Il 19 maggio 1911,
sulla prima pagina de «Il Piccolo» di Trieste, sotto la notizia di
un viaggio dell'imperatore Francesco Giuseppe, c'era anche questa
breve informazione:
Lo stesso giorno fu pubblicato un lungo necrologio, il primo e l'unico degno di nota apparso in territorio linguisticamente italiano. Sarà pertanto utile riportarlo nella sua versione integrale. Vale poi la pena anche dire due parole sull'autore dell'articolo, che all'epoca era giovanissimo. Mario Nordio nasce a Trieste nel 1889, in una famiglia dai forti connotati patriottici. Dopo gli studi classici al cittadino liceo «Dante», si iscrive a giurisprudenza a Graz. Ancora studente, nel 1907 fa il suo esordio giornalistico su «L'Indipendente» di Trieste. Si inserisce presto nell'ambito culturale e politico e nel 1908 è l'autore di un articolo dedicato a Vittorio Emanuele II, a trent'anni dalla scomparsa, che provoca l'ira delle autorità austriache fino al punto da sequestrare tutte le copie de «L'Indipendente». Viaggia su e giù per l'Europa e persino in Africa, seguendo vari eventi d'importanza storica e politica. A vent'anni, nel 1909, diventa professionista presso «Il Piccolo», dove rimarrà per trentacinque anni, passando per vari incarichi, dal giornalista al capo redattore.
Nel 1911 Mario Nordio fu il primo triestino a volare sopra la città. Lo stesso anno scrive il necrologio di Gustav Mahler e si reca in Libia, dove incomincia la carriera del corrispondente di guerra che lo porterà poi anche in Serbia, per seguire la prima delle due Guerre Balcaniche.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, si arruola nelle truppe italiane insieme ai fratelli e, grazie alle sue conoscenze della lingua tedesca e del territorio, riesce ad essere di significativo aiuto. Dopo la guerra gli vengono affidate varie missioni diplomatiche per conto del nuovo stato italiano. Nel 1921 torna al «Piccolo» e da inviato speciale continua a seguire gli eventi importanti in Europa. Scrive una serie di fondamentali articoli sui Balcani e la Russia sovietica. Segue attentamente la situazione politica all'alba del fascismo e poi anche del nazismo, e con la Seconda guerra mondiale viene arruolato col grado di maggiore alla II Armata, con l'incarico di capo dell'Ufficio Stampa.
Con l'occupazione di Trieste da parte delle truppe tedesche, Mario Nordio lascia la città insieme a Silvio Benco, allora direttore de «Il Piccolo», e si stabilisce a Venezia, dove comincia a lavorare per il «Gazzettino», rimanendovi fino al 1959, anno in cui andò in pensione. Per dieci anni fu anche il critico musicale del «Gazzettino Sera».
La sua attività però non comprende solo il giornalismo. Effettua molte traduzioni di varie opere teatrali, musicali e letterarie, tra cui anche Il sogno d'una notte di mezza estate di Mendelssohn, Il Paradiso e la Peri di Schumann, L'angelo di fuoco di Prokofiev, La luna di Orff, i Gurrelieder di Schönberg e soprattutto Das Lied von der Erde e i Lieder eines fahrenden Gesellen di Gustav Mahler. Scrive libri e saggi di contenuto che va dal politico al culturale, tra cui volumi su Verdi, Zampieri, Joyce, Busoni, saggi su Humboldt, Hofmannsthal, Heine, Wedekind e tanti, tanti altri.
Tra le varie note per programmi di sala (la Scala, la Fenice, il Verdi di Trieste, il Comunale di Bologna) se ne trova anche una del 1973, per il ritorno della Quinta Sinfonia di Gustav Mahler a Trieste, in un concerto diretto da Eliahu Inbal. Nel 1977, a quasi novant'anni, Mario Nordio tenne una conferenza a Trieste, in cui presentò il libro di Giuseppe Pugliese Il mio tempo verrà, dedicato alle opere di Gustav Mahler. Il testo dell'intervento di Nordio, fatto alla presenza dell'autore del libro, si può trovare nell'archivio del Civico Museo Teatrale a Trieste e qui ne riproponiamo solo una parte, soprattutto perché riguarda i concerti triestini:
Gustavo
Mahler è morto.
VIENNA,
P. N.
Alle 11.50 di stasera è morto Gustavo Mahler.
Alle 11.50 di stasera è morto Gustavo Mahler.
Lo stesso giorno fu pubblicato un lungo necrologio, il primo e l'unico degno di nota apparso in territorio linguisticamente italiano. Sarà pertanto utile riportarlo nella sua versione integrale. Vale poi la pena anche dire due parole sull'autore dell'articolo, che all'epoca era giovanissimo. Mario Nordio nasce a Trieste nel 1889, in una famiglia dai forti connotati patriottici. Dopo gli studi classici al cittadino liceo «Dante», si iscrive a giurisprudenza a Graz. Ancora studente, nel 1907 fa il suo esordio giornalistico su «L'Indipendente» di Trieste. Si inserisce presto nell'ambito culturale e politico e nel 1908 è l'autore di un articolo dedicato a Vittorio Emanuele II, a trent'anni dalla scomparsa, che provoca l'ira delle autorità austriache fino al punto da sequestrare tutte le copie de «L'Indipendente». Viaggia su e giù per l'Europa e persino in Africa, seguendo vari eventi d'importanza storica e politica. A vent'anni, nel 1909, diventa professionista presso «Il Piccolo», dove rimarrà per trentacinque anni, passando per vari incarichi, dal giornalista al capo redattore.
Nel 1911 Mario Nordio fu il primo triestino a volare sopra la città. Lo stesso anno scrive il necrologio di Gustav Mahler e si reca in Libia, dove incomincia la carriera del corrispondente di guerra che lo porterà poi anche in Serbia, per seguire la prima delle due Guerre Balcaniche.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, si arruola nelle truppe italiane insieme ai fratelli e, grazie alle sue conoscenze della lingua tedesca e del territorio, riesce ad essere di significativo aiuto. Dopo la guerra gli vengono affidate varie missioni diplomatiche per conto del nuovo stato italiano. Nel 1921 torna al «Piccolo» e da inviato speciale continua a seguire gli eventi importanti in Europa. Scrive una serie di fondamentali articoli sui Balcani e la Russia sovietica. Segue attentamente la situazione politica all'alba del fascismo e poi anche del nazismo, e con la Seconda guerra mondiale viene arruolato col grado di maggiore alla II Armata, con l'incarico di capo dell'Ufficio Stampa.
Con l'occupazione di Trieste da parte delle truppe tedesche, Mario Nordio lascia la città insieme a Silvio Benco, allora direttore de «Il Piccolo», e si stabilisce a Venezia, dove comincia a lavorare per il «Gazzettino», rimanendovi fino al 1959, anno in cui andò in pensione. Per dieci anni fu anche il critico musicale del «Gazzettino Sera».
La sua attività però non comprende solo il giornalismo. Effettua molte traduzioni di varie opere teatrali, musicali e letterarie, tra cui anche Il sogno d'una notte di mezza estate di Mendelssohn, Il Paradiso e la Peri di Schumann, L'angelo di fuoco di Prokofiev, La luna di Orff, i Gurrelieder di Schönberg e soprattutto Das Lied von der Erde e i Lieder eines fahrenden Gesellen di Gustav Mahler. Scrive libri e saggi di contenuto che va dal politico al culturale, tra cui volumi su Verdi, Zampieri, Joyce, Busoni, saggi su Humboldt, Hofmannsthal, Heine, Wedekind e tanti, tanti altri.
Tra le varie note per programmi di sala (la Scala, la Fenice, il Verdi di Trieste, il Comunale di Bologna) se ne trova anche una del 1973, per il ritorno della Quinta Sinfonia di Gustav Mahler a Trieste, in un concerto diretto da Eliahu Inbal. Nel 1977, a quasi novant'anni, Mario Nordio tenne una conferenza a Trieste, in cui presentò il libro di Giuseppe Pugliese Il mio tempo verrà, dedicato alle opere di Gustav Mahler. Il testo dell'intervento di Nordio, fatto alla presenza dell'autore del libro, si può trovare nell'archivio del Civico Museo Teatrale a Trieste e qui ne riproponiamo solo una parte, soprattutto perché riguarda i concerti triestini:
Sembrami doveroso mettere in rilievo come proprio Trieste sia stata una delle prime città italiane, se non addirittura la prima, ad accogliere la musica di Mahler con un interesse e una comprensione, quali sarebbe stato vano cercare altrove. Già nel lontanissimo 1905 – più di settant'anni fa, infatti – durante un ciclo sinfonico promosso da un eletto gruppo di mecenati, il Maestro diresse al nostro Politeama Rossetti la sua da poco ultimata “Quinta Sinfonia”: per me almeno, una delle più belle. (altre musiche in programma; il “Coriolano” di Beethoven e la “Jupiter” di Mozart). Il pubblico non era certamente ancora maturo – né poteva esserlo – per un sinfonismo così ardito e complesso. Non nascose quindi una palese perplessità di fronte a quello struggente “pathos” ed alla turgida opulenza sonora della partitura. Non ci furono contrasti, ma ben pochi, stentati gli applausi. Discorde la critica.Tuttavia, già allora ci fu chi ne rimase entusiasta. Della “Quinta” era quella la prima esecuzione in una città italiana. Nelle sue incessanti peregrinazioni di celeberrimo concertatore, Mahler doveva ritornare a Trieste due anni dopo, nel 1907, per dirigere al Teatro Verdi, con la sua “Prima Sinfonia”, il Preludio dei “Maestri Cantori” e la “Quinta” beethoveniana. Ma di questo secondo soggiorno triestino del Maestro non c'è traccia nell'epistolario. Segno che le cose devono essere andate meglio della prima volta. Certo a Trieste lo avrebbe riportato ancora la sua errante attività direttoriale, se la cruda, tanto presentita morte non lo avesse colpito a soli cinquanta anni. Sulla sua tomba nel cimitero viennese di Grinzing, non ha voluto ricordato che il nome. “Quelli che mi cercano – aveva detto – sanno chi sono stato. Gli altri non hanno bisogno di saperlo.” Ma se a Trieste il Maestro non è più ritornato di persona, la nostra musicale città può annoverare, a titolo d'onore, un alto numero di esecuzioni d'opere sue. Basti a ricordarlo che abbiamo avuto per quattro volte la “Prima Sinfonia” - diretta, come già detto, anche da lui stesso al Teatro Verdi – e per due volte la “Quinta” - nel 1905 da lui pure diretta e nel '73 da Eliahu Inbal. Inoltre la “Seconda” o della “Resurrezione” con uno dei più autorevoli interpreti mahleriani, Jasha Horenstein; la distensiva “Quarta” con Reynaldo Giovaninetti e la nostra Gloria Paulizza, senza dimenticare il “Canto della Terra” col maestro Giersten e la grande Maureen Forrester. E ancora, i “Kindertotenlieder” cantati già nel 1948 da Margherita Voltolina Medicus con la direzione illustre di Hans Münch, e più volte i “Lieder eines Fahrenden Gesellen” con Magda Laszlo, Claudio Strudthoff e Claudio Desideri, quest'ultimo anche per i “Cinque Canti su Poemi di Rückert”.
Per quanto riguarda il
necrologio, è sorprendente quanto all'epoca Nordio fosse informato
sotto alcuni aspetti, nonostante vari e numerosi errori presenti nel
testo (che fanno sorridere). I giudizi sulle qualità artistiche di
Mahler sono stati superati anni fa, ma hanno il loro posto nel
contesto storico. Lasciamo però il testo integrale del necrologio
parlare da sé.
GUSTAVO
MAHLER
È morto. È morto in
circostanze quasi tragiche, che accrescono il lutto nei suoi
ammiratori, in tutto il mondo musicale. Il precipitoso degenerare
d'una semplice malattia nella più inesorabile infezione del sangue;
le due agonie quella di Parigi e quella di Vienna; il triste
convoglio ferroviario che ricondusse in patria il morente, avevano
stretto in pietà il cuore dei suoi avversari; anche quello dei suoi
detrattori. E negli ultimi giorni da tutte le parti si seguiva con
apprensione il corso del terribile male, si facevano voti di
guarigione, di salvezza per l'illustre musicista. Con
lui è scomparsa oggi una delle più notevoli figure dell'arte
tedesca, uno dei più grandi direttori d'orchestra della nostra
epoca. Gustavo Mahler era nato il 7 luglio del 1860 a Kalitsch [sic]
presso Iglau in Bohemia. Compiuti gli studi medii a Praga, s'era
iscritto contemporaneamente all'Università e al Conservatorio. A
vent'anni egli iniziava la sua carriera di direttore d'orchestra a
Hall. La sua genialità, la profonda intuizione, la forza della sua
volontà, gli fecero percorrere rapidamente le vie della fama. Cinque
anni dopo la sua prima comparsa nel mondo teatrale, egli aveva già
diretto notevoli stagioni a Lubiana, Olmütz e Kassel ed assumeva
l'offertagli direzione dell'Opera di Praga. Ormai il suo nome era
lanciato. Lipsia lo volle a sostituito di Nikisch per sei
mesi; Amburgo
lo chiamò a risollevare le sorti del suo teatro d'opera, Budapest lo
tolse ad Amburgo, sino a che nel 1897, gli fu aperta l'agognata porta
dell'Opera imperiale di Vienna che sotto la sua direzione divenne nei
primi tempi la scena più importante del teatro tedesco. Quando dieci
anni più tardi egli lasciò Vienna per il «Metropolitan» di Nuova
York, la sua partenza non provocò quel generale rimpianto che per
l'arte sua o per il suo valore si sarebbe potuto aspettare, e ciò
principalmente a causa del suo temperamento davvero difficilissimo,
che gli aveva creato intorno tutta un'atmosfera di odii e di
antipatie. Si fu più tardi appena che i viennesi si accorsero della
perdita fatta; dopo di lui nessuno seppe portare uno spettacolo a
quel grado di magnificenza, di perfezione artistica, con cui egli
aveva viziato il pubblico. A Nuova York, aveva trovato un rivale
formidabile: Arturo Toscanini. Nella gara con lui, non indagheremo se
per ragioni di merito e di simpatie, egli era uscito onorevolmente
battuto, tanto è vero che dall'anno scorso non dirigeva più in
America che i concerti sinfonici; quest'anno contava di cedere alle
vive insistenze della sua famiglia e di ristabilirsi definitivamente
in Europa. Sebbene sia morto a soli cinquant'anni, ben pochi più
vecchi di lui possono vantare una carriera più bella, più rapida,
più completa. E' noto come Gustavo Mahler fosse anche compositore, e
compositore di non secondaria importanza. Per la teatralità, la
grandiosità, la struttura polifonica delle sue creazioni, si può
dire che se non ci fosse Strauss, egli sarebbe stato il più
complesso sinfonista dell'epoca. Le sue opere: otto sinfonie, delle
quali la maggior parte con cori e soli; alcune «Humoresken» [sic]
per orchestra; «Das Klagende Licht» [sic], specie di oratorio con
cori e soli; parecchi «lieder»; le due opere giovanili «Argonauten»
e «Rübezahl» , peccano purtroppo di un duplice difetto: sono
concepite in proporzioni eccessivamente gigantesche, e appunto perciò
presentano uno squilibrio troppo evidente tra forma e contenuto.
Quella genialità che spesso non lo abbandona negli sviluppi armonici
e nell'istrumentazione, è quasi completamente assente dove si cerchi
l'ispirazione, l'originalità della vena melodica, che egli cercava
di aiutare con reminiscenze del repertorio popolare. L'Untersteiner
dà forse un giudizio esatto sulle composizioni di Gustavo Mahler
quando scrive: «Per molti la sua musica è vera
“Kapellmeistermusik”, scritta da un autore cioè, che per la
lunga pratica di dirigere le opere più disparate e per una grande
sapienza tecnica, ha potuto creare delle opere mastodontiche e
ipertrofiche, che si risentono di tutti gli stili. Per altri egli è
un grande musicista, che con ogni nuova opera si innalza sempre più
in su nella parabola. Al solito, la verità sta forse nel mezzo... La
prima volta che si sente una sinfonia di Mahler, l'effetto è di
sbalordimento ed egli ci appare ineguale, esagerato, alle volte
vuoto, bizzarro e persino grottesco; alle volte invece ci irrita, ma
ci conquide con la grandiosità dell'idea, che gli balena alla mente
e con la smisurata architettura delle sue concezioni.» Tutti
ricorderanno il rumore levato in Germania nello scorso autunno per la
prima esecuzione della sua «Ottava sinfonia» a Monaco, con oltre
mille esecutori. Ora egli stava compiendo una «Nona sinfonia», che
molto probabilmente farà, come le precedenti, rumore alla sua
apparizione, e poi rimarrà a costituire nella storia della musica
l'esponente di un immenso sforzo nel vuoto... Mahler era un artista
di vastissima coltura; raccontano i suoi intimi che in casa era
sempre intento allo studio di opere filosofiche e letterarie; era
infatti al corrente del movimento intellettuale di tutti i paesi.
Sentiva poi vero entusiasmo per tutto ciò che era italiano, e in
particolare per l'arte italiana; lo stizziva invece la scarsa
organizzazione artistica che secondo lui regnerebbe in Italia. Era
stato anzi questa sua grande simpatia per gli italiani, che lo aveva
indotto a venire molto volentieri fra noi. Egli fu a Trieste due
volte: nel dicembre del 1905, e in tale occasione diresse al
Politeama Rossetti il «Coriolano» di Beethoven, l'ouverture [sic]
«Giove» di Mozart, e la sua Quinta sinfonia, che eseguita dalla
nostra orchestra, ottenne buon successo; due anni dopo egli diresse
in primavera, al «Verdi», il preludio dei «Maestri Cantori», la
Quinta sinfonia di Beethoven e la sua Prima sinfonia. La nostra
orchestra ricorda ancora con simpatia la sua piccola figura
saltellante nell'atrio o rannicchiata durante le prove sullo scanno,
per dare a tratti dei balzi, degli scatti di slancio, di vigore, che
infiammavano gli esecutori. In orchestra era di una disciplina
ferrea; esigeva il massimo dai professori; tutti ricordano come in
due o tre brevi prove riuscisse a presentare la Quinta sinfonia di
Beethoven all'applauso del pubblico. Affascinava gli esecutori non
solo, ma, contrariamente al sistema dei maestri italiani, trascurava
ogni stancamento dell'orchestra con le inutili ripetizioni di brani
facili: rivolgeva esclusivamente la sua attenzione ai passaggi
difficili, e soprattutto curava gli effetti polifonici, non dando
alcuna importanza alle piccole virtuosità orchestrali nei
particolari. E' da ricordarsi che appena giunto a Trieste si trovò
molto a disagio non riuscendo a farsi intendere dall'orchestra, ma
alla seconda prova egli aveva a sua disposizione già tante parole
italiane da farsi comprendere perfettamente. Trieste gli piaceva
moltissimo. Alcuni amici lo avevano condotto un giorno ad Opicina con
l'elettrovia. A mezza strada era rimasto così entusiasta del
panorama che si apriva ai suoi occhi, che aveva voluto scendere dal
carrozzone e continuare la via a piedi. Intrattabile per
temperamento, una delle cose che più lo facevano montar sulle furie
si era quando, nel rientrare all'«Hotel de la Ville», dove
alloggiava, si trovava signore e signorine che gli chiedevano
autografi. Mahler non ha mai dato una fotografia al più intimo dei
suoi amici! Ciò che più resterà di lui, sarà probabilmente la sua
memoria di «inscenatore». Nessun maestro ha forse dato tanta
importanza al modo di mettere in scena un'opera quanto lui. Voleva
che in ogni spettacolo la parte scenica fosse alla stessa altezza
della parte musicale, per ottenere un insieme artisticamente
completo. Le opere di Mozart da lui messe in scena a Vienna erano
infatti quello di più perfetto per carattere, fusione ed equilibrio
tra palcoscenico ed orchestra che si possa immaginare. Nelle opere di
Wagner, che egli volle sempre dirigere nella loro integralità, senza
il minimo taglio, cercò di togliere tutto ciò di soprannaturale che
poteva cadere nel ridicolo; così ad esempio, nel «Siegfried» non
si vedeva l'informe, comica forma del drago, che restava celato fra
le rupi; e la cavalcata delle Valchirie, di effetto sempre misero se
non addirittura ridicolo, era ridotto ad una fuga di nubi
cinematografata dal vero. Per quello che riguardava gli scenari,
procurò sempre di eliminare il banale, cercando la grandiosità nel
semplice e nell'austero. Tre opere che avrebbe allestito all'Opera di
Vienna, se vi fosse rimasto ancora e che godevano di tutta la sua
ammirazione, erano il «Barbiere di Bagdad» di Cornelius, la
«Bisbetica domata» del Götz e l'«Ifigenia in Aulide» di Gluck,
che chiamava una «sinfonia in bianco e oro». Profondo era pure
stato il suo dispiacere per non aver potuto mettere in scena la
«Salome» di Strauss. Negli ultimi tempi Gustavo Mahler si sentiva
stanco e vecchio per continuare la vita randagia del direttore
d'orchestra; amava la pace e la calma vita della famiglia. Passò più
d'un'estate a Toblach, in una casetta di contadini isolata fra i
monti, introvabile; e là faceva lunghe passeggiate e componeva
all'aperto. Attualmente si faceva fabbricare al Semmering un villino,
che doveva essere finito quest'anno; e in quella solitudine sperava
di poter riposare. Un'altra solitudine lo
aspettava, ohimè!...
Mario Nordio
Pavlović Milijana
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