Sviatoslav Richter (1915-1997) |
Come tutti ricordano, Richter in un certo momento sparì dalla scena concertistica: problemi di salute (cuore malandato) e anche, si sussurrava fra gli addetti ai lavori, problemi con la memoria. Era vero, era così, e pubblico e addetti ai lavori cominciarono a collocare Richter in una nicchia, una larga nicchia in verità, della storia. Improvvisamente, invece, Richter ricomparve sulla scena. Risolti, o per lo meno rabberciati i problemi di salute, radicalmente eliminati i problemi della memoria con la rinuncia a suonare a memoria, Richter riprese il suo posto.
Non era più lo stesso, in verità, ma non perché le forze non lo sorreggessero come prima: era diventato meno interessato al colore e più interessato al disegno - lui, grande colorista! -, ed aveva di conseguenza "raffreddato" e "asciugato" il pathos travolgente che lo aveva reso famoso in Occidente negli anni sessanta.
Era cambiato anche per un altro aspetto: non accettava più di suonare nelle grandi sale deputate e nelle grandi città, ma preferiva scegliere lui i luoghi dei suoi concerti in base a considerazioni affettive. Il direttore del Teatro di Aachen, l'antica Aquisgrana, ricevette un giorno un telegramma del segretario di Richter "Il Maestro ha letto una biografia di Carlo Magno e vorrebbe suonare ad Aquisgrana". L`onorario di Richter era, giustamente, molto alto, e la sua scrittura avrebbe quindi dovuto essere pianificata con un congruo anticipo. Ma Richter voleva onorare subito Carlo Magno suonando ad Aquisgrana. Con un po' di telefonate il direttore del teatro trovò un gruppetto dl sponsor, raschiò il fondo del barile del suo budget, e ad Aquisgrana Richter suonò. Un'altra volta volle suonare al Vittoriale di Gardone in onore di Eleonora Dose. E ci suonò, con il pianoforte accanto ad un quadro ritraente la grande attrice. Inutile fargli notare che con D`Annunzio al Vittoriale non c`era stata la Duse ma Luisa Baccara: per Richter non valevano i dati della cronaca ma quelli del mito, e nella dimora ultima di un poeta da lui ammirato voleva la grande attrice dal poeta amata.
Un`altra volta Richter, che viaggiava preferibilmente sulla sua Mercedes, mai in autostrada e mai ad una velocità superiore agli ottanta, passò per Casalpusterlengo.
Il nome Casalpusterlengo gli piacque a tal punto che disse: "Voglio fare un concerto qui". Quella volta, purtroppo per lui, fu impossibile accontentarlo, molte altre volte, invece, Richter poté suonare in paesini e paesotti che venivano individuati dalle società di concerti sulla base dei suoi desiderata.
Così, per alcuni anni Richter non suonò a Milano ma nell'hinterland milanese, e di questi concerti decentrati io ne sentii parecchi. Non era comodo; si faticava a trovare la strada per X o per Y, si faticava a trovare la via, si faticava a trovare il posteggio, e non di rado si entrava in sala a concerto iniziato. Mi capitò anche a Lugano... Non che Lugano sia un paesino o un paesotto, ma io lo associo alle mie scorribande nell'hinterland milanese perché incontrai difficoltà ad arrivarci (era domenica e c'era una gran coda alla frontiera di Brogeda), dovetti lasciare l'auto in un parcheggio lontanissimo dal Palazzo dei Congressi ed entrar in sala a concerto già iniziato.
Richter stava suonando Grieg, con il suo faretto, la musica sul leggio, il voltapagine al fianco. Tutto come di consueto negli ultimi anni. Però c'era qualcosa di diverso nel suono e nel gesto, e quel qualcosa di diverso andò aumentando a mano a mano, da Grieg a Franck a Ravel: a mano a mano io vidi ricomparire il Richter che avevo conosciuto negli anni sessanta e che avevo perduto dopo un memorabile concerto a Genova che mi aveva fatto uscir di senno. Adesso che ho visto il filmato curato da Bruno Monsaingeon mi accorgo del fatto che il mio Richter degli anni sessanta era un po' diverso dal Richter degli anni cinquanta. Il Richter che compare nei più antichi spezzoni filmati era un fascio di nervi in cui la musica passava come una corrente elettrica al massimo potenziale possibile Il Richter degli anni sessanta era in realtà un po' meno sussultorio, e ancor di meno lo era il Richter degli anni settanta e ottanta.
Ma la trasformazione successiva era stata così radicale da cancellare nella mia memoria l'evoluzione progressiva del gesto di Richter e da farmi pensare solo a due Richter, il primo posseduto dal demone
come una baccante, l'altro ieratico sacerdote. A Lugano, il 5 giugno l994, io non rividi in realtà il Richter del 1962, ma non vidi nemmeno il Richter del 1993 Sr dice che in una persona vicina alla morte ricompaiano i lineamenti della pulsante giovinezza. E a Lugano io provai questa impressione: la forza panica della musica si era di nuovo impadronita di Richter. Per l`ultima volta? Per quanto mi riguarda, sì, perché nelle altre occasioni che ancora ebbi di ascoltarlo ritrovai il Richter degli anni Novanta, per me enigmatico.
come una baccante, l'altro ieratico sacerdote. A Lugano, il 5 giugno l994, io non rividi in realtà il Richter del 1962, ma non vidi nemmeno il Richter del 1993 Sr dice che in una persona vicina alla morte ricompaiano i lineamenti della pulsante giovinezza. E a Lugano io provai questa impressione: la forza panica della musica si era di nuovo impadronita di Richter. Per l`ultima volta? Per quanto mi riguarda, sì, perché nelle altre occasioni che ancora ebbi di ascoltarlo ritrovai il Richter degli anni Novanta, per me enigmatico.
Il programma di Lugano comprendeva due vecchi amori di Richter, come Franck e Ravel, e un grande amore degli ultimi anni, Grieg. Non il Grieg della Ballata, pezzo da concerto che parecchi pianisti della generazione 1860 avevano avuto in repertorio, ma il Grieg dei Pezzi lirici, delle pagine non destinate all'esecuzione pubblica. Grieg, con i Pezzi lirici, fu l'esponente massimo della musica per i dilettanti nella seconda metà dell'Ottocento, e in quanto tale aveva già attirato l'attenzione di Walter Gieseking, il duale aveva però affidato soltanto al disco la sua interpretazione di queste piccole pagine, così come solo al disco si era rivolto Emil Gilels. Richter aveva il coraggio di mettere in programma, in una grande sala, un`antologia di Pezzi lirici, dandone un'esecuzione diversa da ouella di Gieseking e di Gilels, e cioè epicizzante. Richter vedeva in realtà in Grieg la matrice storica da cui era uscito in Russia Rachmaninov e da cui era uscito in Francia Debussy. Per me fu l`ultima lezione di storia che ebbi da lui, l`ultima dopo tante altre, perché nei confronti di Richter mi sento debitore non solo di intense emozioni ma anche di input che mi portarono a riflettere su cose apparentemente di poca importanza.
Franck e Ravel non provocarono nuove scoperte ma solo il piacere della riscoperta. Ricordo che, non so se per errore, il programma stampato non recava i due ultimi pezzi dei Miroirs, Alborada del gracioso e La vallé des cloches. Il pubblico non applaudì quando logicamente avrebbe dovuto applaudire, e Richter girò la pagina e andò avanti con l`Alborada. Dupo l'Alborada il pubblico applaudì, e Richter si inchinò compitamente (come sempre: l'inchino di Richter era un misto di aristocratica cornpostezza e di leggera rigidezza militare). Poi attaccò la Vallée, pezzo che avevo ascoltato da lui per la prima volta, se non ricordo male, nel 1963. Non ci furono bis. Ed io rne ne andai a recuperare l`auto nel lontanissimo parcheggio saldando negli occhi e nelle orecchie due immagini distanti trent`anni l`una dall`altra, e con il sentirnento che un`epoca si chiudeva per me, per sempre.
Piero Rattalino
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