Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, febbraio 26, 2011

Dino Buzzati e Luciano Chailly

Ieri sera a Palermo la prima di "procedura penale" , "il mantello" e "era proibito" atti unici su libretto dello scrittore e musica di Chailly. nel passato applausi (e anche fischi) ai due autori a teatro con Buzzati: che attore quel cane! Buzzati e il teatro: il successo di "un caso clinico" adattato da Camus per la scena parigina e il fiasco di "ferrovia sopraelevata" col cagnolino che parlava tra le nubi...

Al teatro Massimo di Palermo si e' tenuta ieri sera la prima rappresentazione di tre atti unici di Dino Buzzati, messi in musica da Luciano Chailly: si tratta di "Procedura penale", "Il mantello", "Era proibito" scritti tra il 1959 e il 1963. Direttore è Karl Martin, regista Filippo Crivelli; le scene e i costumi sono di Buzzati stesso e di Maria Pezzi. Buzzati aveva sempre covato una grande passione teatrale. Diceva: "Per me la massima prova letteraria è il teatro. Perchè in teatro molti, non dico espedienti, ma mezzi letterari, non sono concessi. La descrizione non è concessa. Certo uno la può usare ma solo per un breve momento; guai a insistere. Niente considerazioni, niente divagazioni. Tutto va esemplificato ed espresso in azione. Gli stessi dialoghi devono costituire un'azione. Altra difficoltà: in un romanzo lo scrittore può concedersi dei momenti di debolezza o dei momenti di noia. In molti romanzi c'è il capitolo dove la tensione narrativa cala. In teatro questo non è possibile. Perche' immediatamente la noia penetra nella sala e manda in aria tutto quanto...". Il teatro, dunque, era la sua passione segreta. E prima di prendere con esso familiarità e assaporarne il profumo (scrisse in tutto 25 opere teatrali), ne aveva lambito le sponde. Appena entrato in via Solferino, Buzzati fu messo in archivio. Quando lo chiamavano rispondeva "Comandi", come i militari. Dall'archivio passò alla cronaca. Cominciò come reporter, scrupoloso, limpido, cronista di fatti. Gli era stato affidato l'incarico di seguire gli spettacoli della "Scala". Montanelli ricorda: "Buzzati non aveva capito certe cose. Al "Corriere della Sera", a quei tempi c'era un direttore amministrativo che si chiamava Balzan, un grosso uomo, che come tutti i grossi uomini, aveva qualche debolezza. La debolezza di Balzan erano "i spinazzitt" le ballerinette della Scala. Non era una debolezza estetica, ma una debolezza d'altro tipo. E lo sapevano tutti al "Corriere" meno che Buzzati. Così un giorno gli dissero: "Guarda un po', in queste critiche metti qualche aggettivo per questi "spinazzitt", è meglio, credi a me, è meglio...". E Buzzati allora mise qualcosa sugli "spinazzitt" dicendo che erano delle somare, che non sapevano ballare, e soprattuttto una certa... Era proprio la preferita da Balzan". Gli fu proibito di occuparsi della "Scala". Ma il primo contatto di Buzzati con il teatro, in quanto autore, fu nel 1942, con l'atto unico "Piccola passeggiata", dato al Teatro Nuovo con la regia di Enrico Fulchignoni e tradotto poi in francese da Yves Panafieu. Poi nel 1946, "La rivolta contro i poveri", con la regia di Strehler e con un cast di interpreti di fama: Mario Feliciani, Isabella Riva, Tina Perna, Franco Parenti, Ernesto Calindri, Lilla Brignone e Tino Carraro. Lo spettacolo era nato da un'idea di Maner Lualdi, il fervido aviatore scrittore e regista che pensò di far "volare" sul palcoscenico dell'Excelsior un gruppetto di autori: con Buzzati, Longanesi, Montanelli, Mosca, Soldati, Marotta, Vergani, Campanile. Il pubblico era invitato a esprimere il proprio giudizio anche con un voto su una scheda da deporre in un'urna nel foyer del teatro. La geniale trovata piacque al pubblico al punto che Maner, molti anni dopo, ne replicò l'esperimento con il "Teatro delle 15 novità" e la sera del 25 ottobre del 1955 le prime tre commedie, battezzate con applausi e schede di voto furono: "L'ispezione" di Vergani, "Drammatica fine di un noto musicista" di Buzzati e "Resistè" di Montanelli. Allora direttore del "Corriere" era Mario Missiroli. In nove anni di permanenza a Milano credo che sia stata quella l'unica volta in cui mise piede in un teatro di prosa per assistere a una "prima". Ma si trattava di onorare tre grandi firme del suo "Corriere". Seduto in poltrona, ascoltando i tre atti, ogni tanto il vecchio direttore si accostava al mio orecchio e con voce ancora più flebile di quella solita, mormorava: "Ma sono bravi!". Si sa, si meravigliava di tutto: o faceva finta. Ma fra il debutto del 1946 e la vittoriosa votazione del 1955, ci fu il successo, ben piu' sostanzioso di "Un caso clinico", due tempi e tredici quadri rappresentata al "Piccolo Teatro" di Milano in prima assoluta, il 14 maggio del 1953, regista Giorgio Strehler, con musiche di Fiorenzo Carpi. Era la prima prova teatrale veramente importante di Buzzati. La critica fu unanime nel giudicarla un'opera teatralmente e poeticamente valida. La trama, ormai tutti la ricordano, era tratta dal racconto "Sette piani": quanto più l'ammalato è grave, tanto più scende nel corpo del tetro ospedale, fino al primo piano, le cui finestre sono sempre chiuse e a guardarle da lassù, dagli ultimi piani dove la speranza è ancora viva, danno un brivido. Gli attori erano tra i più famosi: Tino Carraro, Alberto Lupo, Romolo Valli, Ferruccio De Ceresa, Ottavio Fanfani, e le attrici tra le più celebri: Adriana Asti, Mila Vannucci, Elsa Albani. Uno spettacolo prestigioso, atteso nel mondo dei letterati. Ma l'attesa più sofferta fu certamente quella di Buzzati, tormentato dal timore di una fredda accoglienza da parte del pubblico. Tutto il primo tempo lo passammo girando per le vie nei pressi del teatro. Dino prese un caffè al bar dell'angolo di via Meravigli e fumò una Nazionale, tirando, più che fumando, boccate ch'erano sospiri di ansia. Lo lasciai per un momento per sentire com'era andato il primo tempo. Grande successo. Dino, rassicurato, prese fiato. Non lugubre, come si temeva, ma struggente, il "Caso clinico" arrivò alla fine fra la grande commozione del pubblico. Camilla Cederna, in una delle sue belle note di costume, scrisse: "A che piano sei?" dicono ora quelli che s'incontrano per la strada, invece di "Come stai?" alludendo al dramma di Buzzati". Il "Caso clinico" fu tradotto e rappresentato nei maggiori teatri del mondo. In Francia, andò in scena al "Thèatre La Brugère", nell' adattamento di Albert Camus, che scrisse, per l'occasione, una lunga lettera affettuosa ed elogiativa all'autore. "Non pensate che il mio nome sia decisivo per il successo, scriveva Camus, io amo la vostra commedia perchè è forte, senza concessioni, e dolorosa. Ma, a mio parere, ha poche speranze di un grande successo di pubblico, qui da noi. La sua verità apparirà insostenibile alla nostra frivola Parigi. Ma è per me un onore starvi a fianco in questa difficile battaglia e aiutarvi per quel che posso...". C'è una pagina di diario di Buzzati, scritta proprio la notte stessa dopo la prima, il 12 marzo 1955, che esprime in maniera straordinariamente toccante lo stato d'animo dell'autore. E' come si è detto una pagina di diario, ma che si chiude con quella che era la fantasia ossessiva per Buzzati, anche nel momento del successo: la fantasia della morte che cancella tutto: "12 marzo 1955. Alzato tardi a colazione da Brion, poi da Laffont a Neuilly, poi accompagnato in Citroen 2 cil. da letterata all'albergo Caire 4 boulevard Raspail, cambiato tutta velocità, cocktail all'Union interallie' e dove mucchio gente poi a teatro con Ludmilla Vlasto (proprietaria del teatro) Maria partita (Maria Pezzi) dove venuto ambasciatore, poi pranzo alla Cotolette con Sansa, Doris Cerea, Parise e coniugi Volta e Ludmilla, poi alla Brasserie Lipp. Adesso mugolio lento e profondo nella notte, un sogno forse, tutta una strana cosa, ricordati, ricordati perchè queste cose un giorno le cercherai, stupidamente magari, seduto su una pietra, vecchio, in fondo ad un sentiero che mena alle grandi pareti, ma tu sarai stanco e intorno ci sarà silenzio, un uccello qua e là forse, tac tac, le prime goccie di una pioggia (e intanto il mondo rotolerà digrigrando i denti con un rumore che si sente appena, un'eco lontanissima, il rombo delle vite nuove che dialogano e tu? e tu? Così solo che cosa puoi piu' fare?)". Questa pagina di diario è raccolta con altri preziosi documenti al "Centro Studi internazionale Dino Buzzati", dell'Università di Feltre, diretto con amorosa intelligenza da Nella Giannetto. Naturalmente Buzzati conobbe anche qualche insuccesso, magari momentaneo, come avvenne per "Ferrovia sopraelevata", un racconto con musica di Luciano Chailly, in sei episodi, favola poetica scritta in versi che per metà appartiene al teatro e per metà alla narrativa: anzi a tutte e due le cose insieme. Assistendo alla prima a Bergamo, per un momento ebbi paura che si ripetesse il putiferio che concludeva un tempo le serate futuriste. Non successe proprio così, ma qualcosa di molto simile. Il mio ricordo trova riscontro in qualche giudizio feroce della critica di allora. Tra i benevoli Teodoro Celli, che sintetizza così la serata: "E' apparsa una stupidaggine da riderci su. E il pubblico ha riso... Alla fine un tizio con due ali di cartone viene dal Paradiso, cioè dalla quinta di destra, per condurre seco il cagnolino e una donna, Laura, già virtuosa, poi peccatrice e ora redenta. Cose che, a non incantarcisi, fanno rizzare i capelli sulla testa dal ridere. Mentre dai settori sopraelevati del teatro scendevano applausi, alla maggioranza dei presenti si rizzavano effettivamente i capelli dal ridere". Ma a differenza delle serate futuriste in cui il pubblico esplodeva in pittoresche e bene azzeccate contumelie, a Bergamo ci furono solo coloritissime espressioni di dissenso, alcune frasettine pungenti, versi di sorprendente umorismo, di parole varie in libertà, e di alcuni fischi. Ma eravamo in una città tradizionalmente signorile dove contava il rispetto dei nomi: Buzzati e Chailly, e la presenza in sala del maestro Gavazzeni, avallo di arte e di genialità. Nonostante le disapprovazioni, un'altra parte del pubblico, in piedi a braccia levate, gridava "Bravo, bravo!". Io ero vicino a Buzzati che aveva lasciato il palco di Chailly per trovarsi in palcoscenico prima della fine, tutti e due nascosti, quasi invisibili, tra le grosse e pesanti pieghe del sipario. Dino era stato avvisato di tenersi pronto a uscire quando sarebbe stato preso per mano dagli attori. Appariva stralunato: non riusciva a capire cosa stava accadendo. E' andata bene, è andata male? Ma a questo punto è meglio dare la parola al maestro Chailly, che oltre ad essere un musicista è anche una bella penna: "Alla fine del quinto episodio l'apparizione del cane in scena, un cane vero (che tra l'altro fece benissimo la sua parte), provocò una repentina sfacciata ilarità e qualche contrasto. Si sentì uno che chiaramente disse "L' autore!" ... Ma fu a metà del sesto episodio, quando "l'anima" del cane cominciò a parlare tra le nubi, che esplose dalla galleria una forte reazione, guidata dal capo della "claque". Fu un momento di grande tensione. Dalla platea, per reazione, si cominciò a urlare insulti al loggione e di conseguenza ne nacque una vera gazzarra. La mia preoccupazione principale era che lo spettacolo non arrivasse in fondo. Ciò avrebbe significato inequivocabilmente il fallimento dell'impresa...". Comunque Buzzati fu preso per mano da Alberto Lupo ma, riluttante, non voleva uscire. "Su vai, gli dissi, non fare il fesso". Uscì. Composto, anzi più che composto, rigido e con le braccia stese tenuto per mano da Lupo e Mila Vannucci. Dino appariva come sempre indecifrabile. A lui non importava granchè: gli bastava solo liberarsi delle sue fantasie. Fu un evento teatrale importante: in platea critici di tutta Italia, da Franco Abbiati del "Corriere" a Massimo Mila della "Stampa", a Gara, a Montale; attori, attrici e esponenti delle maggiori case editrici. E come sempre tutti i salmi finiscono in gloria, la serata finì al vecchio "Cappello d'Oro", a pochi metri dal teatro: tutti prendemmo "polenta e osei".

Afeltra Gaetano (Corriere della Sera, 19 marzo 1994)

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