Jan Vogler (1964) |
Jan Vogler possiede una carica vitale fuori dal comune, anche per un concertista abituato a salire sui palcoscenici di mezzo mondo. L’eclettico violoncellista - è nato a Berlino Est nel l964 - non vive la sua brillante carriera di solista come un ambito esclusivo al quale dedicare tutte le energie, ma come una delle tante facce di un’attività orientata a trecentosessanta gradi. Ha fondato e tuttora dirige il festival di musica da camera del Castello di Moritzburg, alle porte di Dresda, mentre dallo scorso anno è diventato direttore anche del Dresden Music Festival; suona regolarmente con i pianisti Helene Grimaud, Louis Lortie e Martin Stadfeld e frequenta con assiduità il repertorio contemporaneo (Jorg Widmann ha scritto per lui il Concerto per violoncello "Dunkle Saiten"). La sua ricca discografia, accanto ad alcuni capisaldi del repertorio violoncellistico come i tre Concerti di Haydn (con Virtuosi di Sassonia, diretti da Ludwig Güttler, per la Berlin Classics), il Don Quixote di Richard Strauss (con la Staatskapelle di Dresda diretta da Fabio Luisi, per la Sony) e il Concerto n. 1 di Saint-Saens (con la Philharmonic Orchestra di Hannover, diretta da Terry Fischer, ancora per la Berlin Classics), comprende anche un CD dedicato al tango di Astor Piazzolla (Sony) e un intrigante CD live realizzato a New York insieine all’ensemble The Knights nel locale dove suonava Jimi Hendrix, con il Concerto n. 1 di Shostakovich e Machine Gun di Jimi Hendrix (Sony). Del resto per un artista che ha iniziato la carriera, appena ventenne, come primo violoncello alla Staatskapelle di Dresda per poi lanciarsi nell’avventura solistica, rinunciando a un ruolo di grande prestigio, l’apertura a tutte le esperienze musicali - anche in ainbito cameristico - ü una scelta di vita.
Il Festival di Moritzburg riflette, proprio come uno specchio, il suo originale approccio alla musica, la sua versatilità, la sua innata e spiccata curiosità per tutto quanto è nuovo. In questi anni Moritzburg è diventato una sorta di laboratorio di musica da camera dove ogni anno si ritrovano per due settimane artisti di diversi paesi per preparare insieme i prograrnmi dei concerti, tutti pensati appositamente per l’occasione. Vogler ci riceve proprio nel quartier generale del Festival, l’Hotel Churfürstliche Waldschänke. Al suo fianco c’ü l’inseparabile violoncello Montagnana, perché subito dopo l’intervista c’è il momento riservato allo studio, visto che il programma della serata prevede l’Ottetto di Schubert e la pratica quotidiana dello strumento non deve mai venire meno.
Dove trova il tempo per tutte le Sue attività?
Credo che il segreto sia quello di saper distribuire bene il tempo. Il violoncello viene per primo, perché è il centro di tutte le mie attività. Se non suono il violoncello, se non suono bene il violoncello intendo dire, non può fiorire nient’altro. Di solito lo studio del violoncello occupa le mie mattine: nemmeno rispondo al telefono né alle mail. Per il resto c’è il pomeriggio, in primo luogo per la famiglia, ma alla famiglia sono dedicate anche le mie sere, quando non ci sono concerti. Alle mail, invece, rispondo a tarda sera. l'importante è darsi delle priorità, sapere cosa viene per primo ed evitare di mettere tutto sullo stesso piano.
Lei Vive del resto tra Dresda e New York...
S', anche se per un musicista in realtà non è così importante il luogo dove vive, visto che ormai la carriera ti porta a viaggiare per il mondo: per esempio in novembre inizierò una tournée con alcuni concerti a New York poi andrò a Los Angeles, poi Singapore e Shangai, quindi in Germania - a Francoforte - e infine ancora a New York. Sempre in giro per il mondo. Questo è il motivo per cui non fa molta differenza vivere a Parigi, Londra o New York, anche se devo dire che a me ed a mia moglie [la violinista Mira Wang, ndr.] New York piace molto. E' una città che ci ispira, piena di festival, una città dove è possibile incontrare molte persone, perché tutti i musicisti passano da New York, alcuni anche due volte all’anno, un po’ come avviene a Sydney.
Proprio a New York ha registrato il disco con The Knights, in cui mette a confronto Jimi Hendrix e il Concerto per violoncello n. 1 di Shostakorich.
Vede, di ogni pagina importante del repertorio noi disponiamo di almeno due o tre buone registrazioni; nel caso del Concerto n. 1 di Shostakovich, per esempio, c’è quella con Rostropovich. Penso che quando si affronta un brano, soprattutto in CD, l’obiettivo debba essere quello di mostrarlo sotto una nuova luce. Un nuovo disco di una pagina di repertorio non è certo indispensabile, perché ritengo che oggi sia inutile fare un’altra buona registrazione che si aggiunga a quelle già disponibili. Una nuova registrazione ha senso solo se si trovano delle diverse chiavi di lettura. Credo, in questo caso, che tra Jimi Hendrix e Shostakovich ci siano dei legami molto stretti. Jimi Hendrix, negli Usa, ha lottato per la pace ai tempi della guerra del Vietnam, ma anche Shostakovich, in un’altra epoca e in un altro ambiente, è stato in fondo un pacifista, anche se durante la seconda guerra mondiale si trovò ad essere un poco patriottico. Il suo carattere pacifista, però, emerge in modo molto chiaro proprio nel Concerto n. 1 per violoncello. Insomma, in due epoche diverse, in due società diverse - Shostakovich in Unione Sovietica, Jimi Hendrix in America - fecero la stessa cosa, vale a dire combatterono per la pace. Ed entrambi del resto, anche se ciascuno a modo suo, furono molto infelici. Tra l’altro ritengo che i musicisti dei Knights siano i migliori per registrare il Concerto n. 1 di Shostakovich, perchè questa giovane orchestra è piena di fuoco e di passione. Non ho pensato di dover registrare per forza Shostakovich in Russia e con dei musicisti russi: quello che conta è il messaggio che possiamo trasmettere. Così abbiamo deciso di tentare questa avventura e abbiamo tenuto due concerti, nell’ottobre dello scorso anno, dai quali è nato il disco live. Certo, è stato un progetto molto rischioso, perché abbiamo registrato il CD proprio nel club dove suonava Jimi Hendrix: un momento davvero speciale, con un pubblico tra i quindici e gli ottantacinque anni, un incredibile mix di appassionati del pop e di appassionati di musica classica. Dopo aver fatto molte registrazioni in studio, rifinite in ogni dettaglio, sempre alla ricerca del suono migliore, con molte tracce e stando attento a montare il tutto con la massima precisione, avevo bisogno di questo CD dal vivo. Avevo bisogno di comunicare un messaggio: per quanto mi riguarda il messaggio è più importante dei dettagli. Perché suonare Shostakovich oggi? Cosa significa per noi questo compositore? Se guardiamo indietro e ci chiediamo quali siano stati i personaggi più rappresentativi del XX secolo, i personaggi capaci di esercitare delle profonde influenze sul nostro secolo, il XXI, il nome di Shostakovich è uno dei primi che vengono in mente. Anche per il contesto in cui è vissuto e gli eventi storici dei quali è stato testimone, dalla rivoluzione sovietica al comunismo, dalla repressione staliniana alla seconda guerra mondiale per arrivare alla guerra fredda, Shostakovich è sempre stato all’avanguardia (nel senso più nobile del termine), perché si interessava di tutto, perfino dell’opera (ha composto un’opera come Lady Macbeth del distretto di Mzensk) perfino del jazz, con le due jazz suite: possiamo affermare che sta alla Russia come Beethoven sta alla Rivoluzione francese. Quando interpreti un compositore così grande non puoi non pensare alla Storia, non pensare al contesto in cui è vissuto. Dico questo perché a mio parere Shostakovich potrebbe essere il più importante compositore del XX secolo se non uno dei più importanti in assoluto. E il Concerto n. 1 è senza dubbio il più importante capolavoro per violoncello e orchestra del XX secolo, perché è un lavoro completo, dove c'è tutto,
S', anche se per un musicista in realtà non è così importante il luogo dove vive, visto che ormai la carriera ti porta a viaggiare per il mondo: per esempio in novembre inizierò una tournée con alcuni concerti a New York poi andrò a Los Angeles, poi Singapore e Shangai, quindi in Germania - a Francoforte - e infine ancora a New York. Sempre in giro per il mondo. Questo è il motivo per cui non fa molta differenza vivere a Parigi, Londra o New York, anche se devo dire che a me ed a mia moglie [la violinista Mira Wang, ndr.] New York piace molto. E' una città che ci ispira, piena di festival, una città dove è possibile incontrare molte persone, perché tutti i musicisti passano da New York, alcuni anche due volte all’anno, un po’ come avviene a Sydney.
Proprio a New York ha registrato il disco con The Knights, in cui mette a confronto Jimi Hendrix e il Concerto per violoncello n. 1 di Shostakorich.
Vede, di ogni pagina importante del repertorio noi disponiamo di almeno due o tre buone registrazioni; nel caso del Concerto n. 1 di Shostakovich, per esempio, c’è quella con Rostropovich. Penso che quando si affronta un brano, soprattutto in CD, l’obiettivo debba essere quello di mostrarlo sotto una nuova luce. Un nuovo disco di una pagina di repertorio non è certo indispensabile, perché ritengo che oggi sia inutile fare un’altra buona registrazione che si aggiunga a quelle già disponibili. Una nuova registrazione ha senso solo se si trovano delle diverse chiavi di lettura. Credo, in questo caso, che tra Jimi Hendrix e Shostakovich ci siano dei legami molto stretti. Jimi Hendrix, negli Usa, ha lottato per la pace ai tempi della guerra del Vietnam, ma anche Shostakovich, in un’altra epoca e in un altro ambiente, è stato in fondo un pacifista, anche se durante la seconda guerra mondiale si trovò ad essere un poco patriottico. Il suo carattere pacifista, però, emerge in modo molto chiaro proprio nel Concerto n. 1 per violoncello. Insomma, in due epoche diverse, in due società diverse - Shostakovich in Unione Sovietica, Jimi Hendrix in America - fecero la stessa cosa, vale a dire combatterono per la pace. Ed entrambi del resto, anche se ciascuno a modo suo, furono molto infelici. Tra l’altro ritengo che i musicisti dei Knights siano i migliori per registrare il Concerto n. 1 di Shostakovich, perchè questa giovane orchestra è piena di fuoco e di passione. Non ho pensato di dover registrare per forza Shostakovich in Russia e con dei musicisti russi: quello che conta è il messaggio che possiamo trasmettere. Così abbiamo deciso di tentare questa avventura e abbiamo tenuto due concerti, nell’ottobre dello scorso anno, dai quali è nato il disco live. Certo, è stato un progetto molto rischioso, perché abbiamo registrato il CD proprio nel club dove suonava Jimi Hendrix: un momento davvero speciale, con un pubblico tra i quindici e gli ottantacinque anni, un incredibile mix di appassionati del pop e di appassionati di musica classica. Dopo aver fatto molte registrazioni in studio, rifinite in ogni dettaglio, sempre alla ricerca del suono migliore, con molte tracce e stando attento a montare il tutto con la massima precisione, avevo bisogno di questo CD dal vivo. Avevo bisogno di comunicare un messaggio: per quanto mi riguarda il messaggio è più importante dei dettagli. Perché suonare Shostakovich oggi? Cosa significa per noi questo compositore? Se guardiamo indietro e ci chiediamo quali siano stati i personaggi più rappresentativi del XX secolo, i personaggi capaci di esercitare delle profonde influenze sul nostro secolo, il XXI, il nome di Shostakovich è uno dei primi che vengono in mente. Anche per il contesto in cui è vissuto e gli eventi storici dei quali è stato testimone, dalla rivoluzione sovietica al comunismo, dalla repressione staliniana alla seconda guerra mondiale per arrivare alla guerra fredda, Shostakovich è sempre stato all’avanguardia (nel senso più nobile del termine), perché si interessava di tutto, perfino dell’opera (ha composto un’opera come Lady Macbeth del distretto di Mzensk) perfino del jazz, con le due jazz suite: possiamo affermare che sta alla Russia come Beethoven sta alla Rivoluzione francese. Quando interpreti un compositore così grande non puoi non pensare alla Storia, non pensare al contesto in cui è vissuto. Dico questo perché a mio parere Shostakovich potrebbe essere il più importante compositore del XX secolo se non uno dei più importanti in assoluto. E il Concerto n. 1 è senza dubbio il più importante capolavoro per violoncello e orchestra del XX secolo, perché è un lavoro completo, dove c'è tutto,
Immagino che questo sia il disco del quale Lei è più orgoglioso...
In realtà no. Posso dirmi orgoglioso anche del Concerto per violoncello di Dvorak che ho registrato con la New York Philharmonic, sempre per la Sony. Volevo inciderlo con l’orchestra che Dvorak ascoltava quando lo ha composto, proprio a New York, dove dirigeva il Conservatorio cittadino, perché il suono della New York Philharmonic di oggi ha conservato qualcosa del suono che aveva alla fine dell`Ottocento. Tra l’altro lo abbiamo registrato in un solo giorno, quasi come se si trattasse di una registrazione dal vivo, perché penso che io debba prendermi anche qualche rischio e puntare - come le dicevo prima - sull’energia. Magari in altri interpreti c’è maggiore cura dei dettagli e più perfezione, ma io preferisco puntare sull’energia. Per me conta mantenere la freschezza del messaggio da comunicare al pubblico e la tecnica in sé non è mai la mia preoccupazione principale, anche perché - devo dire - mi sono esercitato molto da ragazzo ed ora posso preoccuparmi meno degli aspetti tecnici.
Penso che avvenga lo stesso con Piazzolla...
Certo, anche nel tango c’è energia, ma Piazzolla è anche molto classico, molto trattenuto. Il tango è davvero particolare e proprio suonando Piazzolla ho imparato molto sul ritmo, sulla flessibilità del ritmo: il tango non è come il rock, che possiede un ritmo assolutamente regolare, nel tango il tactus è molto più flessibile, in un modo però molto sottile. Il segreto, quando si suona Piazzolla, è riuscire ad ottenere l'elasticità del ritmo.
Lei è direttore sia del Moritzburg Festival, sia del Dresden Festival: quali sono le differenze tra le due rassegne?
Sono molto grandi, direi. Quello di Moritzburg è un festival per i musicisti, che si incontrano per discutere sulla musica e preparare i programmi, perché tutto quello che si esegue è una nuova produzione, pensata e studiata qui, proprio durante le due settimane del Festival. Per noi il festival è anche un’occasione per ascoltarci a vicenda, per imparare qualcosa gli uni da altri, per prendere energia gli uni dagli altri. Invece il Dresden Festival va nella stessa direzione del Festival di Lucerna, tanto per avere un termine di confronto, con grandi solisti e grandi orchestre, insomma le più importanti voci della musica dei nostri tempi. In questo festival puoi ascoltare la New York Philharmonic, il Concertgebouw piuttosto che i Wiener Philharmoniker, senza trascurare, però, le nuove voci della musica, le voci di chi - secondo noi - sarà in grado di traghettare la musica nel futuro.
Si ha l'impressione che Dresda stia diventando una delle città europee più importanti in ambito musicale...
Direi di sì. Dresda è un luogo ideale, con la sua fantastica architettura italiana che rimanda al passato e con la sua voglia di cercare nuove vie per sviluppare la cultura verso il futuro. Ed una città che ha visto passare Weber, Wagner e Richard Strauss può davvero diventare il simbolo della musica in Europa.
Lei ha passato la sua giovinezza a Berlino Est. Era difficile per un musicista vivere dietro la cortina di ferro?
Era difficile, anche se per un certo aspetto era anche positivo perché quando ero un teenager frequentavo una specie di circolo musicale a Berlino Est e potevo ascoltare concerti, concentrarmi ed esercitarmi molto. Del resto i miei genitori erano entrambi musicisti (mio padre violoncellista, mia madre violinista) e mi hanno aiutato molto, come hanno aiutato mio fratello Kai, che attualmente è primo violino della Staatskapelle Dresden. Naturalmente sono stato fortunato perché quando avevo poco più di vent’anni è caduto il muro di Berlino e così ho potuto realizzare i miei sogni, per esempio - una cosa molto pratica - viaggiare per il mondo, e fondare il festival di Moritzburg: se il muro non fosse caduto tutto questo non sarebbe stato possibile.
Perché ha scelto proprio il violoncello?
Da ragazzo ho provato il violoncello e subito mi sono trovato a mio agio, così i miei genitori me lo hanno fatto studiare. E' davvero importante che i genitori ti aiutino a scegliere lo strumento giusto per te, perché tu puoi essere un disastro su uno strumento diverso!
Vedo che Lei è molto coinvolto anche con la musica contemporanea...
In questo campo credo di avere imparato molto da Siegfried Palm, il quale è stato un grande violoncellista proprio nel repertorio contemporaneo: Penderecki, Lutoslavvski e anche Ligeti. Mi ha aiutato molto, specialmente quando studiavo in Germania e mi diceva sempre che era un nostro dovere affrontare la musica di oggi.
Lei possiede, tra l’altro, uno strumento italiano, un Montagnana del 1721...
E' molto importante, perché avere un violoncello Montagnana - sono strumenti un poco più morbidi e caldi rispetto agli Stradivari - è il sogno di ogni violoncellista. Il mio violoncello ha poi un suono molto particolare e penso che sia davvero indispensabile trovare la voce nella quale tu puoi identificarti, che ti permetta di esprimere meglio le tue idee.
E' stato difficile trovarlo?
No, sembra incredibile, ma dico di no. Semplicemente è venuto da me. E' come con le donne: non puoi cercarle, sono loro che vengono. Un giorno un liutaio, che conoscevo bene, mi ha detto: "ho qualcosa da mostrarti". E' stato amore a prima vista: era uno strumento perfetto. Nel mondo non credo ci siano più di trentacinque/quaranta violoncelli Montagnana, ma quelli veramente buoni sono soltanto una ventina.
Certo, anche nel tango c’è energia, ma Piazzolla è anche molto classico, molto trattenuto. Il tango è davvero particolare e proprio suonando Piazzolla ho imparato molto sul ritmo, sulla flessibilità del ritmo: il tango non è come il rock, che possiede un ritmo assolutamente regolare, nel tango il tactus è molto più flessibile, in un modo però molto sottile. Il segreto, quando si suona Piazzolla, è riuscire ad ottenere l'elasticità del ritmo.
Lei è direttore sia del Moritzburg Festival, sia del Dresden Festival: quali sono le differenze tra le due rassegne?
Sono molto grandi, direi. Quello di Moritzburg è un festival per i musicisti, che si incontrano per discutere sulla musica e preparare i programmi, perché tutto quello che si esegue è una nuova produzione, pensata e studiata qui, proprio durante le due settimane del Festival. Per noi il festival è anche un’occasione per ascoltarci a vicenda, per imparare qualcosa gli uni da altri, per prendere energia gli uni dagli altri. Invece il Dresden Festival va nella stessa direzione del Festival di Lucerna, tanto per avere un termine di confronto, con grandi solisti e grandi orchestre, insomma le più importanti voci della musica dei nostri tempi. In questo festival puoi ascoltare la New York Philharmonic, il Concertgebouw piuttosto che i Wiener Philharmoniker, senza trascurare, però, le nuove voci della musica, le voci di chi - secondo noi - sarà in grado di traghettare la musica nel futuro.
Si ha l'impressione che Dresda stia diventando una delle città europee più importanti in ambito musicale...
Direi di sì. Dresda è un luogo ideale, con la sua fantastica architettura italiana che rimanda al passato e con la sua voglia di cercare nuove vie per sviluppare la cultura verso il futuro. Ed una città che ha visto passare Weber, Wagner e Richard Strauss può davvero diventare il simbolo della musica in Europa.
Lei ha passato la sua giovinezza a Berlino Est. Era difficile per un musicista vivere dietro la cortina di ferro?
Era difficile, anche se per un certo aspetto era anche positivo perché quando ero un teenager frequentavo una specie di circolo musicale a Berlino Est e potevo ascoltare concerti, concentrarmi ed esercitarmi molto. Del resto i miei genitori erano entrambi musicisti (mio padre violoncellista, mia madre violinista) e mi hanno aiutato molto, come hanno aiutato mio fratello Kai, che attualmente è primo violino della Staatskapelle Dresden. Naturalmente sono stato fortunato perché quando avevo poco più di vent’anni è caduto il muro di Berlino e così ho potuto realizzare i miei sogni, per esempio - una cosa molto pratica - viaggiare per il mondo, e fondare il festival di Moritzburg: se il muro non fosse caduto tutto questo non sarebbe stato possibile.
Perché ha scelto proprio il violoncello?
Da ragazzo ho provato il violoncello e subito mi sono trovato a mio agio, così i miei genitori me lo hanno fatto studiare. E' davvero importante che i genitori ti aiutino a scegliere lo strumento giusto per te, perché tu puoi essere un disastro su uno strumento diverso!
Vedo che Lei è molto coinvolto anche con la musica contemporanea...
In questo campo credo di avere imparato molto da Siegfried Palm, il quale è stato un grande violoncellista proprio nel repertorio contemporaneo: Penderecki, Lutoslavvski e anche Ligeti. Mi ha aiutato molto, specialmente quando studiavo in Germania e mi diceva sempre che era un nostro dovere affrontare la musica di oggi.
Lei possiede, tra l’altro, uno strumento italiano, un Montagnana del 1721...
E' molto importante, perché avere un violoncello Montagnana - sono strumenti un poco più morbidi e caldi rispetto agli Stradivari - è il sogno di ogni violoncellista. Il mio violoncello ha poi un suono molto particolare e penso che sia davvero indispensabile trovare la voce nella quale tu puoi identificarti, che ti permetta di esprimere meglio le tue idee.
E' stato difficile trovarlo?
No, sembra incredibile, ma dico di no. Semplicemente è venuto da me. E' come con le donne: non puoi cercarle, sono loro che vengono. Un giorno un liutaio, che conoscevo bene, mi ha detto: "ho qualcosa da mostrarti". E' stato amore a prima vista: era uno strumento perfetto. Nel mondo non credo ci siano più di trentacinque/quaranta violoncelli Montagnana, ma quelli veramente buoni sono soltanto una ventina.
intervista di Luca Segalla
(MUSICA, n.210, ottobre 2009)
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