Il tentativo di determinare meccanicamente l'esatta velocità d'un pezzo musicale e di contribuire, contemporaneamente, alla divisione scientifica dei quarti, ottavi o sedicesimi di una indicazione di tempo (2, 3 o 4 quarti, 2, 3 o 6 ottavi eccetera) è abbastanza antico: se ne hanno tracce sin dal secolo diciassettesimo, con gli esperimenti di Winkel, del Loulié, dello Stockel e d'altri. Il vero inventore del moderno metronomo, usato da tutti i musicisti e imposto come norma agli studenti di musica, è però, Johann Nepomuk Maelzel nato a Regensburg nel 1772, morto durante un viaggio in America nel 1838. L'invenzione risale, secondo gli specialisti, al 1816.
Maelzel, noto maestro di musica in Vienna, aveva già precedentemente stupito i suoi contemporanei con parecchie altre invenzioni: il «Panharmonium», che era una specie di orchestrina, il «Trombettiere automatico» e il famosissimo «Giocatore di scacchi automatico»: il personaggio Maelzel, che univa alla qualità di eccentrico pioniere un carattere romanticamente hoffmanniano dovette parere, allora, una specie di mago e la sua figura, all'alba ancora incerta della civiltà meccanica, dovette parere straordinaria. Fu nominato meccanico della Corte asburgica.
In realtà i princìpi del metronomo erano stati già studiati da Winkel, un olandese di Amsterdam, meccanico di fama nella sua città. Ma la messa a punto definitiva del metronomo oggi tuttora usato (quando, come spesso avviene, non se ne abusa) porta il nome di quel Maelzel che fu conosciuto anche da Beethoven, per il quale l'inventore di Regensburg costruì cornetti acustici ed apparecchi di sollievo che però, non furono molto efficaci. Ma Beethoven conobbe il metronomo di Maelzel. Dicono anzi che, a chi gli chiedeva se considerasse particolarmente utile la piccola piramide in legno chiamata metronomo, il maestro di Bonn rispondesse: «Interessante ed utile. Ma chi è musicista nato non ha bisogno del metronomo e chi non è musicista non lo diventerà col metronomo». Parole d'oro che definiscono i limiti dello strumento.
Il metronomo di Maelzel, secondo un noto dizionario, «consta essenzialmente d'un pendolo, la cui lunghezza si può variare spostando un peso lungo la sua asta a guisa di corsoio. Sull'asta sono indicate, con un numero, le oscillazioni che il pendolo stesso compie in un minuto primo allorché il peso è fermato in corrispondenza di quel numero. I compositori sogliono segnare questo numero accanto ad una figura musicale, cui deve perciò essere riferita la durata dell'oscillazione». Con questo sistema il compositore può trascrivere il «suo›› tempo sulla carta pentagrammata con la sicurezza scientifica che chi legge la sua musica la eseguirà alla velocità voluta.
Non risulta, però, che i grandi compositori del secolo decimonono abbiano fatto un grande uso di questa comodità: forse per le ragioni enunciate nella battuta di Beethoven, sopra riportata. Le annotazioni metronomiche di Chopin, Schumann, Mendelssohn, Brahms, per non parlare dello stesso Beethoven, sono quasi tutte posteriori, cioè di mano d'altri, e molto spesso assolutamente arbitrarie: più che giovare, nuocciono perché la musica non si fa con un regolatore meccanico. Il taglio d'un tempo è implicito nella pagina e il musicista non ha bisogno d'un mentore meccanico per trovarlo.
Un largo uso del metronomo hanno, invece, fatto i compositori detti moderni, dai post-romantici ai contemporanei. E per i contemporanei, almeno, la cosa si capisce benissimo: il taglio dei tempi non è implicito nella pagina, come tutti sanno, e la sola fonte alla quale si deve ricorrere, in tali casi, è l'indicazione metronomica. Una funzione molto più importante ed utile ha il metronomo come ausilio agli studi. Se lo studente, poniamo, di pianoforte, stabilito un numero di oscillazione metronomica (cioè quello segnato dal revisore accanto all'indicazione del tempo, e sperando, naturalmente che il revisore sia onesto e non segni veloci i Gravi, i Larghi, gli Adagi, gli Andanti e gli Allegretti, ma soltanto gli Allegri e i Presto) mette in azione il metronomo e si cimenta a suonare scandendo esattamente i tempi sul battito dello strumento, è certo che può raggiungere una esattezza ritmica dalla quale, negli anni di studio, non deve dipartirsi e che non è sempre un dono di natura.
D'altra parte un maestro coscienzioso ed artista deve mettere in guardia l'allievo contro gli abusi metronomici; deve avvertirlo, tra l'altro, che il suonare a regola di metronomo non è suonare e deve, soprattutto, insegnargli a diffidare della maggior parte delle indicazioni metronomiche le quali, come sopra detto, sono troppo spesso arbitrarie e capaci, spesso, di alterare completamente il carattere d'una pagina con indicazioni che riflettono più la smania del «tutto unito e tutto presto», grave malattia conservatoriale, che non lo scrupolo d'una interpretazione artisticamente fedele e rispettosa.
Di ieri è invece l'invenzione del magnetofono, o registratore, il quale consente di incidere su nastro qualsiasi esecuzione musicale, per non dire qualsiasi suono o parola. Al suo apparire, il magnetofono sembrò una bella trovata familiare, per riascoltare la propria voce o quella di persone care, per trasmettere messaggi, per riprodurre dischi o esecuzioni musicali desunte da trasmissioni radio. In seguito si rivelò strumento professionale di vasta utilità in tutti i campi e particolarmente in quello musicale. Inutile descrivere qui il magnetofono che tutti conoscono e la cui diffusione odierna è tale che, si può dire, non c'è casa in cui non esista almeno un piccolo registratore portatile (molte industrie vendono apparecchi radio che sono dotati di grammofono e di magnetofono).
A parte l'uso che un nastro di magnetofono può suggerire per concerto, con inserti appropriati, e l'uso che se ne fa oramai su vasta scala come ausilio a spettacoli, per esempio, di danza, quando non sia possibile servirsi di un complesso strumentale o anche soltanto d'un pianista, il registratore è strumento di studio per qualsiasi virtuoso: il pianista, il violinista, il violoncellista, qualsiasi strumentista insomma, può controllare, su una registrazione del proprio lavoro, la qualità del lavoro stesso e procedere alle necessarie correzioni. Il medesimo si dica per i cantanti. Il magnetofono consente, insomma, all'artista di ascoltarsi con la necessaria freddezza (e non come avviene quando si esegue) e di correggere i propri difetti, o di migliorare le proprie qualità.
In questo senso l'invenzione del magnetofono è stata molto più utile ed importante di quella del metronomo. Perché l'aiuto che il magnetofono può portare allo studente, allo studioso, al professionista è di gran lunga superiore qualitativamente a quello di una semplice indicazione di tempo. Inoltre il magnetofono consente imprese che, fino a pochi anni fa, potevano parere fantastiche. Per esempio, un pianista può, con una serie di registrazioni appropriate, suonare musica per due pianoforti o a quattro mani in duo con se stesso. Basta che incida separatamente le due parti in questo modo: registrazione del primo pianoforte (o primo «quattro mani») su nastro; esecuzione del «secondo» assieme alla riproduzione del «primo» già registrato, curata su un secondo magnetofono.
Al termine di queste operazioni il pianista avrà un nastro dove potrà ascoltare sé stesso in duo con sé stesso, nell'interpretazione di pagine per due pianoforti o a quattro mani. Il che, oltre l'utilità, è anche emozionante e curioso. Analogamente un nastro registrato con la parte d'orchestra servirà ad un solista per lo studio di un Concerto per pianoforte, o violino, o violoncello, o flauto, o arpa e orchestra. Un cantante potrà avere accompagnamenti pianistici o orchestrali già pronti su nastro per studiare la sua parte; e così un violinista e qualsiasi altro solista.
A parte queste combinazioni, una raccolta di nastri registrati è sommamente utile a qualsiasi solista o cantante: essa consente un riesame del proprio lavoro, isola e conserva i momenti di grazia, codifica gli errori, sottolinea i caratteri d'una tecnica e via discorrendo. Dove, insomma, il primo collaboratore meccanico conosciuto dai musicisti, il metronomo, aveva soltanto facilitato l'impostazione dei tempi, il collaboratore moderno è quasi un compagno di studi e di ricerche il cui ausilio si rivela ogni giorno più prezioso.
Gian Galeazzo Severi
("Rassegna Musicale Curci", anno XIX settembre 1965)
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