Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, ottobre 24, 2015

XXII Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Venezia

XXII Festival... (1959)
Ma il Festival musicale di gran lunga più atteso svolto durante il terzo trimestre del 1959 (dall'11 al 26 settembre) e particolarmente seguito oltre che dalla Radio, attraverso tutte le sue manifestazioni, anche dalla Televisione Italiana, limitatamente ad alcuni dei suoi spettacoli, fu quello veneziano dedicato alla musica contemporanea e giunto quest'anno alla sua ventiduesima edizione. Offendo un programma ricco come mai nel passato, il XXII Festival Internazionale di Musica Contemporanea presentò venti composizioni in prima esecuzione assoluta, tre opere teatrali anch'esse in prima rappresentazione assoluta, quattordici lavori in prima esecuzione in Italia, e, oltre a tutti questi, ripropose composizioni contemporanee ormai classiche ed altre ancora non più nuovissime ma di attuale interesse.
Nel concerto sinfonico d'inaugurazione, diretto da Sanzogno a capo dell’Orchestra del Teatro La Fenice, figurarono una novità assoluta e tre prime esecuzioni italiane. Assolutamente nuova la Fantasia per clarinetto e orchestra di Antonio Veretti, "composta - a detta dell’autore - su di una serie dodecafonica, ma tenendo presente alcuni aspetti della tonalità", riconfermo le doti dl concretezza e il carattere costruttivo della concezione musicale di Veretti, presso il quale la tecnica dodecafonica, lungi dal condurre ad una rottura d’ogni schema formale  e ad un'esasperazione linguistica ed espressiva, si concilia perfettamente con le strutture musicali classiche; 1’ultima delle variazioni che costituiscono la Fantasia è appunto una Fughetta. Gli altri tre lavori, in prima esecuzione italiana, del concerto di inaugurazione furono: Alla memoria di G. B. Pergolesi, recitativo ed epitaffio su testo di G. B. Brezzo per tenore e orchestra di Wladimir Vogel, Musica funebre per archi di Witold Lutoslawski, e il Capriccio per orchestra, soprano e violino di Rolf Liebermann. Singolarissimo l’assunto dell’opera di Vogel di porre in musica un breve cenno biografico del musicista jesino e l'iscrizione di una lapide commemorativa, di per se stessi refrattari ad ogni amplificazione musicale. Il testo della cantata è infatti basato sulla narrazione di alcuni avvenimenti della vita di Pergolesi scritta da Guido Lorenzo Brezzo e riferita da Giuseppe Radiciotti nel 1910, e sopra un epitaffio il cui testo è tratto dalle iscrizioni delle lapidi poste sulla casa natale di Pergolesi e nell’atrio del piccolo teatro di Jesi. Per create una relazione con la musica di Pergolesi, senza impegnare direttamente temi delle opere del musicista, che difficilmente avrebbero potuto inserirsi in un materiale sonoro organizzato secondo il metodo dodecafonico, Vogel basa la serie fondamentale di dodici suoni su alcuni intervalli caratteristici della musica pergolesiana. L'aridità dei testi letterari non impedisce alla musica di Vogel di elevarsi spesso a quel grado di pura liricità che è uno degli aspetti più caratteristici dell’arte sua; la musica segue gli avvenimenti del riassunto biografico, mettendone in rilievo i passi pin significativi e mirando alla immediata comunicazione degli impliciti contenuti sentimentali. La Marcia funebre per archi di Lutoslawski considerato l’esponente di maggior rilievo della musica polacca contemporanea, giungeva a Venezia dopo aver ricevuto il suo battesimo al Festival di Varsavia nel 1958 ed essere stata riascoltata al recente Festival di Parigi. Composizione dedicata alla memoria di Bartok, ricca di fascino e densa di carica emotiva, traduce la sua dichiarata ispirazione in termini dodecafonici. Nel Capriccio Liebermann ha pienamente realizzato l’intento di "congiungere una sonorità chiara, di grande trasparenza, con una espressività di carattere lirico". Portatrice dell’elemento lirico è la voce del soprano leggero che si espande in preziosi vocalizzi avvolti dagli arabeschi virtuosistici del violino solista. Per mettere in maggior rilievo questo, Liebermann limita l’organico orchestrale agli strumenti a fiato, a due pianoforti, alla percussione e ai contrabbassi. Ottimi solisti nei lavori di Vogel, di Lieberrnann e di Veretti il tenore Herbert Handt, il soprano Margherita Kalmus, il violinista Anton Fietz e il clarinettista Giacomo Gandini.
Anche il concerto dell’orchestra "Philharmonia Hungarica" di Vienna diretta da Antal Dorati presentò tre prime esecuzioni italiane e una novità assoluta. Questa consistette negli Studi per un "Homunculus" di Roberto Lupi, ispirati all’Homunculus goethiano "quale antenato dei prodotti speculativi della cultura d’oggi". Musicalmente l’Homuncu1us si presenta come serie dodecafonica, mentre le sue esperienze, sulla traccia del dramma di Goethe, si descrivono attraverso nove pezzi, che sono altrettante variazioni sulla serie stessa. Ispirata al suggestivo paesaggio della pampa argentina è invece la pastorale sinfonica Pampeana terza di Alberto Ginastera, che fece seguito nel medesimo concerto all’introversa composizione di Lupi. Il lavoro di Ginastera tende invece alla chiara esternazione di sentimenti nati al cospetto dello spettacolo della natura, e perciò, pur imperniandosi anch’esso sopra una serie dodecafonica, non rifugge, all’interno di questa, di trarre partito da alcuni rapporti tonali. I Tre pezzi per violoncello e orchestra di Matyas Seiber, in prima esecuzione per l’Italia, compresi come l’opera precedente di Ginastera e la Sinfonia n. 1 di André Jolivet nel concerto di Dorati, piacquero per il loro sapiente sfruttamento delle risorse dello strumento solista - valorizzato anche in virtù dell'interpretazione del violoncellista Amaryllis Fleming - non disgiunto da un profondo contenuto espressivo. La Sinfonia di Jolivet costituisce senza dubbio uno dei saggi più cospicui della sua arte, ponendo in rilievo i caratteri essenziali che il compositore parigino è venuto sviluppando fino ad oggi nella sua musica: violenza dinamica esercitata attraverso un alto virtuosismo strumentale, come appare specialmente nel primo (Allegro strepitoso)e nell’ultimo tempo (Allegro corruscante), e senso del magico e dell’esoterico suscitato attraverso l’attenta decantazione del timbro e spesso ricorrendo a procedimenti della musica orientale (vedi il secondo tempo, Adagio misterioso).
Degli altri tre concerti sinfonici del Festival l'ultimo, diretto da Leonardo Bernstein, fu quello della New York Philarmonic Orchestra, la quale, in tournée attraverso l’Europa, venne ad eseguire a Venezia, insieme ad un anodino Second Essay op.17 di Samuel Barber, composizioni contemporanee ormai largamente note, quali The Age of Anxiey dello stesso Bernstein, The Unanswered Question di Ives e la Quinta Sinfonia di Sciostakovic. Ma i concerti maggiormente attesi furono indubbiamente i due dell’Orchestra Sinfonica di Roma della Radiotelevisione Italiana diretti da Scaglia e da Maderna, soprattutto perché in essi facevano comparsa alcune delle produzioni degli esponenti più qualificati della nuova generazione musicale.
Il concerto diretto da Maderna s’aprì coi gradevolissimi Impromptus 1-4 di Nicolò Castiglioni, attenti ad esaurire in brevi at
timi effetti sonori raffinati ed eleganti. Pure in prima esecuzione assoluta seguì, agli Impromtus di Castiglioni, la cantata Vor einer Kerze per contralto (solista Sophia van Santen) e orchestra di Boris Porena, su versi di Paul Celan, opera di ottima fattura che sembra segnare la conversione, non si sa se provvisoria, dalla tonalità alla tecnica seriale del giovane compositore romano. Lavoro di una personalità artistica ormai pienamente matura si rivelò invece la Composizione per orchestra n.2 (Diario polacco '58) di Luigi Nono inclusa anch’essa nel concerto di Maderna, e nuova per l’Ita1ia; in questo Diario momenti di lirica stasi si alternano a momenti di dinamica veemenza, andamento tipico nella musica strumentale del compositore veneziano qui rivissuto nell'umana partecipazione d’una realtà in storico e dialettico divenire. Accanto alle composizioni di questi giovani Maderna presentò in prima esecuzione assoluta: Forme sovrapposte di Mario Peragallo, Musica per archi ("Meloritmi") di Roman Vlad, e un Concerto per pianoforte e orchestra op. 30 di Hans Erich Apostel. Quest’ultimo di stretta osservanza schönberghiana, suono alquanto prolisso e accademico; di ingegnosa concezione costruttiva si dimostrarono invece i Meloritmi di Vlad, mentre in Forme sovrapposte Peragallo fece valere ancora una volta la sua brillante inventiva entro uno stimolante assunto compositivo; fondare il gioco e la costruzione musicali sulla mutevole combinazione di elementi strutturali, per così dire, prefabbricati.
Due giovani furono pure eseguiti nel concerto diretto da Scaglia: Aldo Clementi
e Flavio Testi, attivi ambedue a Milano sebbene assisi su posizioni estetiche lontanissime fra loro, anzi diametralmente opposte. Impegnato nella più avanzata problematica seriale, ch'egli sviluppa con assoluta intransigenza senza nulla concedere all’effetto fine a se stesso, Clementi in Episodi, già vincitori d’un secondo premio nel recente concorso internazionale della SIMC ed eseguiti nel gennaio del 1958 alla Radio di Bruxelles sotto la direzione di Maderna, s’impone per certa castigatezza di suono e di stile scabra e rude, schiva di qualsiasi compiacenza, e perciò coerente nel risultato e nell’impegno morale. Al contrario Testi, presente con la prima assoluta di un Concerto per violino, pianoforte e orchestra stupendamente eseguito dal duo Gulli-Cavallo, cerca la propria coerenza, che pure ottiene, nella consequenzialità d'un discorso accessibile a tutti in virtù d’una sintassi e di certe moderne locuzioni musicali ormai di dominio pubblico; Testi insomma impiega una sorta di linguaggio musicale di senso comune depositato soprattutto dall’eredità di Bartok, ma appunto, in questo Concerto, la sua insistenza mostra talvolta di sottovalutare le capacità recettive dell’ascoltatore, e di sopravalutare la sua pazienza. Di ispirazione bartokiana (e soprattutto nel tempo centrale) anche la Fantasia (Concerto) per pianoforte e orchestra di Martinu, il musicista cecoslovacco recentemente scomparso qui correttamente interpretato dalla solista Margrit Weber, e compreso nel medesimo concerto accanto ai giovani Clementi e Testi, e insieme ad altre prime esecuzioni italiane, quali l’insipida Suite dal balletto "Prométhé" di Maurice Ohana, l’arcadica Egloga ("La nouvelle Héloise") per arpa (Solista la brava Maria Selmi Dongellini) e orchestra d’archi di Alexei Haieff  l’efficace, anche se un po’ troppo esuberante, Ballata op.23 di Gottfried Einem.
Einem comparve con i Fünf Lieder op.25 anche in un concerto da camera del baritono Hermann Prey, proposto, secondo l'intenzione del programma, entro un arco di sviluppo storico del Lieder tedesco che da Hugo Wolf (alcuni degli Eichendorff-Lieder scelti dal primo e dal secondo volume), passando per Wo1fgang Former (Vier Gesänge nach Vorten von Hölderlin) giunge, attraverso lui, a Hans Werner Henze, che chiudeva il concerto con le poetiche Cinque canzoni napoletane da un testo anonimo del XVII secolo. I concerti da camera non ci riservarono del resto novità, se si eccettuano tre decorativi Nuovi valzer per due pianoforti di Vittorio Rieti, impeccabilmente eseguiti in un recital dal
duo Gold-Fizdale insieme al Concerto, ai Cinq pièces faciles e e alla Sonata di Strawinskj, e a quella di Poulenc del 1955. L’asco1to in questa sede di alcuni classici della musica nuova fu tuttavia utilissimo proprio per ricondurre il giudizio sulle novità all’interno di una prospettiva storica; assai opportuno perciò fu il concerto di musiche da camera dedicato ad Alban Berg, cui presero parte il Quartetto Vegh, interpretando il Quartetto op.3 e la Lyrische Suite, e l'orchestra da camera del Teatro La Fenice col violinista André Gertler e la pianista Diane Andersen, sotto la direzione di Luciano Rosada, eseguendo il
Concerto per pianoforte, violino e tredici strumenti a fiato. Neppure nuovo ai più, anche se veniva eseguito per la prima volta in Italia, fu il Livre pour quatuor, di Boulez, risalente al 1949, interpretato dal Quartetto Parrenin in un concerto misto di musica elettronica di Pousseur, Maderna e Ligeti. Altra musica elettronica di Haubenstock-Ramati, Boucourechliev, Koenig, Zumbach, Evangelisti e Berio, si ascoltò in un concerto straordinario.Ma i maggiori richiami del Festival furono costituiti dalle manifestazioni a carattere spettacolare. Non diciamo del programma di danze e canti de1l’India eseguito dagli artisti de1l’Asian Music Circle, di natura piuttosto specialistica, ma delle Feste veneziane sull'acqua e di Giuochi e favole per bambini, entrambi trasmessi anche dalla Televisione Italiana, e soprattutto, sotto l'aspetto particolarmente musicale, le tre opere teatrali in un atto di Berio, Bruni-Tedeschi e Negri.
Feste veneziane sull'acqua furono un tentativo di rievocare le sontuose feste della Serenissima lungo i secoli XVI, XVII e XVIII in occasione di fauste ricorrenze, o in onore di illustri personaggi, oppure semplicemente per divertire il popolo. Se la manifestazione riuscì mancata dal lato spettacolare a causa dell'insufficiente regia di Filippo Crivelli, che non seppe fondere in superiore sintesi i vari ingredienti musicali, scenici e coreografici, fu grato tuttavia riascoltare le stupende musiche di Andrea Gabrieli, del Cavalli, del Partenio, del Galuppi, del Venier e del Marcello dirette da Umberto Cattini; e comunque Feste veneziane sull'acqua 
lasciarono intravvedere la possibilità di dar vita a una sorta di grandiosa féerie dell’arte, del costume e della storia veneziana, che, risolta in un’armonica totalità spettacolare da una direzione sensibile e capace, potrebbe costituire ogni anno anche un innegabile richiamo turistico.
Ottima invece la riuscita di Giuochi e favole per bambini a cura di Luciano Folgore, rappresentati al Teatro La Fenice con la regia di Enriquez e la direzione musicale di Gracis: nove brevi scene musicate da Ghedini (Girotondo), Tansman (Gli abiti nuovi del re), Mortari (Le lettere dell'alfabeto), Rota (Lo scoiattolo in gamba), Franci (Comica finale), Porrino (La bambola malata), Nabokov (Balletto), Henze (L’usignolo dell'imperatore) e Di Majo (Nardiello). Di tutte nettamente migliore quella di Henze per la penetrazione poetica della psicologia infantile attraverso un'acuta caratterizzazione timbrica.
Aspettativa vivissima era riservata alle opere in un atto Il Circo Max di Gino Negri e Diagramma circolare di Bruni-Tedeschi, e all'azione mimica Allez hop! di Luciano Berio, tutte anch’esse rappresentate in prima assoluta al Teatro La Fenice. Pur estremamente dissimili nella concezione e nel linguaggio, esse rivelano un carattere comune determinato dal loro enuclearsi in forme che, per un verso o per l'altro, non si offrono compiute e definitive, ma si dispongono a soluzioni possibili. Nel Circo Max tale senso di aperta disponibilità consiste nell'impressione di precarietà e di provvisorietà che proviene dal carattere estemporaneo dell'invenzione e del1'e1aborazione
musicale, e da una materia direttamente condizionata dagli interessi contingenti dell'attualità mondana. Per Negri la musica conta prima di tutto in quanto valga a dar voce ad un’ispirazione o ad un rifiuto d'ordine morale, ed egli lo dimostrò con questa sua operina, che più irriverente nei confronti della musica colta e della sua classica tradizione non si potrebbe immaginare. La validità del Circo Max è infatti tutta nel gesto della profanazione ("profanazione in un, atto" l’intitola appunto l’autore) che in esso si compie dei monumenti di Bach, Mozart, Beethoven, Brahms, ecc., mettendone i temi in bocca ai tipici personaggi da rotocalco e sposandoli alla loro satira, la quale è condotta al limite di questo contrasto, eppure fa centro in virtù d’un gusto musicale tanto più prezioso quanto più si regge su una materia volutamente squallida.Su un piano completamente diverso si pongono Berio e Bruni-Tedeschi, nei cui lavori l'apertura alla quale abbiamo accennato è invece suggerita dagli argomenti, che non si esauriscono nella loro chiusa vicenda, ma descrivono od alludono a processi continui circolari le cui deduzioni o soluzioni sono rimesse allo spettatore. Ma in Allez hop! si verifica parzialmente anche una particolare poetica oggi al centro degli interessi di quella che Guido Maria Gatti ha recentemente definito la "nouvelle vague" della musica contemporanea. Tale poetica, detta dell'"opera aperta", consiste nel proporre, nella composizione, non delle forme compiute, ma una molteplice possibilità di relazioni formali, che gli esecutori sono chiamati a risolvere liberamente, secondo tuttavia, l’orientamento razionale già suggerito in quelle proposte. La poetica dell’"opera aperta" ha già dato frutti cospicui nel campo della musica da concerto ed elettronica, con composizioni dello stesso Berio, di Stockhausen, di Pousseur, di Boulez, per limitarci a nominare i maggiori; oggi essa si avvia in opere come questa di Berio o come in quella di Paccagnini (Le sue ragioni), rappresentata recentemente al Teatro delle Novità di Bergamo e di cui riferiremo nella nostra prossima rassegna, a riformare in varie guise, seppure in modo non ancora radicale, anche le consuetudini del teatro musicale. In Allez hop! rapporti "aperti" di questo genere, cioè di libera reciprocità interpretativa, si dànno fra l’esecuzione musicale e il movimento di scena nel primo e nell’ultimo dei sei brani che compongono l’intero lavoro, il quale propone allo spettatore d’oggi una parabola arguta e non ermetica di significati ideata da Italo Calvino.
Quanto all’azione drammatica di Brani-Tedeschi, il processo d’apertura diviene esplicito in scena attraverso la presenza di un conferenziere che illustra il diagramma circolare donde trae il titolo l’opera; diagramma che appare suddiviso in sei parti, ciascuna delle quali esprime una diversa congiuntura economica, una dall’a1tra generata e tutte riunite in un circolo chiuso e totale. I sei settori sono: produzione, superproduzione, crisi, dittatura e armamenti, guerra, rovina. Al suo termine il ciclo ricomincerà ineluttabilmente da Capo. L'assunto di Bruni-Tedeschi in Diagramma circolare trova esatta corrispondenza nello stile musicale, quale il compositore torinese è  già venuto sviluppando fino alla Messa per la missione di Nyondo, cioè fondato su chiare strutture architettoniche, ma anche aperto alla suggestione patetica. In Diagramma circolare l'affiorare ora dell'uno opera dell'altro aspetto segue ed ordina armonicamente il decorso didascalico dell'azione drammatica.
 
Piero Santi ("L'Approdo Musicale", n.7-8, Anno II, Luglio, Dicembre 1959) 

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