Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, maggio 01, 2021

Rivelazione dell'antimusica. Nikolaus Harnoncourt in memoriam

Mi hai letteralmente fatto saltare giù dal letto, quel 5 marzo di tre anni fa. Mentre scorrevo, ormai semi addormentato, la scia delle notizie più inutili e più ordinarie del giorno, la tua morte mi comparve davanti – orribile comparsa – ridestandomi con un colpo al cuore, scacciandomi, ti ripeto, dalle mie coperte tanta era stata l’angoscia destatami.

Non sapevo che da qualche mese ti fossi ritirato. Per me, quelli come te, non “vi rompete” mai. Harnoncourt poi! Indistruttibile.
Mi ero crogiolato nella rassicurante scorsa di una bellissima stagione per il 2016, e lì mi ero fermato, fantasticando su viaggi e concerti viennesi.
Non sono uno sconsiderato comunque. Conoscevo benissimo la tua età veneranda. Sapevo te ne saresti andato, inevitabilmente. Ci pensavo e con orrore pensavo allo scorrere del tempo che, perdonami, in questi casi diviene di minuto in minuto più prezioso. Ma, come da copione, erano pensieri che semplicemente abbandonavo. D'altronde, mi pare abbastanza chiaro che non passassi, per tutte le ragioni di una vita umana, tutto il mio tempo a pensare a Nikolaus Harnoncourt.

Fra l’altro, poi, chi ti ha mai conosciuto? Ci siamo mai visti? Ci siamo mai incontrati? L’unico nostro contatto è stato attraverso delle casse audio. 
Eppure, si può provare affetto per chi non si conosce? È una situazione anche piuttosto buffa, a voler ridimensionare le cose: sei stato destinatario di molto mio affetto, eppure, per tutto il tempo tu hai ignorato la mia esistenza e te ne sei andato ignorandola. Incredibile no?! Queste sono riflessioni, sono paradossi, è naturale che le cose stiano in questi termini. 
A ogni modo, non ci potevo pensare. Tu, morto. 
Nikolaus Harnoncourt, il nonno di tutti noi diamine! Renditi conto. E se ne dovrebbero rendere conto tutti, anche “gli altri”, non soltanto i tuoi nipoti. Invece sentivo solo un imbarazzante silenzio, rotto a sprazzi dal dovere formale della cronaca. Troppo poco, troppo grigio. Quanta indignazione che mi faceva, che rabbia, tutta quella ignoranza, quella indifferenza mediatica, per me inspiegabile.

Cosa ti aspettavi?! dici. Che pretendi. Scusa, non lo sai che posto occupiamo in questa società? Non sai forse più che bene che posto occupa il nostro lavoro, la nostra esperienza? Quale marginalità di stima la circondi? Noi facciamo musica. Musica classica. Suvvia ragazzo, non essere disilluso, che di certo non ti si addice. Cosa pretenderesti di grazia? Cosa chiedevi di più del sincero e commosso cordoglio dei nostri simili, del calore della nostra cerchia? 
Che il mondo si fermasse! 
Eh! Addirittura. Non ti pare un tantino spropositato? 
No, dannazione, no.
È successa una cosa seria, una cosa importante. Qui si parla della storia, e la storia ci riguarda tutti. E tu sei storia! Accidenti se lo sei. Sei stato più storia che essere di carne ed ossa. La storia, quella vera quella bella, l’avete fatta voi, con le vostre idee geniali, la vostra vita spesa per la bellezza o la verità, le vostre rivoluzioni, il vostro pensiero coraggioso, con la vostra arte. E qui insegniamo da sempre una storia di guerre e di troni, l’unica a cui si presti attenzione. 
A voi si inchina l’umanità. Voi siete il suo progresso, il suo cuore, il suo sangue, il respiro vitale, tutto! 
Voi fate girare il mondo.

E ora io non avrei dovuto pretendere che questo si fermasse a riflettere?!! 
Noi non sappiamo vivere la contemporaneità in termini storici, il che vuol dire commuoversi per gli eventi nel momento stesso in cui accadono, per il semplice fatto di intuire in essi gli ingranaggi della Storia, e di emozionarsi davanti all'unicità del momento e al privilegio di assistervi. Questo noi non lo sappiamo fare, piuttosto preferendo guardarci indietro e districarci fra discutibili sentimenti necrofili di nostalgia. Questo perché ci torna, tanto per cambiare, più facile oltre che più comodo. 
Forse non ci rendiamo conto a cosa stiamo assistendo: le ultime propaggini del Novecento hanno preso alla fine congedo. Abbado, Bruggen, Boulez, e tu. Ci state abbandonando nella nostra solitudine reale e intellettuale a dover fare i conti con la vostra eredità smisurata. Ecco un evento storico che più storico non si può. 
Per quanto mi riguarda, tu mi hai buttato giù dal letto anche metaforicamente parlando. Sei stato una folgorazione, la mia strada per Damasco, mi hai aperto un mondo. Non so come dire. In pratica mi hai dato delle convinzioni, un’ideologia, un punto di vista, nei quali credo senza discussione, perché sono diventati i miei. Cioè, io non solo ci credo, ma “la penso così”. Che è una cosa diversa. 
E credo che parlare della mia esperienza sia emblematico, ma non tanto perché potrebbe mai aggiungere qualcosa alla tua grandezza – sarebbe come se la mattina radiosa di Waterloo le cose fossero andate come sono andate, perché un bambino aveva disposto ben in fila i suoi soldatini -, no di certo; ma perché è significativo di quello che poteva fare il tuo influsso anche sul più sparuto ragazzetto dell’ultima provincia d’Europa. E come me chissà quanti altri.

Ma ti rendi conto di cosa hai fatto?! Mi viene da ridere dall'ammirazione, dallo stupore. Se solo lo sapessero e lo capissero tutti! Sei stato il padre della filologia. Ma davvero. Non è una frase da almanacco. Incredibile quello che hai fatto e pensato. Per più di sessant'anni! Tu, la tua adorata Alice, il Concentus Musicus, Gustav Leonhardt! Assieme e per primi vi siete battuti per comprendere la verità di come tanta musica suonasse in origine e dovesse suonare al presente, le ragioni e i motivi che hanno sempre portato i compositori a creare una musica piuttosto che un’altra. Avete tolto la polvere secolare di interpretazioni e giudizi arbitrari. Il ritorno agli strumenti dell’epoca poi, con i loro timbri rivelatori, ha ricolorato le gote di tanti autori, finalmente ci ha fatto capire i perché di musiche apparentemente scialbe e ci ha restituito la vitalità di capolavori irrigiditi dalla stanchezza di convenzioni errate.

Un terremoto sei stato! Hai lottato con le convenzioni, con l’accademismo, con la vecchiaia in tutte le sue forme. E poi? E poi hai vinto, abbiamo vinto! Nel più strepitoso dei modi possibili e immaginabili: le grandi orchestre, le grandi celebri e tradizionali orchestre d’Europa, il cuore attivo della compagine nemica, arrese a te, alla tua maestria, alla intelligenza delle idee! Le hai espugnate tutte: Wiener, Berliner, Concertgebouw …tutte ai tuoi piedi. Hai dimostrato al mondo che un ideale, che l’intelligenza e la rivoluzione possono essere vincenti.
Due altre occasioni per cui ti ricordo: innanzitutto quando, durante un misero tentativo di Erasmus poi naufragato, mi ritrovai, se avessi voluto, ad arrivare a te con un breve giro di telefonate d’un paio di passaggi: in quella occasione capii che l’Olimpo era molto più vicino di quanto pensassi, anche se, forse, ben serrato. 
La seconda quando, a lezione di Storia della musica, durante un ascolto della Praga di Mozart chiesi all’ insegnante, in verità una ragazza molto preparata ma appartenente alla categoria dei reazionari, se si trattasse di una tua interpretazione. A dirla tutta, ripensando a quella esecuzione, devo dire che è stata una domanda un po’ a sproposito, ma devi anche pensare che allora ero proprio sotto l’effetto della prima fascinazione e che, quindi, potenzialmente qualunque cosa avesse dei suoni per me poteva essere una tua creazione. 
Al che, dunque, quella mi risponde un po’ imbarazzata: “Nooo. …Harnoncourt è… l'antimusica!”.
Ancora rido. Poverina.

Però a pensarci non aveva tutti i torti. Tu sei stato proprio l'”anti”! Dal loro punto di vista è comprensibile: l'antimusica certo. Per loro eri la dissoluzione di tutto il mondo, dei loro valori, e delle loro convinzioni; l'antimusica tutto sommato non è poi neanche un brutto nome di battaglia se quello è il concetto di musica che si sta combattendo.
Da tre anni, invece, ci si sta abituando alla tua assenza.
Mi sono fatto un’ immagine in quelle prime ore che in effetti è piuttosto banale, un po’ troppo iconico e naif, che però si intona perfettamente bene, anzi è la stessa delle epoche su cui più si è incentrato il tuo studio.
Ti ho immaginato arrivare in un paradiso oleografico, con i soliti cancelli e le solite nuvole: lì una folla come mai ne hai viste prima ti accoglie con il più caloroso degli applausi, sicuramente la manifestazione sonora che più ha riempito la tua vita. A un certo punto, la folla si apre e quattro figure bellissime, simpatiche e sorridenti ti vengono incontro a braccia spalancate; tu le riconosci subito e non potrebbe essere altrimenti. Assieme ridete e vi abbracciate in un turbine di gioia immensa. In quel mentre senti tutta la potenza della loro musica coincidere, in un mescolarsi di note e di armonia, che con il tuo lavoro è il tuo genio hai amato per lunghissimi anni.
Poi mano a mano riconosci tutti gli altri e a tutti rivolgi un sorriso di riconoscenza, di ammirazione e di felicità; e loro ti ricambiano, sorridendo allo stesso modo e con un applauso festoso.
Infine forse, incontrerai Eberhard, lui ti prenderà la mano, ti darò un bacio e assieme ti accingerai a godere del meritato riposo.
Diego Tripodi

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