Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, luglio 02, 2021

Ferruccio Busoni: Opere per due pianoforti


Ferruccio Busoni (1866–1924)
Busoni iniziò a usare l’op. 1 per le sue prime composizioni in una piccola Canzone in do maggiore per pianoforte del 1873. Ma pochi anni dopo, nel 1877, troviamo anche un’Ave Maria, op. 1, che ci fa constatare il primo rifiuto del giovanissimo Ferruccio nei riguardi di quanto scritto in precedenza. Molti di questi lavori giovanili non li rigettò del tutto, dato che esistono tuttora pubblicati col loro bravo numero d’opera. Per quanto riguarda la musica pianistica, Busoni non utilizzò più alcuna numerazione dalle Elegie (1908) in poi, mentre troviamo numeri d’opera distribuiti in modo bizzarro nel resto della sua produzione vocale e strumentale, fino allo Zigeunerlied (su testo di Goethe), op. 55 n. 2, composto un anno prima della morte, nel 1923. Il catalogo delle sue opere è pieno, nel primo periodo, di lavori per ora rimasti in manoscritto, anche se ogni tanto spunta qualche rarità. I pezzi per due pianoforti più antichi, in questo disco, sono del 1878 e 1879; Busoni ha appena tredici anni, ma dal ‘73 ha fatto molti progressi. Sono evidenti i suoi modelli musicali: Bach in primis, per l’amore della polifonia e delle forme classiche: preludio e fuga, capriccio. La fuga resterà per tutta la sua non lunga esistenza una delle forme predilette. Il Preludio e fuga in do minore op. 32, col suo tema che parte dal basso su intervalli di quinta e di seconda, è chiaramente reminiscente della Fantasia su B.A.C.H. di Liszt (tema della fuga): tema che è esposto in modo severo, alla breve, in ottave, nel preludio, e curiosamente si mantiene inalterato, con valori più piccoli, nella fuga. Qui il cromatismo, specie nei passi più mossi di semicrome, è più evidente; ma è tutta la struttura di questa fuga che lascia sorpresi, pensando all'età del giovane compositore. Ancor più interessante è il Capriccio in sol minore, dove il modello bachiano resta forse nel gioco polifonico dell’Allegro vivace, ma proprio in questa festa di semicrome veloci si scorge il Mendelssohn del Sommernachtstraum. Il brano è più elaborato del precedente: la lenta introduzione in accordi conduce genialmente, accelerando il movimento, al Capriccio, che è una specie di moto perpetuo in cui i due pianoforti si rimpallano il motivo iniziale attraverso varie tonalità. Ritorna l’Introduzione cui segue una cadenza, prima della ripresa, e il brano si conclude con una coda assai brillante.
Del 1888 è invece la trascrizione per due pianoforti dell’Introduzione e Allegro, op. 134 di Schumann, che Busoni fece per l’editore Breitkopf. In realtà, più che di una trascrizione si tratta della riduzione pianistica della parte orchestrale, come di norma si presentano le opere per pianoforte e orchestra dalla fine dell’Ottocento in poi; la parte solistica ovviamente resta nella veste originale. A parte qualche effetto “orchestrale”, il lavoro di Busoni non si differenzia sostanzialmente dalle altre versioni per due pianoforti di questo pezzo. Schumann lo scrisse nel 1853 per la moglie Clara (dedicandolo però poi a Brahms); è tra le ultime cose sue, prima del tentato suicidio e dell’internamento nella clinica di Endenich. Si tratta praticamente di un primo tempo di concerto, con introduzione e cadenza finale, scritto pensando alle doti di virtuosismo di Clara, a giudicare dalla difficoltà del tecnicismo dispiegato qui, difficoltà accentuata anche dal fatto che la scrittura schumanniana diventa negli anni sempre più antipianistica. Questo è uno dei motivi per cui, a differenza del Konzertstück op. 92, questo lavoro si ascolta molto di rado. Clara lo eseguì nell'ultima tournée che fece assieme al marito, in Olanda, e dopo la sua morte si rifiutò di suonarlo.
Busoni, dietro l’esempio di Liszt, fu un convinto assertore della trascrizione pianistica. Colse, ancor più di Liszt, la portata universale e l’essenza atemporale della musica di Bach, e di Bach ci lasciò varie trascrizioni di lavori organistici e violinistici (la celebre Ciaccona), oltre che varie “revisioni” e rielaborazioni di opere per clavicembalo. Non fu altrettanto versato, almeno come trascrittore, nei riguardi di altri autori. Nel caso di Mozart, per i cui concerti scrisse nove cadenze, redasse però alcune trascrizioni che ebbero un certo successo, malgrado considerasse “errori grossolani” i tentativi di trascrizione delle opere di Mozart e di Haydn, che “non possono essere adattate in alcun modo al nostro stile pianistico: al loro contenuto ideale basta e corrisponde soltanto la scrittura originale”. Non possiamo dargli torto, se per “stile pianistico” intendeva quello che veniva squadernato nelle trascrizioni bachiane. Difatti i due lavori che qui troviamo non si distaccano dalla brillantezza del pianismo mozartiano. Furono scritti negli ultimi anni della sua vita, quando un rinato interesse per la musica di Mozart lo portò a eseguirne vari Concerti. Il Duettino concertante fu composto a Londra il 25 ottobre del 1919, quando scrive nelle lettere alla moglie aveva bisogno di “trovarsi un’occupazione”. Lavoro di getto, quindi, di cui è fiero: il finale del Concerto in fa maggiore (K. 459), che esegue a Londra in quei giorni, è “pieno di passi non lavorati, evidentemente scritto in gran fretta, innocuo ma brillante. E penso che adesso ha acquistato più splendore”. Il lavoro è talmente geniale che, pur essendo una trascrizione, viene annoverato tra le opere originali di Busoni, per la sua libertà strutturale, per la “rilettura” del pianismo mozartiano, per la inventiva della cadenza, che Busoni sostituisce a quella di Mozart. La stessa brillantezza pianistica, qui accentuata dal tema in note ribattute, lo stesso gioco polifonico dei passaggi fra un pianoforte e l’altro, li ritroviamo nell’Ouverture del Flauto magico, scritta nel 1923.
Si è già detto come fin dai primi anni Busoni subisse il fascino di Bach, e come giungesse progressivamente, attraverso la forma della fuga, ma non solo, a comprendere il senso profondo della polifonia e dell’espressività bachiana: basta vedere in quale maniera egli “registri” sul pianoforte il corale organistico di Bach. Al culmine di questo processo di comprensione e di immedesimazione nei riguardi della poetica bachiana giunge la Fantasia contrappuntistica, sintesi perfetta di un lavoro che nasce dai modelli del passato ma si realizza in una forma di assoluta modernità. L’apparente predominio dell’ordine architettonico, strutturale, non mette in piano subalterno le arditezze e le preziosità armoniche della musica pur così “incasellata”: atmosfere raffinate e trascoloranti, timbri metafisici e siderali, che passano dalla luce più cristallina alle tenebre più ‘notturnali’ e inquietanti. La Fantasia contrappuntistica nasce dal progetto di completare l’ultima fuga dell’Arte della fuga, lasciata incompiuta da Bach. È una fuga tripla, costruita su tre temi, ma all'inizio del terzo tema il manoscritto si interrompe, e nello svolgimento si intravede la presenza di un quarto tema, che Busoni identifica nel motivo di base di tutto il ciclo bachiano. Dopo lo sviluppo dei primi tre, e del quarto aggiunto, non soddisfatto egli crea un quinto tema, che serve da conclusione (“così la mia nave solcò le acque perigliose con cinque vele tese”). Progetto impegnativo e veramente “periglioso”, ma lui confessa che, avendo sempre praticato elementi contrappuntistici, si sente pronto per questo assunto, lavorando “nello spirito di Bach”. Si noti poi che Busoni non si limita a queste cinque fughe, ma ingigantisce il suo lavoro con l’aggiunta di altri movimenti, sì da raggiungere, com'egli riconosce, la forma di una grande “fantasia” (“qualcosa fra César Franck e l’Hammerklavier, con una sfumatura personale”. Che naturalmente è molto più di una sfumatura!). Non è qui il caso di dettagliare le varie versioni che dalla prima idea del 1910 portano alla versione definitiva per due pianoforti, quella di questo disco (1921): una serie di amplificazioni e trasformazioni del materiale bachiano (oltre alla tripla fuga incompiuta, il corale Ehre sei Gott in der Höhe). La forma di questo lavoro gigantesco viene riassunta da Busoni con un disegno architettonico all'inizio dello spartito dell’edizione Breitkopf, che si può così illustrare a parole: una Introduzione sul corale bachiano (Maestoso deciso, Allegro, Andantino) porta alle prime tre fughe, sui tre temi bachiani. Segue un Intermezzo, che porta a tre Variazioni sulle stesse fughe; poi una cadenza conduce alla quarta fuga. Prima della Stretta conclusiva compare di nuovo il Corale, “dolcissimo” negli accordi in zona acuta della tastiera. Il pezzo si chiude con magniloquenza e grandiosità.
Riccardo Risaliti
(note al CD Naxos 8.574086 - (p) & (c) 2020)

Nessun commento: