di Mahler a Mengelberg, che troviamo annotata sulla sua partitura della Settima), conduce (attraverso numerose divagazioni motiviche) ad un Allegro con fuoco in mi minore, spavaldo, ove il carattere di marcia funebre si trasfigura in quello di una grottesca marcia militare; e poi in solenne inno, per liberarsi infine in una impetuosa coda, ove la tonalità di mi maggiore assume le sembianze beffarde di un ghigno spietato. Le sezioni dei secondi temi, sempre in tonalità maggiori, nostalgiche e imploranti, sembrano promettere un sollievo, sempre disatteso dalle dure riprese dei temi di marcia.
Ex Novo Musica 2011
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