Venezia, Caffè Lavena |
«Si chiacchierò fm verso le due; poi venne Giorgio, il servitore, ad avvertire che siccome il Maestro non si sentiva bene, potevamo pranzare da soli. Prima di sedere a tavola Cosima andò nella camera da lavoro del marito. Ritornò quasi subito, dicendo: «Mio marito ha uno de' suoi soliti accessi, ma un po' meno forte. L'ho lasciato perchè mi ha fatto segno di voler restar solo».
«Così, tranquilli, come sempre, ci mettemmo a tavola.
«Improvvisamente, sentimmo suonare due volte con forza. Quasi nello stesso tempo sopraggiunse la cameriera Betty, pallidissima, dicendo a Cosima di andare di là subito. Essa balzò in piedi e corse via. Intanto Betty mandava Ganasseta per il medico. Noi restammo, profondamente turbati, silenziosi, aspettando. Verso le 3 si sentì giungere il dottor Keppler. Poco dopo arrivò la gondola che ci doveva portare co'1 Maestro dal pittore Wolkoff. Mentre Daniela stava per uscire per far sapere al pittore che non si sarebbe andati da lui e per far avvertito il dottore di passare da noi prima di andarsene, entrò il servo Giorgio e singhiozzando rivolto a Daniela le disse: «Ah, graziosa Signorina, (gnädiges Frãulein) il grazioso Signore (gnädige Herr) è morto». Io feci appena in tempo di sorreggerla tra le braccia, mentre tutta la casa si riempiva di voci e di gemiti.
«Pochi minuti dopo entrò il dottor Keppler, dicendo che non c'era più niente da fare. Poi, voltosi ai bimbi esclamò:
- Il vostro signor padre è morto! - ».
Quella mattina del 13 febbraio il Maestro alzandosi aveva detto a Giorgio che lo aiutava a vestirsi: «Oggi io debbo stare in guardia! - ».
Dopo fatta colazione con la moglie, si chiuse nello studio, dove terminò il suo scritto: «Il femminino nell'umano».
Il cielo era serrato e grigio: cominciò a piovere.
Per tutta la mattina si sentì il Maestro camminare su e giù per la camera, com`era sua abitudine, fermandosi ogni tanto a scrivere.
Poi ebbe un accesso d'asma, che durava certo da qualche tempo, quando mandò il servo ad avvertire la moglie. Le accennò tuttavia che voleva superare da solo l'attacco; ma Cosima nel1'andarsene lasciò nella camera accanto la Betty, nel caso occorresse il suo aiuto. La cameriera, sentendolo lamentarsi, entrata nello studio, senza essere veduta da lui, lo trovò seduto al tavolo da lavoro, - su cui aveva deposto il berretto, - in fiera lotta col male.
A un tratto lo vide afferrare il campanello: accorse, ed egli le gridò con voce roca: «Mia moglie e il dottore».
Quando giunse, Cosima lo trovò in preda a un accesso terribile. Gli furono apprestate inutilmente le solite cure: i panni caldi, che già avevano servito in circostanze consimili, lo fecero gemere di dolore. Intanto, aiutata da Giorgio, Cosima lo aveva adagiato su un piccolo banco, in quella parte della camera che gli serviva da toletta.
Mentre gli toglievano di dosso le vesti più grevi, gli cadde di tasca sul tappeto il prezioso orologio donatogli da Cosima. Egli esclamò: «Il mio orologio!» (Meine Uhr!) e furono quelle le sue ultime parole. Chiuse gli occhi e non li riaperse più.
Durante la tremenda lotta co'l male, si era spezzato nel cuore un vaso sanguigno, determinando la morte.
Il dottor Keppler, che arrivò poco dopo, sentì che il polso non batteva più, Tuttavia, fattolo coricare sul letto, che era nella medesima stanza, lo spruzzò sul viso, lo strofinò sul corpo. Infine disse: «Non c`è più niente da fare». I presenti s'inginocchiarono muti intorno al cadavere del Maestro, la cui bianca testa era illuminata da una scialba luce crepuscolare.
Di fuori la bufera infuriava.
Giustamente il Glasenapp, da cui ho tratto i particolari che precedono, giunto a questo punto osserva che quanto avvenne di poi, nella intimità della famiglia, non deve essere raccontato: «Sono santità, egli scrive, che nessuno deve toccare».
Tuttavia e dalla stessa biografia del Glasenapp e dai telegrammi e corrispondenze inviate dal Mantovani (Sordello) al Capitan Fracassa, traggo le notizie che seguono, così un poco alla rinfusa, ma scrupolosamente esatte. (1)
Daniela, aiutata dalla principessa Hatzfeldt e da Joukowsky telegrafò subito ad Adolfo Gross per Bayreuth, a Bürkel pe'l re di Baviera, a Michalovich per Liszt, al conte Tasca per i coniugi Gravina. Venne pur avvertita telegraficamente Malvida di Meysenboug, a Roma (2).
Dopo alcune ore giungevano dispacci da ogni parte del mondo, chiedendo notizie e sperando falso l'annunzio della morte del Maestro. (3) Il re Luigi di Baviera telegrafò che desiderava ogni onore funebre al grande estinto fosse reso a Monaco: così fu evitata anzi qualsiasi cerimonia - accompagnamento o dimostrazione funebre - a Venezia.
Cosima vegliò la salma adorata venticinque ore di seguito senza lasciarla un momento.
Il mercoledì, verso le 5, il dottor Keppler la trascinò via, a forza. Allora ella si recise la bella capigliatura, - che il Maestro aveva tanto amato vederle disciolta lungo le spalle - per deporre poi le sue trecce nella bara, sul petto dell'estinto. (4)
Indi accompagnata dai figli entrò nella stanza dov'Egli era morto e ne raccolse religiosamente il berretto, la cravatta e fin gli spilli cadutigli di dosso.
Poco prima che la salma venisse trasportata nella camera da letto, già occupata da Liszt, per procedere al1'imbalsamazione, lo scultore Benvenuti, assistito dal pittore Passini, levò con ogni cura la maschera in gesso del volto. L'imbalsamazione, eseguita dal dottor Keppler e da' suoi aiutanti, riuscì benissimo (5).
La mattina del venerdì 16 giunse da Vienna il Sarcofago. «È di bronzo a due tinte, di sagoma snella, di lavoro finito: ha un crocefisso sul coperchio, quattro puttini rinascimento agli spigoli e quattro teste di leone come anelli. Contiene nell'interno una cassa di metallo chiusa superiormente da un gran coperchio di vetro» (6). Ivi, sul mezzogiorno, seguì la deposizione della salma. «Il medico municipale dottor Gallina (padre del nostro Giacinto) stese l'atto di morte e suggellò con dodici suggelli di stagno la triplice bara in cui stava racchiuso il corpo di Wagner.» (7)
Verso le 13 il feretro fu portato, attraverso all'appartamento fino alla scalinata sull'acqua, da Hans Richter, Joukowsky, Keppler, Passini, Ruben, conte Contin e prof. Frontali. Nel frattempo Cosima tutta vestita di nero, accomiatatasi dagli amici, accompagnata da Maria Gross e dal figlio Sigfrido, scese nella gondola dove l'attendevano il pittore Passini e Daniela. Joukowsky seguiva in altra barca con Eva e Isolda.
Le gondole ammantellate di nero, attraversarono in fila il Canal Grande, precedute da un vaporetto, ornato d'alloro e di palme, su cui era stato deposto il feretro.
Un magnifico sole primaverile illuminava il passaggio del funebre corteo.
Alla stazione la salma fu ricevuta piangendo dal fido «poppiere» Ganasseta.
«Il feretro venne portato a braccia entro il carro merci Ht. 6025, addobbato interamente in nero a frange bianche (8). Poi si riposero le corone tutt`intorno... Indi il carro fu suggellato ed attaccato primo alla locomotiva... La famiglia salì in un carrozzone-sala mandato a posta da Monaco... Poi giunse alquanto pubblico, silenzioso e riverente, per assistere alla partenza del treno, che avvenne alle 2 e pochi minuti. Esso partì per la via di Verona, Ala, Kufsten, Monaco, d'onde avrebbe proseguito per Bayreuth recando seco la salma gloriosa e la famiglia inconsolabile». (9)
Uscendo dalla stazione Dino Mantovani incontrò il buon Ganasseta, rigato dalle lagrime il volto maschio e fedele. Ed è con le semplici parole di «quell'uomo del remo, che era stato caro all'Eroe», quali nel dialetto nativo vengono riferite da Mantovani, che mi piace concludere queste note:
- Vedela, signor, el ne irnpeniva de bezzi, de regali e de carezze. Co lo condusevimo in gondola el ne dava una carta da diese, e pachi de sigari e tabaco da naso, e po bisogna veder come el ne tratava a palazzo. La sera del so concerto el n'ha dà cento e cinquanta franchi par omo, da tanto ch'el gera contento e beato. E adesso perchè el fusse ancora vivo, benedeto, dir che lo serviria tuta la vita de bando (gratis). El lo meritava dasseno, povareto, bon come un'ansolo e co' quel strasso de mal che lo tormentava ! -
Mario Panizzardi
(da "Richard Wagner - Diario Veneziano" a cura di Giuseppe Pugliese,
Corbo e Fiore Editori, Venezia, 1983)
(1) Al riguardo, nota argutamente il Damerini: «...pensate una morte simile oggi: tutti i giornali listati a lutto, pieni di ritratti e di biografie, e di lodi e di esegesi; le ondate telegrafiche e telefoniche verso Venezia e da Venezia, i referendum delle più cospicue personalità dell'arte e della musica; le cronache retoriche e pletoriche degli inviati speciali, la gare delle condoglianze, gli arrampicamenti dei piccoli sul feretro del Gigante, le commemorazioni; pensate tutto ciò, per una, per due settimane, senza tregua...
«Il giorno della catastrofe la Gazzetta di Venezia usciva alla solita ora con sedici righe di annuncio. Otto erano dedicate al palazzo Vendramin, al dolore della moglie, all'impressione in città... Le ultime tre promettevano un articolo a mente riposata «sul grande astro tramontato». Il 15 la Gazzetta spreca una colonna per la necrologia di tre illustri sconosciuti, ma non ritorna sulla morte del Maestro; il 16 dà, finalmente, qualche particolare, mezza colonna circa, sugli ultimi istanti di lui. Il 17 segue una cronaca degli onori funebri. La biografia invece sfuma. «Martedì - scrive - dicevamo, che a mente più riposata avremmo detto qualche cosa sul grande astro, ecc. ecc.; ma a giudizio meglio ponderata ci sembra miglior partito quello di condensare in poche formule ecc. ecc.» Olimpica serenità del giornalismo di or sono appena sei lustri dinanzi al trapasso di un genio, come dovresti esserci presente nella quotidiana fatica d`oggi, mentre ad ogni mediocrità che sparisce la stampa traduce in colonne plumbee il pianto immaginario della nazione!...»
(2) «Chi potrebbe descrivere la mia profonda costernazione quando la mattina presto del 14 febbraio '83, io ricevetti da Joukowsky un dispaccio così concepito: «Wagner è morto improvvisamente». Non volevo credere ai miei occhi: speravo che il telegrafista avesse letto male e male trascritto. Ma la triste verità mi afferrava mio malgrado. Corsi dalla mia amica, la figlia di Donna Laura Minghetti, ch'era a Roma da qualche giorno e che abitava ancora all'albergo. La trovai tutta in lagrime; essa pure aveva ricevuto la ferale notizia. Dividemmo il comune dolore e solo ci confortammo pensando che quanto avveniva era pur troppo fatale, dopo il compimento di quella sublime opera di riconciliazione e di pace. Era quella, difatti, la natural conclusione della sua apparizione su la terra dove ormai non avrebbe più potuto concepire un'idea più gloriosa e - adopero la parola proscritta con piena convinzione - più metafisica». Malvida von Meysenboug: Le soir de ma vie (Paris 1908) pp.l67-68.
Lo stesso concetto espresso dalla Meysenboug nelle ultime righe su riportate, manifestava sebbene un po' oscuramente, l'impresario Förster a un banchetto dopo la prima rappresentazione del Parsifal a Bayreuth: «Egli ci disse: - Vedrete che Wagner morirà presto... Un uomo il quale ha creato un'opera come il Parsifal che noi abbiamo udito stasera, non può vivere oltre; la vita di quell'uomo deve aver fine. Quell'uomo deve morir presto. - Egli proferì queste parole con una serietà così profonda, quasi con le lagrime agli occhi, che noi tutti ne rimanemmo profondamente turbati e ci volle molto tempo prima che i commensali riacquistassero, pur in minima parte, l'umore di prima». A. Neumann: Ricordi intorno a R. Wagner (Milano 1909) pp. 310-l 1. .
(3) Riferisco il telegramma inviato dal Sindaco di Bologna alla vedova Signora Cosima Wagner: «Venezia - Dolorosamente colpito notizia improvvisa morte M.° Wagner, mi affretto significarle parte vivissima che io prendo tanta sventura, esprimendole insieme sensi più profondo compianto in nome Bologna che gloriavasi annoverare illustre maestro fra suoi cittadini di onore». (Don Chischiotte di Bologna 15 febb. 1883).
(4) Altri scrisse: «...sotto il capo dell'amato, come un cuscino». (A. De Angelis: Cosima Wagner, Torino F.lli Bocca pag. 37).
(5) «Il cadavere conserva inalterati i tratti della fisionomia. La salma, vestita di raso nero, giace nella camera da letto ed è tutta ricoperta di bellissime corone di fiori freschi. Altre corone giungevano ad ogni momento. Notai quelle: del Comune di Venezia, del Liceo Benedetto Marcello, della signora Lucca, del Wagner-Verein di Berlino, del Conservatorio di Lipsia, della Società corale di Dresda e di Vienna, del Conservatorio di Monaco, del Circolo artistico Veneziano. Stavano raccolte in una stanza a terreno affatto disabitata, ma serbante ancora i resti dell'antica eleganza. Ha i travicelli stuccati a bianco e oro, il pavimento a ornati, le pareti frescate da qualche pittore francese del secolo scorso, e un'ampia portiera, donde si scorgono i viali del giardino. La stavano anche il sofà di broccatello antico coperto da una pelliccia d'orso, sul quale il Maestro fu trasportato quando il suo male lo attaccò l'ultima volta, e lo sgabello a fiorami Pompadour, sul quale aveva posto i piedi. E il sofà e lo sgabello e la grande poltrona, detta in famiglia il trono... furono trasferiti poi nel wagon salon per ostinata volontà della vedova sconsolata. Tutto questo mi fece vedere il portiere del palazzo, un bellissimo vecchio, un tipo tizianesco da profeta e da senatore, che Wagner chiamava scherzando, Garibaldi. Egli è fratello del celebre Tita, cameriere di Lord Giorgio Byron, morto presso di lui in Grecia. Come vedete, ogni cosa ha qui il suo interesse aneddotico». Sordello: Dispacci e corrispondenze al Cap. Fracassa del 17 febbraio 1883.
(6) Sordello: corr. cit.
(7) Sordello: corr. cit.
(8) «Alcuni amici del defunto compositore hanno acquistato il carro, su cui è stata trasportata la salma da Venezia a Bayreuth!» (Gazzetta musicale di Milano, 11 marzo '82).
(9) Sordello: corr. cit.
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