Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

lunedì, luglio 12, 2021

Milan Kundera: Schönberg e Stravinskij...


"Se Skacel si è chiuso per trecento anni nel
la casa della tristezza, l’ha fatto perché vedeva il suo paese inghiottito per sempre dall’impero dell’Est. Sbagliava. Tutti sbagliano quando si tratta del futuro. L’uomo può essere certo solo dell’attimo presente. Ma sara poi vero? Può davvero conoscerlo, il presente? Può davvero giudicarlo? Certo che no. E come potrebbe capire il senso del presente chi non conosce il futuro? Se non sappiamo verso quale futuro ci sta conducendo il presente, come possiamo dire se questo presente è buono o cattivo, se merita la nostra adesione, la nostra diffidenza o il nostro odio?
Nel 1921, Arnold Schönberg proclama che, grazie a lui, la musica tedesca resterà per i prossimi cento anni padrona del mondo. Dodici anni più tardi, deve lasciare la Germania per sempre. Dopo la guerra, ormai in America e coperto di onori, non ha perso la certezza che la gloria accompagnerà per sempre la sua opera. Rimprovera a Stravinskij di pensare troppo ai contemporanei e di trascurare il giudizio del futuro. Considera la posterità il suo alleato più sicuro. In una lettera sferzante a Thomas Mann fa appello all’epoca, "di lì a due o trecento anni", in cui sarà finalmente chiaro chi dei due è il più grande, lui o Mann! Schönberg è morto nel 1951. Nei due decenni successivi, la sua opera è stata acclamata come la più grande del secolo, venerata dai più brillanti fra i giovani compositori, che si dichiarano suoi discepoli; ma in seguito scompare dalle sale da concerto così come dalla memoria. Chi la suona adesso, sul finire del secolo? Chi fa riferimento a lui? No, non voglio prendermi stupidamente gioco della sua presunzione e sostenere che si sopravvalutava. Mille volte no! Schönberg non si sopravvalutava. Sopravvalutava il futuro.
Ha commesso un errore di valutazione? No, era nel giusto, ma viveva in sfere troppo elevate. Discuteva con i più grandi tedeschi, con Bach, con Goethe, con Brahms, con Mahler, ma le discussioni che hanno luogo nelle alte sfere dello spirito, per quanto intelligenti, peccano sempre di miopia nei confronti di ciò che, senza ragione né logica, accade in basso: due grandi eserciti combattono all’ultimo sangue per una causa sacra; ma è il minuscolo batterio della peste che li annienterà entrambi.
Che il batterio esistesse, Schönberg lo sapeva bene. Già nel 1930 scriveva: "La radio è un nemico, un nemico implacabile che avanza irresistibilmente e contro il quale ogni resistenza è vana"; essa "ci ingozza di musica ... senza chiedersi se abbiamo voglia di ascoltarla, se abbiamo la possibilità di percepirla", cosicché la musica diventa un semplice rumore, un rumore fra altri rumori.
La radio fu il piccolo ruscello dal quale tutto ebbe inizio. Vennero in seguito altri mezzi tecnici per riprodurre, moltiplicare, aumentare il suono, e il ruscello si trasformò in un immenso fiume. Se un tempo ascoltavamo la musica per amore della musica, oggi essa urla ovunque e sempre, "senza chiedersi se abbiamo voglia di ascoltarla", urla negli altoparlanti, nelle auto, nei ristoranti, negli ascensori, nelle strade, nelle sale d’attesa, nelle palestre, nelle orecchie tappate dai walkman, musica riscritta, ristrumentata, scorciata, dilaniata, frammenti di rock, di jazz, di opera, flusso in cui tutto si mescola, al punto che non sappiamo chi sia il compositore (la musica diventata rumore è anonima), che non distinguiamo l’inizio dalla fine (la musica diventata rumore non ha forma): l’acqua sporca della musica dove la musica muore.
Schönberg conosceva il batterio, era consapevole del pericolo, ma dentro di sé non gli attribuiva troppa importanza. Viveva, come ho già detto, nelle più alte sfere dello spirito, e l’orgoglio gli impediva di prendere sul serio un nemico così minuscolo, così volgare, così ripugnante, così spregevole. L’unico grande avversario degno di lui, il rivale sublime che egli combatteva con brio e severità, era Igor' Stravinskij. Era con la sua musica che duellava per conquistare il favore del futuro.
Ma il futuro fu il fiume, il diluvio di note in cui i cadaveri dei compositori galleggiavano tra le foglie morte e i rami spezzati. Un giorno il corpo senza vita di Schönberg, sballottato dalla furia delle onde, urtò quello di Stravinskij ed entrambi, in una riconciliazione tardiva e colpevole, proseguirono il loro viaggio verso il nulla (verso quel nulla della musica che è il frastuono assoluto)."
Milan Kundera
("L'ignoranza", capitolo 39, Adelphi, 2001)

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