Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, marzo 30, 2014

Giuseppe Sinopoli: "Lou Salomé"

DDD - (P) 1988 DG 415 984-2 - [47' 20]
Giuseppe Sinopoli ha conquistato il pubblico dei due Mondi come interprete moderno, problematico, dei musicisti classici, romantici, ma soprattutto di quelli del tardo romanticismo tedesco e austriaco (Bruckner, Mahler) e dell’espressionismo Viennese (Schönberg, Berg, Webern). Verdi e Puccini rappresentano invece il lato meridionale, mediterraneo, della sua sensibilità musicale. I due aspetti però non sono in contraddizione, ma si completano a vicenda e rispecchiano anzi la sua storia individuale di veneziano con radici siciliane. Venezia. sospesa tra Oriente e Occidente, tra Bisanzio e Vienna, da una parte, e la Sicilia, greca, araba, normanna, sveva, spagnola, dall'altra, segnano già nella carne, per così dire, dell’uomo il destino della sua avventura spirituale. Di qui quel che di fisico, di irruente, di spasmodicamente vissuto ch’è sempre così in primo piano anche nella più astratta ricerca intellettuale di Sinopoli, sia essa volta a interpretare la forma di altri musicisti o a costruire la propria. Sinopoli, infatti, è prima di tutto un compositore, ma perché scrivere musica è una via per rappresentare con evidenza e con logica chiarezza le contraddizioni dell'esistenza, i meandri della mente. Così, quando interpreta la musica di altri compositori, dall'evidenza della forma compiuta scende dentro i meandri, le contraddizioni psicologiche che hanno spinto i compositori a generare quella forma. Tra forma musicale e fermento psicologico c'è, per Sinopoli, un'equivalenza, un legame di necessità, che obbliga il musicista a comporre in un modo e non in un altro. La forma, quindi, non è mai un fatto puramente formale, ma nemmeno la psicologia di un artista è soltanto un fenomeno psicologico. C'è una deviazione, una malattia, una nevrosi, che costringe l'artista a trasformare in forma la propria sensibilità: in questo modo l‘artista non resta prigioniero della nevrosi, ma la libera e se ne libera. proiettandola fuori di sé, e così ne fa uno strumento di conoscenza. L'artista non è malato: esprime la malattia, e nell'esprimerla la sublima. Aristotele chiama questo processo "catarsi". Goethe ne individua 1'occasione che fa nascere ogni forma d’arte.
La malattia di Lou Salome è la paura di conoscere se stessa (per Kierkegaard, la forma più terribile di
quella "malattia mortale" ch'è la disperazione). L'opera di Sinopoli, attraverso una successione di quadri che colgono momenti diversi della vita di Lou, rappresenta questa paura. Gli uomini, ai quali ella sfugge, le girano intorno affamati di desiderio: ma è quel desiderio che Lou sente come un oltraggio, una violenza. Hendrik Gillot, il pastore protestante che le rivela il desiderio del maschio per la femmina e della femmina per il maschio, viene allontanato perché pallida contraffazione del padre. Poi vengono Friedrich Carl Andreas, il marito d'un matrimonio mai consumato; Friedrich Nietzsche, il filosofo dell'istintualità liberata; Paul Rée, l'amante-amico immaginario; Rainer Maria Rilke, il poeta che riesce a dare voce musicale, e quindi spirituale, all'ansia torbida dell'animale. Manca Sigmund Freud, l‘unico uomo che libera Lou dall'ossessione del sesso, perché glielo fa riconoscere dentro la sua mente. A conoscerlo col corpo, Lou aveva imparato tardi, a quarant‘anni, in un incontro fulmineo e brutale, quasi come una prostituta, e perciò masochisticamente goduto come punizione.
Lou Sulamé è stata data, in prima mondiale, a Monaco, il 10 maggio 1981, diretta dallo stesso Sinopoli e con la regia di Götz Friedrich. Il libretto è di Karl Dietrich Gräwe, che rielabora testi di Lou, di Nietzsche e di Rilke. I testi, messi in bocca ai personaggi, provocano un effetto di estraniamento, come se essi si raccontassero, invece di rappresentarsi. La musica accresce questo senso di estraniamento, ma nello stesso tempo carica ogni gesto, ogni parola, di una violenta tensione emotiva: i personaggi appaiono come fantasmi, larve, ectoplasmi di se stessi, Sono, più che personaggi, la memoria di personaggi raffigurata attraverso una memoria musicale. La musica scorre come un nastro di citazioni musicali: tutta la grande tradizione romantica tedesca sembra rapprendersi in pochi gesti essenziali, riconoscibilissimi, ma rattrappiti, destrutturati, Sotto quei gesti non c'è più nulla, né i gesti portano a nulla: si citano da sé, come i sopravvissuti a uno sterminio. Del mondo in cui vengono ricordati, nulla li riguarda più.
Musicalmente, le apparenze tonali sono sospese in un vuoto totale di funzioni: gli accordi non gravitano verso nessun punto di riferimento. Il romanticismo delle situazioni, esistenziali e musicali, non è rimpianto, ma dichiarato morto. Ciò che ancora ci ossessiona, noi scampati al diluvio, non è la nostalgia di tornare indietro, bensì il vuoto che quella morte ha lasciato dietro di sé.
La prima Suite, che qui si presenta, riproduce l'ultima scena del I atto, ma risolta quasi tutta strumentalmente. Resta il duetto tra Lou e Paul Rée, che nella scena dell’opera segue a uno scontro tra Lou e il marito. Andreas ha tentato di ferirsi, per attirare la compassione di Lou. Lou gli dice: “Du bist in einen Glassplitter gefallen!", Le ultime parole del duetto chiariscono la vanità delle ossessioni dei personaggi: “In dieser Nacht hatte die Welt/keine Tränen!”. La seconda Suite - e qui lasciamo la parola alla stesso Giuseppe Sinopoli - “è costituita da frammenti tratti dalle scene più incisive nel rapporto tra Lou Salome e i suoi partner. Il carattere generale che sottintende alle situazioni in cui Lou Salome viene ritratta ora con Nietzsche, ora con Rilke, ora con Paul Rée, rimane sempre quello della perdita. In questo senso riemergono "oggetti" formali o stilistici che appartengono ai detriti della memoria, come valzer, Ländler o la Passacaglia della scena raffigurante l'incontro di Lou Salome nella Chiesa di S. Pietro con Paul Rée e Nietzsche. Questi "oggetti" formali e/o stilistici posseggono della citazione soltanto l’aspetto rudimentale, cioè quello del riconoscimento storico, ma sono giustificati soltanto dalla nostalgia o meglio dalla Sehnsucht, che al sentimento della perdita è connessa.”
Dino Villatico (c) 1988

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