Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, novembre 02, 2019

Quirino Principe: Musica e filosofia (2/14)

Une conscience musicale est toujours en situation: elle appartient à un certain milieu, à une certaine époque, et se trouve informée par une certaine culture.
Ernest Ansermet
 
LA MUSICA E LE IMMAGINI DEL MONDO
Seconda parte.
 
Carlo Carrà
La musa metafisica, 1914
Disegnare a grandi linee una mappa delle civiltà musicali alla luce del rapporto tra musica e filosofia è un nostro impegno che avevamo promesso ai lettori. Apriamo la ricognizione con una frase custodita da Ernest Ansermet fra le mille pagine del suo libro capitale Les fondements de la musique dans la conscience humaine, ispirata a ragionevole relativismo storico. Con il suo senso del relativo, la frase non è propriamente clamorosa, il suo rilievo è basso e non emoziona. Ma nell'esteso intreccio di pensiero che costituisce l'opera filosofico-musicale di Ansermet, essa è soltanto un presupposto dialettico alla scoperta del senso universale, non relativo, e persino a priori, presente nella musica. Quando interroghiamo la musica, continua Ansermet, essa ci richiama al suo atto d'esistenza, e poiché un atto non può essere compreso se non partiamo dal suo senso, è necessario intuire il rapporto tra la coscienza e il mondo dei suoni. Soltanto il carattere universale di questo significato che dobbiamo attribuire alla musica ci permette di capire la chiave di lettura di un'opera particolare.
Questa qualità della musica, che s'impone come un sublime paradosso, rende quest'arte la più idonea a entrare in rapporto con la filosofia. Esiste, nella natura dei due linguaggi, quasi uno scambio di ruoli. La filosofia è un linguaggio universale, e perde i suoi connotati se trae le proprie ragioni da fenomeni definiti nel tempo e nello spazio. La musica è anch'essa un linguaggio universale, ma trova la propria universalità soltanto nell'opera, o in un frammento, che nel tempo e nello spazio s'individualizza. Esiste però un terreno che permette a musica e filosofia di affiancarsi come due forme di suprema conoscenza del mondo, o addirittura di convergere. Quel terreno è la facoltà, propria ad entrambe, di rappresentare in termini simbolici le connessioni tra le realtà che costituiscono il mondo; la simbologia rende inevitabile l'uso delle immagini, le quali non sono il mondo, ma ad esso alludono per analogia. Nella musica, la realtà fisica del suono ha significato perché si articola e si delinea secondo rapporti di pausa e di durata, di simmetria o di asimmetria, di ritmo binario o ternario, regolare o irregolare, di superiorità o inferiorità nella gamma, di prolungamento o di suddivisione, di orizzontalità o di verticalità. Sono tutti criteri che consentono di vedere il mondo sub specie musicae. Nella filosofia, malgrado la necessità di formulazioni rigorosamente astrattive, la stessa terminologia non può sfuggire alle idee di trascendenza e immanenza, di connessione sillogistica; il rapporto di mimesi che alcune filosofie hanno definito tra il trascendente e l'immanente (per esempio, il platonismo: un rapporto eminentemente "visivo", costruito su immagini) è adombrato, nella musica, dai procedimenti d'imitazione (il canone, la fuga), l'angoscioso tema filosofico dell'uno e del molteplice si riflette in chiave analogica nella forma musicale del tema con variazioni. Paradossalmente, risulta anzi che il linguaggio della filosofia è più "visivo" di quello della musica; di conseguenza, le filosofie si sono assunte il compito, soprattutto agli esordi delle diverse civiltà, di tradurre in immagini la relazione tra la musica e il mondo. Nelle diverse strategie di pensiero che hanno tentato di definire questo legame è il tono, il carattere e lo stile delle diverse civiltà nella loro integrale fisionomia.
Nella mappa che illustra il nesso filosofia-musica così come diverse civiltà lo hanno interpretato, entrano in gioco tre fondamentali alternative: la prima è in relazione con l'idea a priori e con il principio di causalità, la seconda con l'analisi del linguaggio, la terza con la dialettica soggetto-oggetto.
1) La questione dell'assoluto a priori metafisico e della catena causale si presta all'alternativa:
- (a) Il mondo è il modello della musica, l'exemplar secondo le cui forme essa si genera e prende forma; il mondo crea la musica ed è creato dalla musica.
- (b) La musica, all'inverso, è il modello del mondo, l'archetipo di cui l'universo è imitazione; la musica crea il mondo, o almeno la sua esistenza precede il mondo.
2) Nella visione, sia essa mitica o prescientifica o scientifica, della struttura che regge le cose, due tendenze opposte si alternano o si escludono:
- (a) E' possibile riconoscere caratteri formali comuni, quasi un comune scheletro portante, nella musica e nella realtà universale.
- (b) Non esiste alcun carattere comune; anzi, strutturalmente la musica e l'universo sono l'una la negazione dell'altro, sicché la musica rappresenta una ra~ dicale antitesi nei confronti del mondo.
3) Il grande tema della possibile coincidenza tra pensiero ed essere, della soggettività come possibile specchio della realtà cosiddetta oggettiva, divenuto drammatico e destabilizzante con la "rivoluzione copernicana" di Kant, è in verità presente, con il suo potenziale angoscioso, in diverse epoche e in diverse aree culturali del pensiero filosofico. In un'accezione che sembra particolare e persino marginale agli occhi del "realismo ingenuo" dominante nella prima Scolastica, ma che si rivela essenziale e addirittura riassuntiva dell'intera relazione soggetto-oggetto nelle sue molteplici varianti, il problema è in sostanza se il linguaggio sia unicamente lo strumento conoscitivo che ci consente di decifrare la realtà, inesorabilmente intesa come "altro", oppure se non sia esso stesso la realtà. Nella filosofia occidentale, cui ci riferiamo non perché più importante ma perché a noi più immediatamente nota, la terribile questione è aperta scandalosamente dalla sofistica, è adombrata dai nominalisti medievali, tende le sue reti insidiose a insospettabili filosofi di ortodossa tradizione cristiana (Anselmo d'Aosta e la sua prova "ontologica" dell'esistenza di Dio), si fa acuta e insanabile, come sappiamo, nella dialettica trascendentale di Kant, dilaga irrefrenabile nel pensiero neopositivistico di Carnap, di Gödel e di Wittgenstein come nella più recente indagine analitica di Foucault. La musica è per essenza un linguaggio, e quindi entra nel gioco; fra le varianti interpretative, esiste quella secondo cui la musica non è un linguaggio, ma il linguaggio conoscitivo per eccellenza. Si delineano così due alternative fondamentali:
- (a) La musica è oggetto di conoscenza metafisica, oppure, all'inverso, conoscenza ausiliaria e rivelatrice.
- (b) La musica non è né oggetto né strumento di ausilio al sapere filosofico, ma è essa stessa filosofia: una sapienza suprema, che tutto risolve in sé.
Nel rapporto musica-filosofia emergono così, in tre coppie di alternative, sei indirizzi fondamentali. In modo decisivo, segnando ciascuno una direzione che incide un segno incancellabile nelle diverse tradizioni e scuole di pensiero, essi collocano la musica in un ruolo centrale all'interno dello sforzo con cui le filosofie costruiscono ciascuna la propria visione del mondo o Weltanschauung. La nostra elementare analisi ha l'intento di mostrare come i sei indirizzi, variamente combinati, finiscano per aggregarsi in una serie di formule più complesse attraverso cui è possibile riconoscere le particolari vocazioni che hanno sospinto le diverse civiltà verso una definizione del rapporto musica-filosofia, sul rischioso terreno dell'immagine del mondo così come il pensiero filosofico tende a disegnarla. Il nostro schematismo è deliberato e vuol essere un'ipotesi classificatoria iniziale. La formula combinatoria individua fedelmente, crediamo, le grandi manifestazioni storiche della filosofia, nel tempo e nello spazio, ma le varianti, le sottovarianti e le sfumature sono innumerevoli. Prima del nostro tentativo di classificazione, s'impone un'ultima premessa, che richiama al nostro intervento precedente. Esaminare la filosofia occidentale, nel suo arco storico, a fianco delle grandi tradizioni filosofiche nate in altre aree di civiltà, significa paragonare termini eterogenei. Le filosofie orientali hanno nella storia uno sviluppo di debole rilievo; la loro sostanziale uniformità nel tempo è il prezzo pagato alla persistente forza delle loro premesse tradizionali, che hanno continuato a incidere nelle cose, nelle istituzioni pubbliche e nel modo di vivere, con un mordente ormai non familiare all'Occidente, dove la più accentuata tendenza alla libertà della filosofia e delle arti, alla democrazia autentica, coincide con il "pensiero debole". Un esame diacronico di quelle civiltà filosofiche ce le rivela analoghe, per quanto riguarda la loro omogeneità e persistenza se non sotto altri aspetti, a ciò che la Scolastica medievale fu nell'Occidente cristiano, ma certo esse non potrebbero essere più lontane dalla ricchezza di posizioni autonome, articolate e spesso autentiche presenti nell'antico pensiero ellenico come nella filosofia europea dell'era moderna. La circostanza ineludibile ci suggerisce, nella mappa che segue, di considerare anche l'Occidente filosofico nella sua vocazione di fondo, nei suoi inizi, e piuttosto come tradizione che non come storia.
Nella cultura filosofica dell'India classica, nata a fianco della letteratura religiosa induista, la musica non è soltanto il modello del mondo: ne è la creatrice, o piuttosto è lo strumento di cui Brahma si serve per trarre il mondo dalla non esistenza. Nulla tuttavia, in quella tradizione, lascia intendere che la musica sia essa stessa oggetto di creazione nel senso ebraico-cristiano: essa è preesistente ab aeterno. Ma se il mondo è inizialmente modellato secondo archetipi musicali, questa fase aurorale cede il posto a un allontanamento progressivo dell'universo creato dalla sua fonte generatrice. La musica è il Bene e la Verità, mentre il mondo ne è l'antitesi, ed è quindi il Male. La via alla salvezza consiste essenzialmente nel negare il mondo, tendendo asceticamente alla condizione premondana, oggetto di speculazione metafisica: la pura musica preesistente. Il totale straniamento del mondo dalla musica originaria rende impossibile l'attribuire alla musica una funzione di sapienza interprete delle cose e dei loro nessi; nulla di simile alla sofia ellenica. Filosofia è il tendere del mondo a riconfluire nella musica, ma non può essere la musica stessa (formula 1-b/2-b/3-a [=0]). A proposito dell'alternativa (3-a), da noi data come uguale a zero, conviene osservare che nella civiltà filosofica dell'India classica la musica è, come si indicava nella precedente distinzione analitica posta a premessa di questa classificazione, oggetto di conoscenza metafisica, ma soltanto nel senso che è la "conoscenza di una non conoscenza del mondo".
Nelle civiltà dell'Estremo Oriente, e in particolare nella cultura cinese classica lucidamente analizzata in Occidente, nella sua filosofia, da Marcel Granet, e nella sua musica da Maurice Courant e Alain Daniélou, non ha alcuna evidenza l'idea di creazione in senso ontologico, e tanto meno in una prospettiva trascendente. La musica non è il modello del mondo, ma si modella su di esso secondo principi universali, che riproducono, anche in vista di una minuziosa educazione estetica da cui dipende (a un livello inferiore) l'educazione etica, le strutture e i nessi universali. Non soltanto esistono, tra la musica e il mondo, precisi caratteri comuni, oggetto di attenta analisi da parte dei teorici, ma in generale tutta la simbologia della musica e delle arti (altezza del suono, colore, sapore, modo musicale secondo cui intonare gli strumenti, foggia degli abiti, punti cardinali cui orientarsi, ciclo stagionale, animali e vegetali) viene classificata secondo un'immensa tavola sinottica di corrispondenze e analogie. Le varie simbologie dividono l'universo in settori intellettuali: la musica è un settore della sapienza suprema, ma non è la filosofia, anche se in una fase della cultura cinese classica, che osserveremo da vicino in un prossimo intervento, essa aspirò a tale funzione (formula 1-a/2-a/3-a).
Nella civiltà dell'antico Egitto, il mondo è creato da un dio mediante una risata intonata su sette note musicali: la musica, come appare da questo mito filosofico-matematico costantemente ripetuto nel Libro dei Morti, non è quindi la creatrice del mondo, ma ne è uno dei possibili modelli. La rarità di testi il cui senso possa convergere con questa sorta di cosmogonia musicale rende incerto il carattere universale del nostro giudizio. Ma la civiltà egizia, negativa e antivitalistica, dà alla sfera notturna e funebre una centralità che esclude la connessione strutturale tra le cose votate alla dissoluzione, le cui radici sono sprofondate nel mistero: soltanto la musica svela, in un atto di fede prossima all'autoannientamento dell'intelletto, l'ordine in cui collocare le essenze arcane, dalle viscere contenute nel canopo agli ideogrammi magici e salvifici. La musica, che nella civiltà egizia occupa un posto più ampio a paragone con le altre culture dell'antico Oriente, è così anche la sintesi della sapienza suprema, in cui magia, medicina e scienza della scrittura confluiscono e si annodano (formula 1-b/2-b/3-b). Altissimo ruolo assegnato alla musica, forse il più alto fra le diverse grandi tradizioni; tenebrosa Weltanschauung.
Pìù luminosa, ma certo meno emozionante, è l'immagine del mondo e del legame tra musica e filosofia in una tradizione che ci è più familiare, quella ebraica, ma in un settore percorso abitualmente non tanto dai credenti ortodossi quanto dagli specialisti di studi storico-filosofici. Si tratta, infatti, della prima vera scuola filosofica fiorita nella cultura ebraica sul terreno della rivelazione biblica, quella dell'ebreo ellenizzato Filone di Alessandria (tra il I secolo a.C. e il I d.C.). Malgrado il vigoroso innesto del platonismo (Filone fu il "Platone giudaico", come lo definirono i Padri della Chiesa orientale), la radice ebraica conserva la sua forza determinante. Nella analisi allegorica che Filone fa della Bibbia, Dio crea il mondo usando la struttura della scala musicale dorica come modello, o "cartone" per il grande affresco, e ciò spiegherebbe la perfezione di quel "buon lavoro" dopo il quale Dio, il settimo giorno, si riposò. Ciò spiega anche i caratteri formali comuni alla struttura delle scale musicali e all'ordine dell'universo. Tuttavia, Filone attribuisce alla musica, in quanto arte umana, un carattere educativo, o di decorativo allietamento della vita: il pregiudizio moralistico e antiedonistico, tipico delle grandi tradizioni legate a una religione monoteistica, lascia il segno indelebile (formula 1-b/2-a/3-a).
La civiltà islamica è quella che, almeno in una precisa e delimitata fase storica, meno si allontana in termini filosofici della vivacità e rapidità di sviluppo della filosofia occidentale. Dopo il X secolo, il fiorire di molte eresie in campo religioso favorì anche la nascita di scuole filosofiche diverse tra loro, e assai poco eterodosse. Ma se vogliamo limitarci al tronco centrale del pensiero filosofico, che nel mondo islamico si proclamò come una via alla sapienza universale (all'ombra del Corano) tra il trionfo di Muhamad e la fine della dinastia abbasside (cioè tra il VII e il X secolo), siamo colpiti da un paradosso apparente. In tutti i settori della società islamica, in quel periodo aureo, e a tutti i livelli, la musica è la privilegiata fra le arti: ricchezza di me o e, grande numero di musici compositori cui la tradizione letteraria attribuisce fama e agiatezza, alta considerazione in cui i professionisti di musica sono tenuti, varietà di strumenti musicali molto elaborati. A fronte di quel mondo di delizie sonore, una filosofia dominante che assegna un ruolo decisamente umile alla musica: un mezzo di devozione, un'utile e dilettevole pedagogia, o una maniera raffinata di arricchire i piaceri dei sensi (e quali piaceri!). Nella cultura islamica, fatta eccezione per una celebre setta ereticale del Khorasan, la musica non è mai un elemento archetipico dell'universo, né la chiave per decifrare, in nome di linee strutturali comuni e universali, i segreti delle cose; non ha una parte decisiva nella magia: non è mai assunta al livello di linguaggio assoluto e di sapienza suprema (formula 1-a/2-0/3-0). Nella tradizione filosofica greco-ellenistica, che è l'asse centrale della nostra eredità, esiste già quella caratteristica dello spirito occidentale che è la varietà di orientamenti e la sostanziale laicità del pensiero. Sotto questo aspetto, come vedremo in successivi interventi, il legame tra musica e filosofia è diverso in Platone e nel suo immediato discepolo Aristotele. La natura filosofica e sapienziale della musica è privilegiata lungo il segreto filo di pensiero che collega i pitagorici delle prime scuole al Platone, appunto, "pitagorico" (quello della Politeia e del Menone), ad alcune sette gnostiche del III e IV secolo d.C. Qui la visione del mondo è tale da innalzare la musica a somma realtà metafisica, universale ed eterna, di cui il mondo è ombra e mimesi: i rapporti tra i suoni sono archetipi delle cose, la cui struttura è su essi modellata, e la musica è rivelazione delle cose ultime (formula 1-b/2-a/3-b).
La classificazione ha posto volutamente in ombra la dimensione diacronica, la quale, una volta illuminata in pieno, rivelerebbe come tra le diverse tradizioni sono esistite in alcune fasi storiche ora coincidenze, ora divergenze graduali da radici comuni, ora confluenze e sincretismi. Anche per esaminare più da vicino questi dettagli, tratteremo, nel nostro prossimo intervento, il rapporto musica-filosofia nell'ambito di tre tradizioni orientali poste a occidente, al centro e a oriente della "fertile mezzaluna": l'antico Egitto, il mondo ebraico, l'India classica.
Quirino Principe
("Musica Viva", n. 2, Febbraio 1990, Anno XIV)

Nessun commento: