Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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lunedì, aprile 01, 2019

Francesco Maria Zuccari: pregiatissimo compositore francescano del Settecento

Francesco Maria Zuccari (1697-1782)
Urania Records (p) & (c) 2018
L’ordine francescano ha da sempre riservato somma attenzione alla cultura, sia essa scienza o arte, ma da sempre riconosce all’arte musicale un ruolo privilegiato. Presso la Sacra Basilica di Assisi, retta dai francescani minori conventuali (OFM conv.), vi sono documenti ufficiali a testimonianza di una regolare attività di insegnamento e pratica musicale già dalla fine del Quattrocento, il cui testimone, almeno sino all’epoca romantica, non è mai passato in mani estranee all’ordine.
E’ venuta così a crearsi una tradizione apprezzata da nobili e regnanti, durata fino alle soglie del XIX secolo che vanta un nutrito numero di musicisti, tutelata a partire dal 23 aprile 1703 da un decreto che interdiva ai maestri di cappella l’attività al di fuori dell’ordine. Il paziente lavoro di riscoperta dei compositori italiani dimenticati, avviato nell’ultimo scorcio del XX secolo, ci sta a poco a poco restituendo molte pagine e numerosi nomi di musicisti italiani - non pochi vestivano l’abito francescano - che nulla hanno da invidiare a quella sparuta rosa di musicisti del Gotha della storia della musica che li ha oscurati. Troppo spesso, purtroppo, l’esterofilia ci distrae dalle eccellenze di casa nostra.
Il fecondo e apprezzato maestro di cappella Francesco Maria Zuccari apparteneva all’ordine dei minori conventuali e la sua lunga attività influenzò quasi un intero secolo di musica.
Nacque alla fine del Seicento a Dosolo, in provincia di Mantova, posto nel comprensorio di Viadana città natia del celebre compositore francescano dei Concerti Ecclesiastici, Ludovico Grossi, e di altri eccellenti compositori sconosciuti ai più: Giacomo Moro, Orfeo Avosani, Berardo Marchesi e Giacomo Antonio Arighi, allievo del celebre padre G.B. Martini.
Furono molti i musicisti della famiglia e tra i più importanti ricordiamo un maestro di cappella di nome Carlo Zuccari sovrintendente alla musica a Mantova prima dell’arrivo di Antonio Vivaldi, ed altri maestri quali Giovanni, Taddeo, Carlo Francesco.
A completamento dell’elenco dei musicisti a nome Zuccari è qui doveroso ricordare il celebre Carlo Zuccari, nato nel 1704 a Casalmaggiore a poche miglia da Viadana imparentato con il ramo dosolese. Fu eccellente violinista nella Milano dei Lumi, maestro di Pietro Verri e primo violino dell’orchestra di G.B. Sammartini e, neanche a dirlo, in rapporti epistolari con il dotto padre Martini.
Se la famiglia Bach in Germania e la famiglia Couperin in Francia furono autentiche dinastie musicali, l’Italia non fu da meno potendo vantare, oltre alla famiglia Zuccari, le eccellenti dinastie degli Scarlatti e dei Puccini (e.g.), testimonianza del mestiere tramandato di padre in figlio.Nel quadro generale delle realtà musicali della penisola in cui operano i musicisti dell’epoca, Venezia, Roma e Napoli, l’ambiente più conservatore è senza dubbio Roma, dove l’esercizio di un diretto controllo sulle maggiori cappelle musicali da parte della corte pontificia fa sì che permanga netta la distinzione tra musica sacra e musica mondana. Un piccolo segnale ufficiale di apertura da parte della corte pontificia a questo riguardo si ha nel 1749 con l’enciclica Annus qui del 19 febbraio, con la quale Benedetto XIV consente l’uso di alcuni strumenti nelle chiese.
Lontano da Roma B. Galuppi, maestro di cappella in San Marco, disponeva di un organico con 24 cantori, 12 violini, 6 viole, 5 violoni, 4 violoncelli, 2 oboi, 2 flauti, 2 corni, 2 trombe.
Nella basilica del Santo, a Padova, in quegli stessi anni v’era un organico di 14 cantori, 2 organisti (Francesco Maria Zuccari qualche anno prima aveva ricoperto in basilica il ruolo di primo organista), 8 violini (primo violino G. Tartini), 4 viole, 2 violoncelli (primo violoncello Antonio Vandini), 2 violoni, 1 tromba, 2 corni da caccia, 1 oboe, un organaro e un alzafolli, il responsabile degli organi. Nel 1768 in basilica fu costruito perfino un quarto organo collaudato dal giovane Andrea Luchesi (che divenne qualche anno dopo Kapellmeister a Bonn ed effettivo maestro di L. van Beethoven, anche se i testi di storia della musica non lo riportano). Nella basilica del Santo le presenze dei musici erano evidenti. Nel Capitolario degli obblighi dei Musici della basilica, redatto nel 1753, sono riportati tutti gli impegni: circa 170 giorni all’anno per i cantanti, 150 per gli organisti e il primo violone, almeno un centinaio per gli strumentisti, al netto di prove e straordinari.
Maestro di cappella della basilica padovana era in quegli anni era l’apprezzato padre F. A. Vallotti.
La fama di Vallotti come compositore era assai diffusa - godette dell’apprezzamento anche del re di Prussia Federico II, eccellente dilettante di musica- tanto che a Vienna ancora nei primi decenni dell’Ottocento si eseguivano regolarmente i suoi Responsori per la Settimana Santa. Innegabile, anche se mai argomentata nei manuali, l’influenza della musica vallottiana e più ampiamente veneta sui compositori a lui coevi soprattutto di area austro-germanica. Il Vallotti, più del suo confratello bolognese Martini e come il nostro Zuccari, era versato nello stile moderno. L’ambiente padovano, con la presenza di insigni matematici e teorici quali i conti Riccati, fu sicuramente un punto di riferimento cui guardarono numerosi musicisti d’oltralpe, alcuni dei quali ebbero il privilegio di frequentare lo studio del maestro di cappella della Basilica del Santo.
Pierfrancesco Tosi nel suo celebre trattato sul canto distingueva tre modi di cantare: “Per le Arie per il Teatro lo stile era vago, e misto: Per la Camera miniato, e finito: E per la Chiesa affettuoso e grave. Questa differenza a moltissimi Moderni è ignota”.
Francesco Maria ben padroneggiava lo stile affettuoso e grave, ma fece di più, riuscì come il Vallotti nel difficile intento di amalgamare i vari stili coniugandoli alla sfera degli affetti, con risultati sempre originali e di grande impatto emotivo grazie alla sua viva fonte melodica, come si può chiaramente evincere dalle sue stesse pagine.
Le sue composizioni, oltre quattrocento, sono quasi tutte conservate presso la biblioteca del Sacro Convento. Altre si trovano nella biblioteca diocesana di Ortona, nell’abbazia benedettina di Metten in Baviera ed almeno una dozzina nella collezione dell’abate musicista Fortunato Santini presso la Diözesanbibliothek di Münster.
Tutte le composizioni (Messe, Salmi, Mottetti) mostrano l’inderogabile presenza del basso continuo declinato nei suoi vari usi, dal mero accompagnamento, all’armonizzazione, al chiaro orientamento estetico. La sua perizia gli consentì di padroneggiare il contrappunto, il suo strumento e il movimento delle parti come enunciava Agostino Agazzari nel suo “Del suonare sopra’l basso con tutti li strumenti”. Un tempo la pratica era tutt’uno con la personale cultura musicale, bagaglio indispensabile per ogni musicista.
La Messa in Do minore a 5 voci, registrata per la Urania Records con la preziosa collaborazione di ottimi solisti e un eccellente coro genovese in prima mondiale assoluta, si trova in questo inestimabile Fondo ed ebbe una prima stesura ad Assisi nel 1723, quando Zuccari svolgeva il ruolo di maestro di cappella, ed una seconda versione con strumenti nel 1745, quando il musicista era primo organista al Santo, ma da quell’anno presumibilmente non fu mai più eseguita. Anche il Magnificat in Fa maggiore giace ad Assisi composto nel 1725 e rinnovato poi in Padova nel 1748.
I manoscritti non contengono errori, tranne alcune imperfezioni, e non presentano problemi di interpretazione, perfetta è la concatenazione delle parti e l’attenzione alla numerica del basso continuo è a dir poco meticolosa, essendo segnati non solo tutti i numeri dell’accordo pertinente, ma anche quelli delle note di passaggio con le relative alterazioni indifferentemente anteposte o posposte alla numerica stessa.
Il nitore formale dei due lavori è palese.
Tutte le progressioni sono dotate di pregevole vis melodica e le modulazioni guidano la melodia in modo corretto, le parti degli archi poi sono ben scritte a degno coronamento della parte vocale, anche se non di facile esecuzione soprattutto nella Messa, ma all’epoca l’orchestra della basilica padovana era assai rinomata e guidata da G. Tartini.
I momenti corali, degni di grande pathos e di notevole spessore vocale, hanno considerevole impatto sonoro, i solisti intervengono con pregevoli e solari arie (soli, duetti e trii) di notevole italianità.
Nella sua Arte pratica di contrappunto padre G. Paolucci (anche lui minore conventuale come il nostro Zuccari, F.A. Vallotti e G.B. Martini) riporta che in Italia esistevano tre diversi coristi, il lombardo era il più alto, il romano il più basso e tra loro differivano di una terza minore, il corista veneziano si trovava in mezzo ai due. Anche oltralpe la situazione non era diversa come riporta P. Lichtenthal nel suo Dizionario stampato a Milano agli inizi del XIX secolo.
Oggi gli strumenti moderni ci hanno abituato ad una accordatura equabile, che erroneamente chiamiamo temperamento equabile, ma nel XVIII secolo vigeva l’inequabilità. Ne è prova, almeno in Veneto, lo scambio epistolare tra padre Vallotti e il conte Giordano Riccati che attraversa molti lustri. Una lettera del 1751 del maestro di cappella del Santo al conte trevigiano riporta: “[…] anche il signor Tartini è persuaso che la quinta G# - D# non cresca di un intero coma; debbo ora aggiungere che ne ha fatto in appresso lo sperimento sul violino, e si trova che una quinta crescente per un coma è intollerabile ad un orecchio purgato”.
Nel capitolo IV del suo “Saggio sopra le leggi del contrappunto” pubblicato nel 1762 G. Riccati affronta in modo chiaro i temi dell’espressione in musica e dell’accordatura: “Fatta la riflessione […]nacque in mente de’ Musici meno periti l’idea di dividere l’Ottava stessa in 12 semituoni […] La vista sarebbe accettabile in grazia della semplicità, ma vi ripugna l’orecchio, il quale giudica troppo imperfetto il temperamento abbracciato dal Sistema generale di 12 Semituoni”. E’ pertanto indubbio che i 12 semitoni degli strumenti moderni siano del tutto inadeguati all’esecuzione di una pagina settecentesca, tanto più se si considera che ancora nella prima metà dell’Ottocento M. Clementi, L. van Beethoven e F. Chopin erano in disaccordo circa l'eventuale introduzione dell'equalizzazione nella prassi musicale a loro coeva.
Nella nostra registrazione abbiamo utilizzato un’accordatura vallottiana che privilegia l’uso dei bemolli e modera l’intervallo di quinta mostrando così maggior precisione nell’intervallo di terza.
Purtroppo dobbiamo rammaricarci del fatto che la conoscenza dell’accordatura del passato spesso non trovi ancora posto nel bagaglio culturale del musicista moderno.
Giovanni Battista Columbro
(note allegate al CD Urania Records LDV 14042)

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