In the Court of the Crimson King (1969) |
Era un giorno di fine giugno, a Roma, e faceva piuttosto caldo. Avevo percorso tutta Via Nazionale a piedi per raggiungere il negozio della Ricordi, a Piazza Venezia. Una settimana prima avevo acquistato là un libro di spartiti dei Beatles e mi ero accorto che non si trattava di trascrizioni dagli originali: la sequenza armonica di Lucy In The Sky With Diamonds era sbagliata, perciò volevo indietro i miei soldi, dato che cinquemila lire, nel 1970, erano una bella sommetta. Quando arrivai di fronte al negozio, però, fui catturato dall’insolita copertina di un Lp che campeggiava in vetrina: un’immagine mostruosa, quella di un uomo dalla bocca spalancata in un grido che ne deformava il volto intero. Non era una foto, era un dipinto in cui prevaleva il rosso cremisi e non c'erano né il nome del gruppo né il titolo dell’album. Entrai e chiesi notizie sul mostro. Il commesso mi spiegò che si trattava del primo disco di un gruppo inglese progressive che si chiamava King Crimson. Progressive? Che roba e? E' un’evoluzione del rock psichedelico e sinfonico, con suoni diversi dai soliti, parecchio mellotron, qualcbe tempo dispari e blues duro; immagina Procol Hartun, Moody Blues e Led Zeppelin mischiati insieme con un po' di jazz e di fiati, mi rispose il commesso.
Mi dimenticai degli spartiti dei Beatles e uscii dal negozio con il mostro sottobraccio. Non avevo idea di cosa avessi acquistato, ma sentivo che era roba forte.
L’album si chiamava IN THE COURT OF THE CRIMSON KING ed era uscito l’anno prima. Il titolo mi fece venire in mente una canzoncina pop, Crimson and Clover, di Tommy James and the Shondells. Calai sui solchi la puntina del mio giradischi Selezione, comprato grazie all’abbonamento al Reader’s Digest, misi il volume a un livello per me ragionevole, cioè il massimo, e fui investito da un pugno sonoro in faccia: cibo per gatti, clava di ferro, filo spinato, pire funerarie, le porte velenose della paranoia, il seme della morte, mi travolsero con urla di chitarre e sax che si rincorrevano in giri mozzafiato; e, alla fine, la voce metallizzata del cantante che gridava “nothing he's got he really needs, twenty-first century schizoid man".
L’album si chiamava IN THE COURT OF THE CRIMSON KING ed era uscito l’anno prima. Il titolo mi fece venire in mente una canzoncina pop, Crimson and Clover, di Tommy James and the Shondells. Calai sui solchi la puntina del mio giradischi Selezione, comprato grazie all’abbonamento al Reader’s Digest, misi il volume a un livello per me ragionevole, cioè il massimo, e fui investito da un pugno sonoro in faccia: cibo per gatti, clava di ferro, filo spinato, pire funerarie, le porte velenose della paranoia, il seme della morte, mi travolsero con urla di chitarre e sax che si rincorrevano in giri mozzafiato; e, alla fine, la voce metallizzata del cantante che gridava “nothing he's got he really needs, twenty-first century schizoid man".
Era come se tutti i miei nervi fossero venuti allo scoperto. Il finale, poi, era agghiacciante, partiva lento e finiva superveloce, in un caos musicale disarmonico e distonico. Mio padre irruppe nella stanza e mi intimò di abbassare il volume. Ma, proprio in quel momento, partirono le note di I Talk To The Wind e fu come il sereno dopo una tempesta.
Ne parlai con alcuni compagni di liceo, ma nessuno li conosceva. Neanche Enzo, che era sempre aggiornatissimo. Il che non mi dispiacque affatto, dato che scoprire gruppi sconosciuti ti conferiva una certa reputazione. In ogni caso, dovevo saperne di più, ma non era facile. Le uniche fonti d’informazione erano la radio (c’era solo la Rai), grazie alla bella trasmissione di Arbore, Per voi giovani, e i settimanali musicali storici, come "Ciao 200l", "Big" e "Giovani", che cessò le pubblicazioni proprio nei primi anni Settanta. Ma forse i King Crimson erano ancora troppo avanti e trovare notizie su di loro era come cercare il classico ago nel solito pagliaio.
Una cosa, però, la venni a sapere e riguardava il grido dello schizoide in copertina. Lo sleeve design, com’era scritto nelle note del disco, era opera di un certo Barry Godber. Il proprietario inglese di uno stranissimo negozio, che si chiamava Select A Disc, mi disse che l’aveva conosciuto e che non si trattava di un pittore, bensì di un programmatore. Purtroppo Barry era morto a pochi mesi dall’uscita del disco, a soli ventiquattro anni, di attacco cardiaco. Chissà se aveva avuto il tempo di rendersi conto che il faccione color cremisi sarebbe diventato un'icona nella storia del rock e delle sue copertine.
Barry dipinse anche l’interno, inquietante pur esso, con quella figura da cartoon, tonda e calva; il sorriso, apparentemente bonario, svela canini da vampiro, la destra è benedicente, la sinistra ha il palmo aperto proteso verso chi guarda, come a chiedergli l’elemosina. Tutto lo sleeve è un gioiello di pop art post-espressionista, abbastanza in linea con le tendenze della grafica rock del momento, specie quella di indirizzo psichedelico. Barry fu forse ispirato dal celebre L'urlo di Edvard Munch, dipinto a pochi armi dall’inizio del ventesimo secolo; e, interpretando l’orrore delle lyrics di Sinfield, ne trasse un'immagine, per certi versi affine a quella di Munch, che fu un'anticipazione profetica degli orrori del Novecento. L’uomo del Duemila di Barry è uno schizoide spaventato dalle tragedie che egli stesso ha prodotto sul finire del secolo precedente, come la guerra del Vietnam e i suoi innocenti violentati dal fuoco del napalm americano. E' un paranoide consumista e crudele, artefice di future catastrofi. Però, nella copertina e in quelle dei tre dischi successivi, potrebbe nascondersi molto altro...
E' ormai assodato che il progressive comincio dai Crimson, che nacquero il 13 gennaio del 1969 e presero il nome dal testo di Sinfield che intitola il loro primo lavoro.
Peter John Sinfield, per gli amici Pete, era un londinese nato il 27 dicembre del ’43. Frequentò la Danes High School, nel Surrey, dove lesse libri di ogni genere ma, in special modo, testi poetici. Avendo poi frequentato studenti della Chelsea School of Art, cominciò a suonare la chitarra, dipingere e scrivere poesie. Ian McDonald lo incontrò nel ’67 e fu folgorato dalla sua qualità di lyricist, molto più che dal suo modo di cantare e suonare. Insieme composero una prima versione di I Talk To The Wind, che il trio Giles, Giles & Fripp registrò poco prima di sciogliersi.
I suoi testi meriterebbero un libro interamente dedicato. Sinfield era coltissimo, un vero poeta che si divertiva a scrivere per il rock, si occupava delle luci nei concerti che precedettero la nascita dei King Crimson e aveva abbastanza soldi per essere produttore musicale; tutte cose che continuerà a fare anche dopo la rottura con Fripp, nel 1972, con gruppi come Roxy Music, Emerson, Lake & Palmer, Premiata Forneria Marconi. Proprio mentre lavorava all’album d’esordio dei Roxy Music, Sinfield progettò una carriera da solista, registrando STILL, in compagnia di Greg Lake, Mel Collins, Ian Wallace John Wetton, all’epoca bassista dei Family. Tuttavia la sua scarsa attitudine per le esibizioni dal vivo gli suggerì di spendere la maggior parte del tempo a comporre testi per Emerson, Lake & Palmer, per i quali lavorò a lungo, fino al disastro finale di Love Beach, a detta di molti, e dello stesso Sinfield, il peggior album del trio e uno dei peggiori della storia del rock.
Oppresso dal regime fiscale britannico, Sinfield riparò a Ibiza, isola delle Baleari che condivideva, con Formentera, la fama di paradiso dei fricchettoni anglosassoni; i Pink Floyd avevano ambientato un brano della colonna sonora di More, opera psichedelica in celluloide del visionario Barbet Schroeder, in un bar di Ibiza e Sinfield aveva composto per ISLANDS il testo dell’esoticissima Formentera Lady. Dalla Spagna, Sinfield tornò a Londra con una nuova moglie nel 1980, in piena temperie punk, poi fece ritorno alle Baleari, stavolta a Maiorca, dopo aver firmato alcuni successi pop come Have You Ever Been In Love, di Leo Sayer. A Maiorca divorziò per la seconda volta e tornò in patria, dove ripubblicò il suo album da solista, nel ’93, con il titolo STILLUSION. Non fu un successo. In compenso, nello stesso anno, firmò Think Twice, di Celine Dion, che scalò in breve tempo le classifiche di mezzo mondo. Sinfield ora vive ad Aldenburgh, si diletta nella composizione di haiku, è sopravvissuto a un infarto, nel 2005, ed è divenuto erborista e membro della British Academy of Songwriters, Composers and Authors.
Le lyrics di Sinfield recano tracce evidenti di poeti come Shakespeare, Blake, Gibran, Edith Sithwell, di narratori di fiabe come Enid Blyton, più nota come Mary Pollock, e di scrittori di fantascienza come H.G. Wells, cui un’altra progressive band, i Colosseum, si ispirò per il brano The Time Machine. Ma, per quanto concerne i King Crimson, Sinfield ci fa sapere, tramite il suo bel sito Web, che egli deve quasi tutto a un libro di Ernst Kantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, ossia L'imperatore Federico II, ripubblicato in Inghilterra nel 1957. L'opera di Kantorowicz, i suoi continui rimandi esoterici, alchemici ed ermetici, la passione di Sinfield e dello stesso Fripp per i Tarocchi, sono all’origine del nome della band e del percorso allegorico-figurativo e musicale che si snoda attraverso i primi quattro album del Re Cremisi. La figura dipinta da Barry Godber nell’interno del primo album rinvia vagamente, nella postura delle mani, a un’immagine di Federico II, assiso sul trono, che indossa una veste color cremisi. Sinfield suggerisce che i quattro album dei Crimson cui partecipò sono in relazione con le quattro fasi della cosiddetta Grande Opera Alchemica e con i quattro elementi, Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Il Re Cremisi è il re del sole, e il folgorante Zeus, signore dell’Olimpo, è l’arcano numero IV dei Tarocchi, ossia l’imperatore, spesso avvolto in un mantello rosso cremisi, ed e in relazione con l’elemento dell’aria. Tra l’altro, lo stesso Fripp farà illustrare a Fergus Hall, famoso disegnatore di Tarocchi, A Young Person's Guide to King Crimson e The Compact King Crimson; e, a proposito del nome del gruppo, evocò il Signore delle Mosche, Belzebù, ma non il demonio, bensì, da un’espressione araba, l'uomo con uno scopo; teniamo presente che, tra i popoli semiti, Baal Zebub era solo uno dei tanti nomi del dio Sole. Le mosche arrivano quando fa caldo, quando il re del sole domina la terra.
Intorno alla mezzanotte del 3 luglio 1969 Brian Jones, fondatore dei Rolling Stones, fu trovato sul fondo della piscina di casa ad Hartfield, nel Sussex. A provocare l'annegamento fu l’ennesimo abuso di alcol e droghe. Due giorni dopo gli Stones, che lo avevano scaricato da un pezzo a causa delle sue intemperanze e dei suoi problemi processuali, diedero un concerto gratuito a Londra, Hyde Park, che, all’ultimo momento, decisero di dedicare al povero Brian. Mick Jagger lesse brani da Adonais, poema che Percy Bisshe Shelley compose per la prematura dipartita di John Keats. Le migliaia di farfalle bianche che dovevano volare sui 650mila presenti morirono nei contenitori per il troppo caldo e le poche sopravvissute svolazzarono per un po’ prima di subire la stessa sorte.
I neonati King Crimson fecero da spalla agli Stones in quello storico concerto. La loro musica non aveva nulla a che vedere con quella di Jagger e soci e l’esibizione suscitò un discreto clamore. Il nuovo Federico II o Belzebù o Re Cremisi o Zeus nasce già bello svezzato; il suo sound si mostra subito unico, originale, deciso; è stato partorito nel magazzino di un pub, è cresciuto a dosi massicce di prove sfibranti e di disciplina severa ed è pronto a realizzare i suoi scopi. Prima di Hyde Park aveva tenuto parecchi concerti a Londra e dintorni, ricevendo attestazioni di stima da Jimi Hendrix, Steve Hackett e i futuri Crimson Bill Bruford e Jamie Muir. Aveva tentato di registrare un disco, ma il despota del Dorset, afflitto da perfezionismo maniacale, aveva interrotto quel primo tentativo. Ma chi ha uno scopo, non molla facilmente, perciò il gruppo si presenta ai Wessex Studios il 21 luglio, giusto il giorno dopo l'allunaggio dell’Apollo 11, più determinato che mai. Nell’ottobre del ’69 IN THE COURT OF THE CRIMSON KING fa la sua comparsa sugli scaffali dei negozi specializzati. Pete Townshend, chitarrista degli Who, lo definisce “un capolavoro stupefacente”. Scala le classifiche britanniche in breve tempo, collocandosi al terzo posto; risultato straordinario per un album così futuristico e innovativo. Il lavoro ha come sottotitolo un'osservazione del Re Cremisi, cosa che Sinfield trasse da un paragrafo del libro di Kantorowicz, e si struttura in cinque brani:
- 21st Century Schizoid Man / Mirrors
- I Talk To The Wind
- Epitaph / March For No Reason / Tomorrow and Tomorrow
- Moonchild / The Dream / The Illusion
- The Court Of The Crimson King / The Return Of The Fire Witch / The Dance Of The Puppets
Quattro tracce su cinque sono suddivise in varie parti, come se l’intento fosse stato quello di produrre una specie di sinfonia nello stile tipico del concept album, ossia quel genere di dischi in cui i brani sono accomunati da un tema o una storia o entrambe le cose. Nel pop e nel rock dell’epoca il concept era frequente e doveva probabilmente la sua origine al primo lavoro di Woody Guthrie, DUST BOWL BALLADS, del 1940. La formula fu ripresa dai Beach Boys, in LITTLE DEUCE COUPE (1963), e da Frank Zappa in FREAK QUT (1966), ma il disco più famoso, destinato a generare una sorta di conceptomania, fu senz’altro SGT. PEPPER’S LONELY HEARTS CLUB BAND dei Beatles (1967), cui seguì, nello stesso anno di IN THE COURT, la prima vera e propria opera rock, TOMMY degli Who, e una quantità di altri prodotti a firma di Yes, Genesis, Pink Floyd, Colosseum, Jethro Tull, Van der Graaf Generator, eccetera. Nel concept si nascondeva l’ambizione di restare nella Storia della Musica, come era accaduto a Bach, Mozart e Beethoven, autori spesso citati o saccheggiati nel rock di quegli anni; basti pensare, tanto per fare un esempio, a brani come A Whiter Shade Of Pale o Repent Walpurgis, dei Procol Harum, largamente debitori di Bach. Tale ambizione, forse ingenua o presuntuosa, era comunque il sintomo di un sentimento diffuso tra i musicisti di allora, cioè l'insofferenza verso la musica di consumo e le imposizioni delle grandi case discografiche, le cosiddette major, ossessionate dalla logica del profitto e, quindi, sostanzialmente ostili alla prospettiva che il rock potesse uscire dai canoni tradizionali di musica da ballo o da sballo, a seconda dei casi.
Il primo brano, quello dello schizoide, fu l’ultimo ad essere registrato. La scelta di inserirlo al primo posto nell’ordine dei pezzi fu davvero felice, a causa dell’impatto emotivo e sonoro che esso produce fin dal primo ascolto. Il tema principale, solido e aggressivo, lascia spazio alla voce distorta di Lake per tre volte nel corso del brano; prima dell’ultima, gli strumenti si rincorrono in riff e sequenze armoniche molto veloci, con stop improvvisi e un intermezzo in trio di basso-chitarra-batteria. Quando il pezzo sembra concluso, c'è ancora spazio per il caos finale di Mirrors, lontano parente del vortice strumentale col quale i Beatles concludono A Day In The Life, l’ultima traccia di SGT. PEPPER’S. Lo scopo dell'uomo con uno scopo appare subito chiaro e consiste nel voler segnare immediatamente una netta linea di demarcazione con il rock precedente: estrema perizia tecnica, fusione degli opposti, ossia ordine-disordine, come in una jam session in libertà vigilata, fuga definitiva della sezione ritmica dai limiti tradizionali di semplici metronomi degli strumenti melodico-solisti, rivendicazione di una completa autonomia compositiva e artistica. Il Re Cremisi mostra subito le sue carte o, se volete, i suoi tarocchi: io suono quel che voglio suonare, gettate via quel che siete abituati ad ascoltare, questa è la musica del ventunesimo secolo ed è una sorta di moderna opera totale, in cui melodie e orchestre d’archi vanno tranquillamente a braccetto con l'overland, la distorsione, in cui l’urlo di uno schizoide può trasformarsi in canto dolcissimo, in cui il vuoto di spazio e silenzio si sposa perfettamente al pieno sonoro.
Perciò, dal finale cacofonico dello schizoide, si passa con estrema naturalezza a quella sorta di Mare della Tranquillità di lunare ascendenza costituito da I Talk To The Wind. La voce di Lake, così aggressiva nel primo brano, si adagia sul morbido velluto testuale di Sinfield, semplice e a tratti surreale, che sembra voler essere un pretesto per la splendida esecuzione/improvvisazione al flauto di Ian McDonald al centro e in coda. E' un brano di grande equilibrio, di perfetto connubio melodico-armonico, frutto di una felicissima ispirazione. Costruito sul modo eolio, il flauto, il cui nome deriva forse dal latino flatus (fiato), fa parte della famiglia degli strumenti a fiato, winds (venti) in inglese, e ciò ci porta a credere che la predominanza del flauto in un brano di modo eolio non sia casuale, dato che il disco nasce sotto il segno dell’aria. A parte tutto questo, il solo di McDonald è uno dei più memorabili di sempre, nel panorama del flauto traverso al servizio del rock. Viene subito seguito da un rullo prolungato dei tamburi di Mike Giles che introduce la solenne e romanticissima Epitaph, in cui la parte del leone è recitata dalla voce struggente di Greg Lake e dall’antenato dei moderni campionatori, ossia il mellotron.
Vale la pena spendere qualche riga su questo strumento, che fu abbondantemente usato da Fripp e da vari gruppi del tempo, il cui primo utilizzo si deve a Paul McCartney che se ne servì per Strawberry Fields Forever. Prodotto a partire dal 1963 dalla Strictly Electronics di Les Bradley, a Birmingham, il mellotron serviva a riprodurre i suoni di un’intera orchestra d’archi attraverso nastri magnetici azionati dalla tastiera. I nastri si suddividevano in segmenti preregistrati, ciascuno della durata di otto secondi. In seguito fu creato un sistema a cartucce estraibili per mezzo del quale fu possibile ottenere suoni diversi, soprattutto fiati. Partendo dall’invenzione di Bradley, Fripp e Brian Eno svilupperanno, anni più tardi, i Frippertronics e, successivamente, i Soundscapes. Ne riparleremo più avanti.
L'epitaffio, com'e noto, è un'iscrizione scolpita su un sepolcro per ricordare e onorare un defunto. Molti poeti composero epitaffi per se stessi in vicinanza della morte, come ultimo messaggio per i posteri. Il poeta Peter Sinfield lo fece a modo suo, in versi che esprimono grande preoccupazione per il futuro dell’umanità, affidato a personaggi irresponsabili e all’uso sconsiderato della scienza:
La confusione sarà il mio epitaffio
Poiché striscio lungo un percorso accidentato
Se ce la faremo
Poiché striscio lungo un percorso accidentato
Se ce la faremo
Potremo rilassarci e ridere
Ma temo che domani piangerò
Ma temo che domani piangerò
Francamente il testo non è straordinario, ma la canzone, perché di una vera e propria canzone si tratta, fu molto celebrata per la cura degli arrangiamenti, per alcuni arpeggi e contropennate sulla chitarra acustica, per la convincente prestazione vocale di Lake e i crescendo ottenuti col mellotron. E' forse il pezzo più in linea con le tendenze del romantic rock di quei periodi e se ne avvertirono echi in brani di altri gruppi, come, ad esempio, in Melancholy Man, dei Moody Blues, soprattutto per la partitura armonica e la linea melodica.
A Epitaph segue Moonchild. Si apre come una delicatissima ballata, guidata da mellotron e chitarra acustica in un riff armonico con base in La minore, sul quale si inserisce la voce sognante di Lake che canta un testo, stavolta bellissimo, di Sinfield. La parte cantata rimanda alle ballate della Renaissance inglese, soprattutto nella variazione dell’inciso. Ricordo che a Radio Uno qualcuno mise il pezzo in relazione alla conquista della luna, ma non credo che tale impresa c'entri un granché; semmai ci sono espliciti riferimenti al mito di Persefone, rapita da Ade, dio degli inferi, mentre raccoglieva fiori: “She's a monchild / Gathering the flowers in a garden” e dato che Sinfield, affascinato dall'esoterismo, era un conoscitore degli scritti di Aleister Crowley, noto occultista britannico, è probabile che il testo sia stato ispirato dal romanzo omonimo scritto da Crowley nel 1917. Figlia della luna è anche, in astrologia, un altro modo di definire la costellazione del Cancro, segno lunare per eccellenza.
La voce di Lake lascia poi il posto all’improvvisazione di The Dream / The Illusion, per sottolineare come Fripp e soci non volessero partorire una semplice ballata cantabile, ma rimarcare le proprie peculiarità di gruppo con forti tendenze avanguardistiche. I musicisti, guidati dalla Les Paul del capobanda, stavolta senza distorsione, sembrano farsi eco l’un l’altro; Fripp e Giles duettano in frasi secche, veloci e spezzate, lasciando spazio, qua e là, ad attimi di silenzio. Nell'improvvisazione Fripp ha modo anche di citare The Surrey With The Fringe On Top, un estratto da Oklahoma!, un musical di Richard Rogers che ottenne uno strepitoso successo a Broadway negli anni Quaranta, ma nella riedizione masterizzata dell’album, nel 2009, Fripp la farà fuori, anche se la versione originale del ’69 verrà riproposta come bonus track; una scelta forse motivata dalla convinzione che quella improvvisazione, nel nuovo millennio, potesse suonare inutilmente prolungata o datata, il che è esattamente la sensazione che si ha riascoltandola oggi.
La corte del Re Cremisi si congeda, infine, con la title track, ossia il brano che da il titolo all’album. Il testo di Sinfield, carico di immagini che evocano tradizioni delle corti medievali mescolate a una visionarietà decisamente psichedelico-esoterica, e sottolineato con forza dagli interventi maestosi del mellotron e del coro che chiude le strofe gorgheggiate da Lake. Pare che il brano sia stato scritto quasi per intero da McDonald e la presenza di questo straordinario musicista è, a tutti gli effetti, un marchio visibilissimo nella prima fatica dei Crimson. Anche in The Court Of The Crimson King c'è spazio per divagazioni, stavolta brevi e non libere, sul tema, prima che i tamburi di Mike Giles introducano il possente finale.
Il sipario si chiude su questa mostra di splendori dorati. Il Re Cremisi, appena insediato sul suo trono, viene abbandonato da molti dei suoi dignitari. Il menestrello Lake fuggirà per unirsi a Keith Emerson, già lord delle tastiere con i Nice, e Carl Palmer, già folletto dei tamburi con gli Atomic Rooster. McDonald e Giles, a causa delle divergenze con Fripp, produrranno un disco da soli, l’opaco MCDONALD & GILES, nel 1971, dopo aver collaborato a IN THE WAKE OF POSEIDON. L’addio di McDonald non sarà, come vedremo, del tutto definitivo. Mike Giles tenterà una sfortunata carriera da solista registrando PROGRESS, alla fine dei Settanta, unendosi poi a Jamie Muir per GHOST DANCE, pubblicato nel 1983, e dedicandosi in seguito al mestiere di sessionman di prestigio. Il suo drumming così originale e innovativo sarà di grande influsso sui successivi batteristi dei Crimson. Il sodalizio Fripp/Sinfield, al contrario, proseguirà ancora per tre album, fino al 1972.
Nicola F. Leonzio ("King Crimson, il pensiero del cuore", Lit Edizioni, 2014)
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