Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

giovedì, luglio 23, 2020

Walter Chinaglia: la reinvenzione dell'organo di legno

(Foto: Dr. Luca Fattorini)
Per quanto una parte del pubblico (e, a dirla tutta, anche una parte degli addetti ai lavori) consideri ancora la ricerca sugli strumenti antichi un concetto che si trova a metà tra l’oziosa curiosità e l’inutile perversione, c’è da tenere in considerazione che lo studio delle caratteristiche timbriche e sonore degli strumenti in possesso di un determinato autore può fornire spiegazioni molto evidenti relativarnente a determinate scelte compositive, oppure chiarire la scelta esecutiva da applicare nel momento in cui la scrittura non fornisce informazioni sufficientemente evidenti. Lo studio di questa rnusica e delle "istruzioni per l’uso secondo le fonti antiche" ha ormai un secolo abbondante di storia, sin dagli studi seminali di Dolmetsch, passando per le incisioni pionieristiche di Eduard Müller e di August Wenzinger per arrivare, finalmente, alla prima generazione che ha proposto questo approccio al grande pubblico, centralizzata su due figure giganti come Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonhardt. Nel frattempo, visto che la musica barocca è sempre stata più viva che mai, abbiamo dovuto assistere, pur di permettere certe esecuzioni sugli strumenti moderni, a scelte che definire bizzarre è dire poco: escludendo le volte in cui la mano santa del tecnico del suono ha ricreato il bilanciamento sul mixer, abbiamo avuto frequenti esempi nelle esecuzioni del Secondo brandeburghese di Bach (dove violino, tromba, flauto diritto e oboe devono dialogare) che in alcune esecuzioni del passato veniva realizzato mettendo il trombettista molto lontano dalla posizione degli altri strumentisti, per compensare la differenza dei volumi naturali degli strumenti. Straordinaria per la sua semplicità ed eloquenza anche la nota con cui Nikolaus Harnoncourt accompagnava l’incisione della Messa in si minore del 1968: usando le dimensioni dell’orchestra indicate da Bach, i volumi dell'orchestra erano perfettamente bilanciati, tanto da poterli registrare con una sola coppia di microfoni, mentre usando le dimensioni di un’orchestra moderna era necessario un enorme lavoro di bilanciamento tra le singole parti. Certo, di tanto in tanto si troverà sempre chi affermerà "ma se Bach avesse avuto il pianoforte... ", frase che però andrebbe completata con "...avrebbe scritto altra musica".
Tuttavia, per quanto gli studi in materia (e le loro applicazioni pratiche) abbiano fatto progressi enormi sulla comprensione sia degli aspetti organologici che della comprensione della prassi esecutiva, molti problemi restano aperti, e uno è certamente quello dell’utilizzo dell’organo nel basso continuo. Leviamoci di dosso l’impressione, tipicamente italiana, per cui l’organo sia esclusivamente strumento da chiesa e quindi da utilizzare solo in contesti sacri: basterebbe andare a leggere le molte note dedicate all’organo sul "Corago, o vero alcune osservazioni per mettere bene in scena le composizioni", un trattatello anonimo (forse di Pierfrancesco Rinuccini, figlio di quell’Ottavio, autore dei libretti della Dafne e dell’Euridice), scritto nella Firenze del 1630, laddove la Camerata de’ Bardi aveva appena inventato il melodramma.
Gli organi che vediamo comunemente nei concerti di musica antica sono strumenti in legno, facilmente trasportabili e accordabili, che possono essere dotati di uno o più registri e, pertanto, contenere al loro interno una o più file di canne. Trattandosi di strumenti che generalmente vengono affittati, o appartengono al luogo del concerto (chiesa, teatro o altro), devono avere caratteristiche di flessibilità timbrica (perché possono essere usati con gruppi - vocali, strumentali o misti - grandi o piccoli, e quindi aver bisogno di volumi sonori differenti) e di maneggevolezza, specie se è necessario spostarli frequentemente. Inoltre, poiché - a seconda del programma - può essere necessario variare il temperamento, devono avere la possibilità di modificare l'accordatura della singola canna. Per ottenere tutte queste cose, il compromesso migliore è sempre stato l’utilizzo dei cosiddetti "organi a cassapanca", che utilizzano canne di legno tappate, corrispondenti al registro di Bordone: infatti, una canna di questo genere ha una lunghezza pari alla metà rispetto a una corrispondente canna aperta, con conseguente risparmio di peso e di spazio: il tappo della canna, inoltre, è mobile e spostarne la posizione, modificandone la lunghezza, ritocca l'accordatura.
Come in tutte le situazioni, però, è necessario sottostare a compromessi che, in determinate condizioni possono non risultare accettabili: in questo caso, e specificamente per la musica italiana, esiste un problema evidente inerente il timbro dell'organo con canne di Bordone. Infatti, i nostri antenati conoscevano certamente questo tipo di registro: uno dei più autorevoli trattati in materia ("Regola, e breve raccordo per far render agiustati, e regolati ogni sorta di Istrornenti da vento, cioè Organi, Claviorgani, Regali, e simili, e contengono le vere maniere per formare detti Istrornenti delli più buoni, belli, e ben compartiti", di Antonio Barcotto, edito a Padova nel 1652) ne riconosce la praticità in termini di spazio ("tangano poco luogo, e possino dapire nelle Chiese piccole e anguste") ma boccia senza mezzi termini questo genere di timbro; "è da sapere, che tal voce è artificiosa, e non naturale, come quella delle Canne aperte. E se da qualche Maestro ne vengono fatte, questo sarà per il sparagno della materia [...] onde chi opera viene ad avvantaggiarsi della metà della robba. E per tal effetto ove possono capire Canne di tutta grandezza, si devono far fare, essendo di voce più perfetta, e buona". Il riferimento è al timbro del registro di Principale, tipico dell’organo italiano, ma che in relazione agli strumenti oggi esistenti è legato in primo luogo a canne di metallo. E qui sorge il dubbio cardine, poiché Claudio Monteverdi, Ludovico da Viadana, Emilio de’ Cavalieri parlano di organi di legno, ma con il timbro del Principale: non sono pochi gli appellativi volti ad elogiarne l’effetto di tali organi, definiti "soavi", "dolci", "pietra di paragone per le buone voci", "voce dolcissima per i recitativi". Inoltre, nelle testimonianze che possediamo relativamente alle messe in scena dei primi melodrammi troviamo riferimenti espliciti a queste tipologie di organo: basta andare a leggere la partitura dell’Orfeo di Monteverdi, che si premura di segnalarne la presenza in vari punti.
Il problema non era certo ignoto, anzi: nel Corso degli anni, alcune registrazioni che cercavano un suono autentico erano state realizzate su piccoli strumenti (con canneggio in metallo) conservati in chiese o musei. Questo approccio, pur certamente più autentico rispetto all’uso delle canne tappate, poneva tuttavia compromessi logistici non sempre aggirabili: in primo luogo, le condizioni di manutenzione dello strumento potevano non essere sempre ottimali; in secondo luogo, non è detto che lo strumento avesse il diapason o il temperamento corretti e ritoccare ad hoc l’intonazione di un organo non è sempre possibile. Senza contare che organi del genere hanno spesso collocazioni ben specifiche e non sono fatti per essere spostati, costringendo l’organista (e non solo) a lavorare in condizioni proibitive.
Per molti anni si è attesa la soluzione che in tanti auspicavano: avere finalmente a disposizione quegli strumenti di legno di cui parlano i testi antichi, che fossero trasportabili e con il timbro del Principale italiano. Ma le difficoltà non erano poche, perché nelle fonti storiche le indicazioni per la costruzione di questi strumenti sono veramente minime e a oggi sono sopravvissuti due soli strumenti con tali caratteristiche, quello conservato nella Silberne Kapelle, a Innsbruck,  e quello della cattedrale di Montepulciano (Siena).
Partendo da questi presupposti, l’organaro comasco Walter Chinaglia alcuni anni fa un percorso di ricerca, tra fisica e organologia, che l’ha portato a realizzare alcuni strumenti dal risultato davvero molto apprezzabile. Il progetto è culminato nella realizzazione dei "duoi organi per Monteverdi", due strumenti che cercano di ricalcare quelli che il compositore cremonese usò nella sua audizione a San Zorzi. Presentati al pubblico per le celebrazioni del 450esirno della nascita del compositore cremonese, nel 2017, hanno costruito un vero punto di partenza per un nuovo approccio all’esecuzione: infatti non solo gli strumenti sono stati impiegati in concerto, presentati in conferenze e utilizzati in varie incisioni discografiche recenti, ma lo stesso Chinaglia ha iniziato una collaborazione come Research Fellow con il Deutsches Museum di Monaco di Baviera per sviluppare il progetto di un grande organo di legno rinascimentale italiano.
Chinaglia, classe 1971, da molti anni noto per la qualità dei suoi strumenti, unisce la sua attività organologica a una laurea in fisica (con un passato da ricercatore universitario). Proprio questo connubio lo ha portato ad approcciare il problema analizzandolo in modo estremamente radicale, non basato quindi solo su un approccio empirico, ma anche e soprattutto cercando una soluzione scientifica.
Facciamo una necessaria premessa: uno strumento a fiato può essere scomposto in due parti fondamentali: un risonatore (la parte dove l'aria immessa entra in vibrazione, creando un’onda con determinate caratteristiche, ossia con un determinato timbro) e un tubo sonoro (dove l’onda acquisisce la propria lunghezza e, pertanto, l’altezza del suono): pensando a un semplice flauto diritto, la lunghezza del corpo (il tubo sonoro) viene modulata dalla posizione delle dita, permettendo quindi di produrre note diverse, mentre il timbro viene imposto dalla testata (e da come in essa viene immessa l’aria). Nell’organo la situazione è molto simile poiché ogni registro (che ha un certo timbro) consiste in una canna per ogni tasto (quindi di dimensioni variabili per produrre frequenze legate alle varie altezze): le canne di un certo registro, quindi, cambiano di dimensione ma mantengono la stessa geometria, scalata in proporzione.
Durante gli studi per questo lavoro, Chinaglia si è accorto del fatto che il pensiero comune, secondo cui una canna di legno avrebbe dovuto avere necessariamente un timbro più dolce, "flautato", rispetto a una di metallo non era completamente vero, infatti gli armonici che si possono sviluppare in una canna di legno non sono necessariamente inferiori a quelli di una di metallo, poiché la dotazione armonica del timbro dipende essenzialmente dalla geometria del risonatore e non dal materiale con cui è costruito.
Pertanto, lavorando opportunamente sui dettagli della forma della canna, Chinaglia è riuscito a raggiungere un risultato davvero straordinario che sembra rispettare tutte le caratteristiche estetiche così come possiamo desumerle dalle fonti storiche.
Il risultato ha immediatamente riscosso l’interesse sia del mondo organistico che di quello della musica antica, poiché ha di fatto aperto una porta nuova su quella che sembrava una strada senza uscita: per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento dal punto di vista più specifico, sul sito dello stesso Walter Chinaglia (www.organa.it) sono disponibili molti degli articoli - anche scientifici - sinora pubblicati, ma non mancano (e non mancheranno) le occasioni (discografiche e concertistiche, oltre a conferenze e lezioni) per potersi rendere conto del risultato con le proprie orecchie. Da quello che si è sentito sinora, se dal punto di vista organologico possiamo davvero parlare di un momento rivoluzionario, c'è soprattutto da assaporare l'autentica ventata di aria fresca sprigionata da questo "nuovo" strumento: certamente si apre un ambito di possibilità per la comprensione di questa musica su cui ancora tanto deve essere investigato e scoperto.
E tutto quello che era stato fatto finora? Da buttare? Non direi proprio: oggi sappiamo qualcosa di più di quanto non sapevamo ieri, e probabilmente domani sapremo un po’ di più di quanto non sappiamo oggi. La storia dell'interpretazione musicale è fatta di approssimazioni successive, di tentativi, di scoperte: ognuna di esse e figlia del suo tempo e del suo tempo ci parla. La musica è un mondo vivo, anche se vogliamo limitarci alla letteratura scritta all'interno di un lasso di tempo chiuso, e la cosa migliore che possiamo fare per esso è mantenerla viva e consegnare il nostro contributo a chi verrà dopo di noi, così come l’abbiamo ricevuto: operazioni come quella svolta da Chinaglia non solo ci fanno capire meglio il passato, ma portano nuova linfa vitale nel mondo della musica.
Carlo Centemeri
("Musica", n. 313, Febbraio 2020)

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