Si stava provando, sotto la direzione di Sergiu Celibidache, il "Cappello a tre punte" di De Falla e io dovevo intervistare il celebre direttore d’orchestra rumeno che mi aveva accordato tale privilegio. Sono andata, perciò, nel suo mondo, tra la sua musica, per assistere, prima dell’intervista, alle prove che si tenevano alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Celibidache si rivolge ai professori con ferma gentilezza: può accadere, talvolta, che la sua voce si indurisca, ma solo quando l’orchestra non lo segue nella interpretazione dello spartito.
Lo avevo trovato un po’ affaticato: infatti, contrariamente al solito, dirigeva stando seduto. La partitura però non aveva segreti per lui e dirigeva a memoria senza perdere l’effetto della più sottile sfumatura relativa alla colorita suite spagnola. Al termine delle prove l’orchestra ha dato segni di stanchezza, ma Celibidache era come rinnovato.
Sono ricevuta nel suo piccolo camerino e subito mi colpisce la sua non comune affabilità e la gentilezza dei suoi modi: non sembra di avere di fronte un grande musicista, ma un vecchio amico.
Tutto in lui è eccezionale: il carattere forte e dolce, il fisico, lo sguardo penetrante, le mani lunghe, morbide e nervose, l’aperto sorriso che gli illumina il volto incorniciato da capelli brizzolati. Mi invita a parlare dando così inizio alla intervista.
D. Lei si considera una eccezione positiva o negativa del nostro tempo?
R. Positiva, perché la mia missione è di chiarire gli errori e le degenerazioni dell'interpretazione musicale.
D. Quale potere pensa di avere sull'orchestra?
R. Penso di possedere il prestigio che viene dal fatto di essere considerato un esperto in materia, un profondo conoscitore dei principi che cerco di realizzare. Dal lato psicologico ho una tale prontezza di riflessi che mi permette il controllo quasi simultaneo di tutte le parti. Io tratto ognuno secondo il proprio temperamento e le proprie condizioni specifiche.
D. Pensa di dirigere con umanità?
R. Certamente: la musica interessa l'essere umano, i suoi limiti e quello che può dare al di fuori di se stesso attraverso la sua sensibilità.
D. Allora, anche in un direttore d’orchestra è necessaria l'umanità?
R. Pensando a freddo è necessaria, ma quando si dirige ci si rende conto se si è o meno nell'umanità.
D. La musica è per lei l’unica via da seguire?
R. No, dal lato personale m’interessa molto di più il Buddhismo.
D. Il Celibidache direttore ed il Celibidache uomo si identificano in una stessa persona? Lei, cioè, dirige com'é?
R. Sì, esattamente.
D. Che cosa ammira più in un uomo?
R. Il carattere, la linea, l'intransigenza.
D. Qual’e il suo difetto maggiore?
R. L’intolleranza.
D. Mi dicono che lei sostiene di aver raggiunto un raro equilibrio interiore: Cosa può dirmi al riguardo?
R. Ho raggiunto un grado di equilibrio stabile e rifletto molto, anche se sono attratto dai piaceri. Il mio simbolo è tuttavia sempre l'intransigenza.
D. Si trova bene in questa epoca?
R. No, leggo del passato, dell’India. Penso che questa epoca sia decadente e materialista ed io sono nemico del materialismo diretto.
D. Cosa cambierebbe se questo fosse in suo potere?
R. Combatterei la bugia, le convenzioni sociali, la politica, tatto quello che fanno gli uomini.
D. Crede lei nell'amore?
R. Sì, ogni giorno ci prova l’esistenza dell'amore.
D. Lei sostiene che ogni musica rinasce nel momento stesso in cui si esegue. E' vero?
R. La musica vive quando la si esegue, ma molto dipende dall'orchestra che è un organismo imperfetto.
D. Lei ha la possibilità di ricreare e di far rivivere la musica: credo che lei cada in contraddizione quando sostiene anche di essere ormai cristallizzato.
R. Non sono cristallizzato perché sono combattivo e cerco sempre di operare.
D. Per me lei dirige con amore: perché tanti si ostinano a vedere in lei l`esibizionista?
R. Per mancanza di musicalità, di competenza e per le profonde lacune di cultura.
D. Perché ama circondarsi di tanta gente?
R. Perché ho raggiunto altezze musicali e cerco di dare agli altri quello che possiedo in me, in quanto pochi hanno idee chiare.
D. Questo, per amore degli altri o per amore di se stesso?
R. Per fare uscire dal buio gli altri e fare rintracciare la verità dentro cui tutti corriamo, ma non per auto-venerazione o come scopritore di nuovi principi.
D. A Siena lei mi ha colpito per la sua semplicità: fa parte della sua natura?
R. Fa parte della mia natura: io non sogno la carriera internazionale, non incido dischi, non partecipo a festivals, non vado negli Stati Uniti ove fanno poche prove: non desidero dirigere in quella nazione.
D. Ho considerato Celibidache al servizio della musica e non la musica al servizio di Celibidache: mi dica qualcosa in merito.
R. Servo la musica che vorrei fosse eseguita come fu creata dall'autore. Putroppo questo, oggi, è andato un po’ perso.
D. Si considera il più grande direttore di questi tempi?
R. No, neppure lontanamente. Ripeto che se in me c’è qualcosa di unico, questo va riferito alla tendenza di eseguire la musica come è stata creata. Nessuno ha raggiunto la perfezione nella identificazione di questi elementi.
D. In quale misura pensa abbia influito, nel suo successo, la sua prestanza fisica?
R. All'inizio della mia carriera, enormemente: il mio fisico faceva presa su tutti e interessava di più il mio fisico che non il mio modo di dirigere. Oggi, molti si sono accorti della mia vera natura. Ad ogni modo quello che faccio e che voglio non è questione del pubblico, ma dei musicisti.
D. Per me lei è un mistero, forse perché non lo conosco a fondo; ma è possibile conoscerla a fondo?
R. Ognuno al di fuori costituisce un problema filosofico per chi lo vuole conoscere a fondo: io non sono mai lo stesso con le persone perché con la gente che amo sono come mi vogliono, con quella che non apprezzo sono il contrario. Nessuno mi ha mai rivelato come sono senza obbligarmi indirettamente. Ma io so di essere enormemente adattabile, ma anche immutabile nelle mie posizioni, per questo, a volte, posso dare una falsa impressione. Sono adattabile perché mi trovo bene sia con i contadini, sia con i letterati.
D. Lei è sincero con se stesso e con gli altri?
R. Sì, sono sincero con tutti.
D. Lei ama la natura, specialmente quella selvaggia: allora lei è un primitivo?
R. Non è l'oggetto dell’amore che rende primitivi, ma il modo di amare.
D. Teme la incomprensione degli uomini?
R. Non la cerco. Da piccolo ero molto strano: fino all'età di otto anni non ho parlato e questo creava una barriera fra me e chi mi stava intorno, ma a quattro anni suonavo bene il pianoforte.
D. Ritiene di essere autosufficiente?
R. Non sono autosufficiente, ma cosciente di quello che faccio o non faccio.
D. Lei parla molte lingue?
R. Si, parecchie, anche se non ho talento ma spirito pratico.
Celibidache ha risposto con sicurezza alle mie domande ed anche le più forti non lo hanno imbarazzato. Ecco un’altra impressione: l’enorme sicurezza che egli ha di se stesso. Celibidache è un uomo perfetto, come è perfetto tutto ciò che scaturisce dalla volontà, dalla serietà, dalla incrollabilità di questo straordinario insieme di musica, di filosofia, di matematica.
Esco dal camerino accompagnata dal suo sorriso e con la convinzione che il mondo di Sergiu Celibidache è limpido come e limpida la sua musica. Sono, altresì, convinta della purezza dei suoi ideali che fa vivere nelle note musicali: è un uomo, un direttore eccezionale, un musicista preparato e completo.
Jolanda D’Annibale
("Rassegna Musicale Curci", anno XL n.1 - gennaio 1987)
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