Il Quartetto per archi in mi bemolle maggiore (K.428) di Wolfgang Amadeus Mozart porta la data «giugno 1783». E' il terzo dei sei che Mozart dedicò a Franz-Joseph Haydn con la celebre affettuosissima accompagnatoria: «Al mio caro amico Haydn. Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimo di doverli affidare alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo e amico carissimo, i miei sei figli»... etcetera, in quell'italiano che allora era la lingua internazionale dei musicisti. Ma sui rapporti che legano i sei «Haydn-Quartette» di Mozart all'esperienza quartettistica di Haydn, fondamentale cardine del quartetto per archi moderno, si è scritto a dovere; più o meno, direi che se ne sa tutto; e l'intero gruppo è assai noto ai musicofili grazie, soprattutto, al cosiddetto «Dissonanzen-Quartett», (in do maggiore, K 465).
Anche del Quartetto in mi bemolle, naturalmente, esistono analisi e commenti autorevoli. La sua indole e generalmente serena (ma sappiamo che cosa fluisse dentro la serenità di Mozart); ne affiorano tuttavia delle inquietudini fin dal tema d'inizio del primo tempo, così sfumato e sinuoso. Ma il secondo tempo, «andante con moto», in la bemolle maggiore, contiene un episodio che colpisce l'orecchio e l'occhio di chi lo osservi e lo ascolti oggi, cioè in epoca che conosce da un bel pezzo il Tristan und Isolde di Richard Wagner. E' abbastanza curioso che un aspetto singolare in una composizione assai nota di Mozart venga trascurato, o tuttalpiù menzionato di sfuggita da accreditatissimi studiosi. Bernhard Paumgartner (uno dei pochi a ,farci caso) lo definisce «un meraviglioso presentimento» del Tristano.
Ma veniamo al fatto: sappiamo tutti che nelle battute terza e quarta di quella immensa partitura che è appunto il Tristano, il procedimento che armonizza il brevissimo seguito al primo e fondamentale tema dell'opera viene a formare quello che i tedeschi chiamano «Tristanakkord», «accordo di Tristano», proseguendo in una non meno famosa cadenza sospesa (dominante di la).
Ebbene, nell'«andante con moto» del nostro Quartetto, Mozart presenta - per ben quattro volte - un procedimento quasi identico; le uniche differenze (oltre alla tonalità diversa) sono queste:
1) le «parti» sono scambiate, quella che in Wagner è al soprano in Mozart è al contralto (secondo violino) e viceversa;
2) dato l'andamento della parte superiore, in Mozart al posto del «Tristanakkord» c'è una «triade di sensibile» ossia una normalissima «settima di dominante» priva della fondamentale; però l'orecchio la avverte come una non meno comune «settima diminuita» anticipando il basso che Mozart fa entrare nell'accordo successivo; e si avvicina dunque di più al «sapore» dell'accordo Wagneriano.
Gli accordi successivi sono gli stessi che in Wagner (sempre nella tonalità diversa, mezzo tono sotto). L'insieme richiama irresistibilmente il procedimento del Tristano.
Il curioso è che Mozart non realizza già il «Tristanakkord» solamente perché fa muovere la voce superiore non di un tono intero (intervallo diatonico) ma di un semitono (intervallo cromatico); dunque, perché in certo senso si comporta più «Wagnerianamente» di Wagner (è quasi una boutade; Wagner non ebbe certo il monopolio dei procedimenti cromatici e semitonali, è fatto soltanto di quelli; però...).
Va notato tuttavia che questo muoversi di mezzo tono, Mozart lo deriva dal passo precedente, dove è avviata la risoluzione di una cadenza in mi bemolle maggiore, con andamento cromatico della parte mediana; e che il passo «pretristaniano» viene ideato da Mozart per riportarsi sulla dominante di la bemolle maggiore, tonalità del brano, che però Mozart elude ancora senza risolverla.
Che cosa può significare tutto questo?
Intanto, che sia in Mozart sia in Wagner agisce l'impulso della inquietudine armonica, sia pure con partenze molto diverse; e anche che il passo mozartiano in questione, se lo vediamo in rapporto all'insieme e alla condotta armonica del momento, dovrebbe apparire molto più «inquieto» e inquietante
di quello wagneriano; soltanto, risulta preparato dall'andamento del passo precedente e temperato dalle ripetizioni e dal ritmo più regolare e simmetrico.
Ancora: certe novità sconvolgenti, quando abbiano solide ragioni, hanno quasi sempre basi preesistenti non meno solide; però di questo, solitamente, ci si accorge molto tempo dopo. Proprio del Tristano si è ripetuto, nei decenni passati, che lì - e soltanto lì - Wagner aveva attuato una sua «rivoluzione cromatica», punto di partenza concreto per il successivo dissolversi della tonalità nella «seconda scuola di Vienna» e altrove. Qualcosa di vero c'è; ma non riguarda soltanto il Tristano; e - ciò che conta di più - quella «rivoluzione cromatica» a occhi e ad orecchi meno smaniosi di giustificare scontate «liberazioni» non appare una lotta contro la tonalità, ma un sapiente piegarla in sfumate ma consistenti successioni tonali abbastanza esplicite, anche se alonate dal cromatismo.
Quanto alla noncuranza degli studiosi mozartiani per il passo in K. 428: Einstein non ne accenna, Wyzevva e Saint-Foix non sono molto più loquaci di Paumgartner; tutto ciò si può spiegare proprio con l'essere studiosi mozartiani, e come tali abituati a trovare in Mozart anticipazioni e arditezze, e perciò a non farci più gran caso. Ma nemmeno Mila è più preciso.
Del resto, Mozart resta Mozart, e Wagner resta Wagner; l'uno e l'altro contano e sono grandi soprattutto per quel che sono, più che per quello che annunciano; anche se ha un sapore particolare il trovare aspetti di quello tra i due che era ostentatamente avvenirista, anticipati di settantasei anni dall'altro, cioè da quello che non pensava davvero né all'avvenire né all'avvenirismo.
E non si sa, lì per lì, se trovar molti quei settantasei anni, o invece pochi.
Alfredo Mandelli
("Rassegna Musicale Curci", anno XXIX n.1, aprile 1976)
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