Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, novembre 16, 2019

Il disco tra novità antiquariato e bricolage

Siamo di fronte ad un fenomeno così evidente che si finisce quasi per darlo per scontato, ed è invece complesso e decisivo per il futuro dell'ascolto. E anche della musica.
 
Arruga. Oggi il disco offre un’esperienza di ascolto così vasta e diffusa da cambiare il rapporto con la musica da parte della gente.
Ed in Italia in particolare, perché vi si è verificato uno dei picchi della diffusione del compact disc.
Foletto. I dati del primo trimestre 1989 testimoniano ormai che il compact disc nell’ambito della musica “colta” è arrivato a coprire il 27-28 % del totale distribuito in Italia. Il CD dunque non è più oggetto di culto tecnologico: è diventato nel nostro campo strumento di cultura e di conoscenza come l’LP.
Arruga. Indubbiamente uno dei vantaggi che dà il CD è la qualità dell’ascolto. Abbiamo scoperto che la presunta freddezza imputata al CD alla sua apparizione sul mercato dipendeva o dai primi apparecchi o dalle prime registrazioni o dall’idea preconcetta che l’oggetto nuovo tecnologicamente piu avanzato ci potesse allontanare dalla musica. Il vinile nero, il caro LP, ci era più familiare. Ma il CD indubbiamente ci porta ad ascoltare meglio, con più punti di riferimento acustico e anche con una maggiore ampiezza spaziale.
Foletto. A proposito delle applicazioni tecnologiche, con il CD possiamo permetterci di lavorare sulle musiche non dico come sul pianoforte ma con l’illusione di poter smontare e rimontare i pezzi con rapidità e comodità. In alcuni casi abbiamo aiuti preventivi come i track stessi che ci danno gli inizi, le risoluzioni oppure i passaggi di alcuni episodi che altrimenti sarebbe difficile recuperare sull’LP. In questo senso anche chi non si è mai posto il problema di “smontare” dei pezzi attraverso l’ascolto può allora venire stuzzicato a farlo. Dall’altra parte consente l’ascolto di una sinfonia per esteso.
Arruga. La facilità di produrre CD ha portato a una lievitazione del mercato. Abbiamo così un numero elevato di case discografiche insieme ad una miriade di piccolissime case che si sono gettate a capofitto a far uscire CD che propongono, riversati, vecchi nastri. Questo perché sul piano tecnico si può migliorarne la qualità iniziale riversandoli in CD, fino ad ottenere una qualità d’ascolto dal decente al buono (e comunque migliore di quella in cassetta).
Queste piccole case si sono trovate a disposizione venticinque anni di produzioni che, almeno in Italia, non sono più soggette ai diritti d’autore. Questa legge è assolutamente inspiegabile, però è, come dire, una “mascalzonata provvida” in quanto abbiamo le grandi esecuzioni a portata di mano. Ma in tutto questo c'è una questione assai più grave del danno economico sui diritti, e cioé la perdita di qualunque controllo da parte di autori e interpreti: tutto è nelle mani di chi fa i CD.
Foletto. In molti casi poi non è nemmeno nelle mani di chi fa i CD ma di chi a suo tempo fece la prima registrazione, spesso fortunosa, su nastro: Dio sa chi fosse e come abbia potuto essere stata fatta.
Arruga. Per non parlare poi degli errori e dei falsi. Esistono molti aneddoti significativi. Una casa italiana ha dovuto ritirare dal mercato un CD che celebrava - con tanto di saggio critico che spiegava come fosse inconfondibile - un’interprete in una storica registrazione. Ma controllando le date si sono accorti che l’interprete era tutta un’altra.
Foletto. E proprio in questi giorni è in vendita un’edizione di Don Giovanni attribuita a Mitropoulos ed è invece quella, riconoscibilissima, di Karajan con tutt’altro protagonista. Coincide solo l’anno, il 1954.
Arruga. Chissà come si troverà spiazzato un collezionista di Mitropoulos! Abbiamo avuto anche dei casi di CD fatti a collage di pezzi. C'è stata una casa discografica che ha inserito improvvisamente la frase di un tenore diverso dal titolare nell’esecuzione di un’opera!
Foletto. Finisce così che uno dei grossi limiti che abbiamo sempre denunciato delle incisioni attuali in studio lo ritroviamo proprio nei CD che dovrebbero avere valore di documentazione storica, per di più su esecuzioni dal vivo.
Arruga. Inquietante è anche il fatto che - nella assoluta libertà dai diritti d’autore - ci si possa anche copiare a vicenda. Mettiamo ad esempio che una casa discografica, poniamo la Fonit Cetra, stia incidendo un Don Carlos e si accorga che il suo nastro originale è difettoso. Mettiamo anche che un’altra casa discografica, ad esempio la Claque, faccia contemporaneamente uscire un’altra registrazione di quella stessa edizione del Don Carlos: non si vede come non potrebbe la prima casa utilizzare, bell’e pronto com’è, il CD della seconda. Di qui la possibilità che le piccole case godano di di un grande momento di diffusione e di ricchezza di materiale per il pubblico, ma che possano venire poi fagocitate dalle grandi che non hanno che da accaparrarsi i loro CD per poi affidarli alla loro rete distributiva.
Foletto. Oppure, cosa ancor piu dispersiva, che si finisca poi col fare semplicemente un altro CD della stessa opera magari registrato inizialmente una sera prima o una replica dopo.
Con la “legge dei venticinque anni” ci ritroviamo poi ad avere già i nastri “pirata” di Muti, tanto per fare un esempio, agli esordi alla Scarlatti di Napoli.
Arruga. Per fortuna la legge prevede di datare ogni uscita discografica, cosa che fino a poco tempo fa non avveniva nemmeno. Resta il fatto che gli interpreti non hanno nessun controllo artistico diretto
né lo possono demandare a qualcuno.
Foletto. Questa disordinata uscita discografica crea confusione nel pubblico. L’incisione storica può avere molto interesse, offrire spunti nuovi e spesso più autentici dei dischi fatti in sala d'incisione, oltre naturalmente ad essere, per molti, motivo di ricordo, documento importante di un avvenimento vissuto. Ma il livello è molto disuguale: spesso l'interesse di un’incisione è in una frase, in un’espressione, in un intervento orchestrale e non nell’incisione totale. Prendiamo le opere: spesso sono interessanti dal punto di vista vocale e poco interessanti - non sempre, naturalmente - dal punto di vista orchestrale. Spesso poi hanno dei tagli, non sempre dichiarati. C'è poi la strada delle registrazioni dal vivo delle opere messe in scena oggi: è una scelta che evidentemente funziona, consente alle piccole case discografiche di farsi un  catalogo, di mettere in circolazione cose abbastanza inedite e di aggirare il problema degli interpreti legati a "scuderie". Forse serve anche da stimolo ai teatri in cui queste registrazioni si fanno, e magari funziona da stimolo per la soluzione di trattative sindacali. Si sta creando dunque una produzione anomala, una via di mezzo tra produzione discografica live e incisione programmata con i teatri.
Arruga. E' un’apertura molto opportuna e necessaria in quanto l’unica possibilità per difendere la qualità è che un teatro se ne faccia garante.
Ma con il gonfiarsi del mercato ci troviamo ora ad un punto delicato: abbiamo contrapposti l’audience e la professionalità. Quello che immediatamente dà successo non deve necessariamente passare attraverso la professionalità. Una piccola casa che produce CD può mettere in giro prodotti ghiotti, ma spesso non ha una linea. I procacciatori di nastri diventano dunque produttori di fatto. Con queste premesse non si costruisce perché non c'è tutela di professionalità, non c'è esperienza. Si rischia di andare verso un qualunquismo qualitativo: la musica registrata finisce per essere un accumulo di momenti interpretativi senza avere più riferimento con la storia delle partiture e con le partiture stesse.
Mentre si sta facendo il grande lavoro delle edizioni critiche per dare la maggiore rispondenza alle indicazioni dell'autore, il rischio che qui si corre è quello di andare verso il deposito della tradizione routinière da cui ci si cerca di liberare. Il problema è anche quello delle note di copertina che quasi sempre sono un commento estetizzante o una notizia storica e apologetica priva delle indicazioni per comprendere quella incisione.
Foletto. Tocca a noi critici filtrare, recensendo, questi tipi di prodotti. Se il mercato accoglie con molto interesse le registrazioni storiche, noi che recensiamo e scriviamo dovremmo far capire perché alcune registrazioni storiche sono interessanti non solo in quanto documento storico ma perché ricche di indicazioni e indizi interpretativi espressi magari trent’anni fa; ci sono ad esempio casi leggendari, come i_Mozart di Busch anni 1929-32, che sono punti fermi per interpretare Mozart oggi.
Questo vale anche per interpreti vicini a noi che però venticinque anni fa avevano visioni interpretative diverse dalle attuali ed è necessario inquadrarle, analizzarle e spiegarle.
Ci sono poi le interpretazioni d’oggi fatte in studio. La presenza anche di piccole etichette discografiche ha portato da una parte una ventata di freschezza con l’immissione sul mercato di interpreti che avrebbero ieri dovuto attendere molti anni prima di entrare in sala d’incisione. Questi interpreti però pagano lo scotto di avere meno prove di registrazione, di avere orchestre o complessi che non sono ancora all’altezza di quelli che lavorano ai massimi livelli in campo discografico e le cui interpretazioni sono pensate spesso per il disco, per essere storicizzate. Una cosa va sottolineata a questo proposito: le registrazioni dal vivo di venticinque anni fa sono in qualche modo “false” perché non nascevano per essere riascoltate vent’anni dopo.
Arruga. Segnalo il pericolo che stanno correndo ora i teatri: molti spettacoli sono fatti in funzione della registrazione discografica.
Prendiamo la Scala ad esempio: il Guglielmo Tell ha dimostrato che la posizione dei microfoni è più importante dell’azione scenica. L’idea di Ronconi del “tutto immagine” a scapito dell’azione scenica nasceva probabilmente anche da questo fatto. Abbiamo visto Merritt - che pure è uno che si da generosamente all’arte - muoversi in scena per andare a quei microfoni che avevano una “pista” separata da quella del coro. Non possiamo non essere consapevoli che ciò accade.
Quando c'è un mezzo di riproduzione, nessuno può non esserne condizionato. La differenza fra il disco live storico e quello live attuale resta dunque forte perché l’interprete sa oggi quali sono i punti essenziali su cui far leva. La registrazione live prevede comunque oggi una seduta per le eventuali correzioni.
Nella presentazione e nella recensione del disco bisogna avere la coscienza culturale di ciò che è un disco: un momento comunque provvisorio, l’interpretazione di una partitura in un determinato momento, fatta da determinate persone, per un determinato scopo. Se ci si discosta da questa consapevolezza per fare un discorso promozionale del tipo “la migliore Turandot”, “il vero Beethoven” considerando il disco un prodotto "finito", assoluto, con cui confrontarsi, allora non si fa un discorso onesto. Il disco è comunque una scelta provvisoria. Lo stesso strumento che ci consente l’ascolto del disco live o storico ci rende un suono sostanzialmente diverso dall’originale, se pure fedele. E nell’ascolto dobbiamo immaginare gli spazi originali e, se si tratta di un'opera, anche gli allestimenti, la regia di allora. Bisogna anche ricordare che in studio si possono ottenere cose che non si ottengono "dal vivo". Ma non si riuscirà mai a riprodurre in disco l’emozione fisica del suono della Filarmonica di Berlino ascoltata dal vivo.
Foletto. A meno di non sdrammatizzare tutto immaginando che in futuro questo settore produttivo - che è oggetto di evoluzione tecnologica continua e insospettata - non produca una specie di CD Polaroid, vale a dire un CD che registri la stessa esecuzione alla quale si assiste e che possa venire acquistato come souvenir a fine serata così come un tempo venivano acquistati i programmi di sala. Dei CD souvenir, dunque. Come avviene all’estero per certe visite ai castelli: si entra, si fa la visita, si dà la mancia alla guida e si ritira la propria fotografia scattata all’ingresso con i compagni di viaggio.
("Musica Viva", n. 6, Anno XIII, giugno 1989)

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