Questa registrazione celebra la storia del quartetto d'archi e il suo futuro. La storia è rappresentata dallo straordinario repertorio di opere per due violini, viola e violoncello composte lungo gli ultimi due secoli e mezzo, opere che sono fra i più grandi esiti dell'espressione artistica nella tradizione classica occidentale. Il futuro è rappresentato dai giovani musicisti che vi partecipano e dalla presenza nel programma di un nuovo quartetto di Luciano Berio, registrato qui per la prima volta. L'attenzione così per la tradizione come per il futuro è caratteristica del concorso Paolo Borciani (intitolato alla memoria del fondatore del Quartetto Italiano), il cui comitato organizzatore ha dimostrato l'impegno nell'allargamento del repertorio per quartetto d'archi commissionando un nuovo pezzo per il concorso. I tre quartetti d'archi presentati qui sono stati registrati il 22 giugno 1997, in occasione del concerto dei vincitori della quarta edizione del concorso per il Premio Paolo Borciani.
Questa registrazione celebra la storia del quartetto d'archi e il suo futuro. La storia è rappresentata dallo straordinario repertorio di opere per due violini, viola e violoncello composte lungo gli ultimi due secoli e mezzo, opere che sono fra i più grandi esiti dell'espressione artistica nella tradizione classica occidentale. Il futuro è rappresentato dai giovani musicisti che vi partecipano e dalla presenza nel programma di un nuovo quartetto di Luciano Berio, registrato qui per la prima volta. L'attenzione così per la tradizione come per il futuro è caratteristica del concorso Paolo Borciani (intitolato alla memoria del fondatore del Quartetto Italiano), il cui comitato organizzatore ha dimostrato l'impegno nell'allargamento del repertorio per quartetto d'archi commissionando un nuovo pezzo per il concorso. I tre quartetti d'archi presentati qui sono stati registrati il 22 giugno 1997, in occasione del concerto dei vincitori della quarta edizione del concorso per il Premio Paolo Borciani.
Quartetto Artemis, Germania
Primo Premio (Premio Paolo Borciani)
Béla Bartok: Quartetto n.4
Quartetto Auer, Ungheria
Terzo Premio (ex-aequo)
Franz Joseph Haydn: Quartetto in sol maggiore, Op.77 n.1
Quartetto Lotus, Giappone
Terzo Premio (ex-aequo)
Premio speciale per la migliore esecuzione del quartetto Glosse di Luciano Berio
Luciano Berio: Glosse - Prima mondiale
Franz Joseph Haydn è giustamente considerato il creatore (fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento) di quelli che a tutt'oggi sono ritenuti i primi quartetti d'archi significativi. Nei suoi quartetti giovanili Haydn cercò di risolvere due questioni principali: una di tessitura, l'altra di forma. Insieme ad altri musicisti della sua generazione, egli dovette reimmaginare un complesso strumentale che non fosse dominato dalle parti gravi e acute con l'accompagnamento di uno strumento a tastiera (struttura tipica della musica da camera barocca), ma che invece costituisse una conversazione fra quattro strumenti, ciascuno dei quali portasse qualcosa di individuale ed essenziale all'insieme. Egli lavorò altresì allo sviluppo dei principi di organizzazione musicale che sarebbero stati fondamentali per lo stile classico, lo stile di Haydn, Mozart e Beethoven: un approccio alla forma che enfatizzava le interazioni drammatiche intrinseche al sistema tonale, mezzo flessibile eppure coerente di integrazione fra aree tonali contrastanti e (di solito) fra materiali tematici entro un singolo movimento.
L'op.77 n.1 è uno degli ultimi quartetti di Haydn, scritto nel 1799 e dedicato al principe Joseph Franz Maximilian Lobkowitz (al quale più tardi Beethoven avrebbe dedicato non solo i suoi primi quartetti, op.18, ma anche la terza, quinta e sesta sinfonia). A esemplare testimonianza di ciò che divenne il quartetto d'archi nelle mani di Haydn, l'op.77 n.1 si articola in quattro movimenti: Allegro moderato; Adagio; Menuetto (Presto); Finale (Presto). Il primo, terzo e quarto movimento sono in sol maggiore, il secondo movimento (insieme alla sezione centrale, o "trio", del terzo) è in mi bemolle maggiore. In ciascun di essi Haydn sfrutta il contrasto fra aree tonali, fondamentale per lo stile classico. Ma ancora più tipico dello Haydn maturo è l’eleganza del pensiero melodico combinata con uno straordinario ingegno musicale. Ciò che al primo ascolto percepiamo come gradevole melodia risulta composto di piccoli frammenti, ciascuno dei quali manipolabile e sviluppabile separatamente; viceversa, ciò che al primo ascolto percepiamo come breve motivo porta con sé la propria eventuale espansione in magnifica me1odia. La nobile, soave melodia del primo violino all’inizio del primo movimento, per esempio, è effettivamente fatta di un breve motivo puntato ripetuto più e più volte. Prima che il movimento sia concluso avremo ascoltato quel motivo in diverse combinazioni, disseminate avanti e indietro fra gli strumenti, ora come melodia, ora come interiezione comica, ora come commento all’acuto, ora some brontolio al grave. A un dato momento, il ritmo subisce una sospensione di due battute, per poi riprendere. Ma tale interruzione porta in sé il seme da cui emergerà il tema lirico già ascoltato alla dominante.
L'Adagio, di austera bellezza, esordisce con un tema enunciato insieme dai quattro strumenti, ma al procedere del discorso, la melodia spezza il proprio cammino fra i diversi registri, in una serie di eleganti contrappunti (e virtuosistici, per il prime violino) che la avviluppano in un’onda sonora. Il tempestoso Menuetto ha ben poco a che fare con la danza aristocratica da cui prende il nome, e gli intervalli estremi, sincopati del primo violino sono tanto divertenti in se stessi, quanto (come sempre in Haydn) soggetto per ulteriori esplorazioni musicali: Beethoven avrebbe chiamato movimenti di questo tipo, “scherzi". Haydn confonde le nostre aspettative a ogni occasione. Il Finale appare come un luminoso pezzo d’intrattenimento, fino a quando il tema non risulta pronto per l'elaborazione contrappuntistica.
Circa 130 anni separano l'op.77 n.1 di Haydn dal Quarto quartetto di Bela Bartok. I sei quartetti del compositore ungherese sono giustamente annoverati fra i capolavori della musica del Novecento. Il linguaggio musicale che li caratterizza è molto diverso da quello di Haydn. I violenti pizzicato, i glissando, l’uso del "non-vibrato", della sordina, degli armonici, degli arpeggi sfruttano le diverse possibilità sonore degli strumenti ad arca. Il linguaggio armonico, senza abbandonare il sistema tonale maggiore-minore, lo spinge energicamente a esplorare misture modali, cluster, cromatismi estremi. Il linguaggio ritmico dischiude un vasto spettro di possibilità, dall’uso di rauchi ritmi di danza, alla sostanziale sospensione dell’attività ritmica (per entrambi gli aspetti si trovano precedenti nei tardi quartetti di Beethoven).
E quale forza emotiva e costruttiva Bartok mostra in quest’opera in cinque movimenti. Essi si accoppiamo in una forma ad arco attorno alla misteriosa musica notturna posta al centro, evocante richiami d’uccelli che emergono attraverso l'immobilità, gli agitati momenti d’angoscia, i brevi passaggi di tranquilla bellezza. Il secondo e il quarto movimento sono entrambi “scherzi”, l'uno affidato a tutti gli archi con sordina, l’altro in pizzicato. Benché essi suonino in modo alquanto differente, il materiale musicale che li costituisce è intimamente correlato: essendo il quarto movimento sostanzialmente una variazione del secondo.
Rapporti d’affinità sono ancora più evidenti fra i due movimenti d’apertura e di chiusura del quartetto, il principale materiale tematico dei quali è correlato in modo diretto. Il sorprendente motivo cromatico che ape il prima movimento, lo domina tutto, dappoiché Bartok ne asseconda lo sviluppo contrappuntistico (invertendolo, contrapponendolo a se stesso) e melodico. Gradualmente, esso perde parte della sua intensità cromatica e si trasforma in una figura diatonica, dotata di più melodica curvatura. Il processo culmina nel movimento finale, dove il motivo in questione dà origine a un disegno melodico compiuto con chiare radici nella tradizione zigana. E' come se Bartok avesse preso il motivo, lo avesse ridotto a una sua essenza fondamentale nel primo movimento, per poi lasciargli riacquistare la propria compiutezza all’inizio del movimento conclusivo. Ma alla fine esso ritorna di nuovo allo stato fondamentale, con una serie di gesti che richiamano direttamente il primo movimento.
Il gesto sta al centro del nuovo lavoro per quartetto d'archi di Luciano Berio, Glosse. “Glosse” sta naturalmente per "commenti”, “annotazioni apposte a qualcos'altro", ma nel quartetto di Berio ciò che troviamo sono commen1i in sé e per sé. Tali annotazioni, che sembrano nascere da molte delle tecniche presenti nei quartetti di Bartok, rinviano a tanta parte della storia del quartetto d'archi. Lo sfruttamento delle possibilità sonore degli archi è cruciale in quest'opera, e la varietà degli effetti, pizzicato, armonici, glissando, oltre che stupefacente, evoca spesso un sentimento di “musica notturna”.
Glosse non abbandona mai un tono lirico, come è dato ascoltare nell’a solo di violoncello che apre e chiude a composizione. La sezione caratterizzata dalla tesa scrittura ritmica affidata a tutti e quattro gli archi ricorda gli “scherzi“ di Haydn, filtrati da Bartok, mentre la sezione in pizzicato evoca, oltre a Bartok, molti altri quartetti del Novecento che adottano una tecnica simile.
Glosse, in tal senso, è un commento sul passato e una dichiarazione rivolta al futuro. In questo modo Berio riesce felicemente a catturare lo spirito del concorso Paolo Borciani.
Philipp Gossett (trad. Roberto Fabbi)
L'Adagio, di austera bellezza, esordisce con un tema enunciato insieme dai quattro strumenti, ma al procedere del discorso, la melodia spezza il proprio cammino fra i diversi registri, in una serie di eleganti contrappunti (e virtuosistici, per il prime violino) che la avviluppano in un’onda sonora. Il tempestoso Menuetto ha ben poco a che fare con la danza aristocratica da cui prende il nome, e gli intervalli estremi, sincopati del primo violino sono tanto divertenti in se stessi, quanto (come sempre in Haydn) soggetto per ulteriori esplorazioni musicali: Beethoven avrebbe chiamato movimenti di questo tipo, “scherzi". Haydn confonde le nostre aspettative a ogni occasione. Il Finale appare come un luminoso pezzo d’intrattenimento, fino a quando il tema non risulta pronto per l'elaborazione contrappuntistica.
Circa 130 anni separano l'op.77 n.1 di Haydn dal Quarto quartetto di Bela Bartok. I sei quartetti del compositore ungherese sono giustamente annoverati fra i capolavori della musica del Novecento. Il linguaggio musicale che li caratterizza è molto diverso da quello di Haydn. I violenti pizzicato, i glissando, l’uso del "non-vibrato", della sordina, degli armonici, degli arpeggi sfruttano le diverse possibilità sonore degli strumenti ad arca. Il linguaggio armonico, senza abbandonare il sistema tonale maggiore-minore, lo spinge energicamente a esplorare misture modali, cluster, cromatismi estremi. Il linguaggio ritmico dischiude un vasto spettro di possibilità, dall’uso di rauchi ritmi di danza, alla sostanziale sospensione dell’attività ritmica (per entrambi gli aspetti si trovano precedenti nei tardi quartetti di Beethoven).
E quale forza emotiva e costruttiva Bartok mostra in quest’opera in cinque movimenti. Essi si accoppiamo in una forma ad arco attorno alla misteriosa musica notturna posta al centro, evocante richiami d’uccelli che emergono attraverso l'immobilità, gli agitati momenti d’angoscia, i brevi passaggi di tranquilla bellezza. Il secondo e il quarto movimento sono entrambi “scherzi”, l'uno affidato a tutti gli archi con sordina, l’altro in pizzicato. Benché essi suonino in modo alquanto differente, il materiale musicale che li costituisce è intimamente correlato: essendo il quarto movimento sostanzialmente una variazione del secondo.
Rapporti d’affinità sono ancora più evidenti fra i due movimenti d’apertura e di chiusura del quartetto, il principale materiale tematico dei quali è correlato in modo diretto. Il sorprendente motivo cromatico che ape il prima movimento, lo domina tutto, dappoiché Bartok ne asseconda lo sviluppo contrappuntistico (invertendolo, contrapponendolo a se stesso) e melodico. Gradualmente, esso perde parte della sua intensità cromatica e si trasforma in una figura diatonica, dotata di più melodica curvatura. Il processo culmina nel movimento finale, dove il motivo in questione dà origine a un disegno melodico compiuto con chiare radici nella tradizione zigana. E' come se Bartok avesse preso il motivo, lo avesse ridotto a una sua essenza fondamentale nel primo movimento, per poi lasciargli riacquistare la propria compiutezza all’inizio del movimento conclusivo. Ma alla fine esso ritorna di nuovo allo stato fondamentale, con una serie di gesti che richiamano direttamente il primo movimento.
Il gesto sta al centro del nuovo lavoro per quartetto d'archi di Luciano Berio, Glosse. “Glosse” sta naturalmente per "commenti”, “annotazioni apposte a qualcos'altro", ma nel quartetto di Berio ciò che troviamo sono commen1i in sé e per sé. Tali annotazioni, che sembrano nascere da molte delle tecniche presenti nei quartetti di Bartok, rinviano a tanta parte della storia del quartetto d'archi. Lo sfruttamento delle possibilità sonore degli archi è cruciale in quest'opera, e la varietà degli effetti, pizzicato, armonici, glissando, oltre che stupefacente, evoca spesso un sentimento di “musica notturna”.
Glosse non abbandona mai un tono lirico, come è dato ascoltare nell’a solo di violoncello che apre e chiude a composizione. La sezione caratterizzata dalla tesa scrittura ritmica affidata a tutti e quattro gli archi ricorda gli “scherzi“ di Haydn, filtrati da Bartok, mentre la sezione in pizzicato evoca, oltre a Bartok, molti altri quartetti del Novecento che adottano una tecnica simile.
Glosse, in tal senso, è un commento sul passato e una dichiarazione rivolta al futuro. In questo modo Berio riesce felicemente a catturare lo spirito del concorso Paolo Borciani.
Philipp Gossett (trad. Roberto Fabbi)
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