Si raccontano molte storie sui direttori d’orchestra. Alcune vere, alcune finte. Quelle finte vengono normalmente attribuite via via a personaggi da bersagliare.
Questa è finta, ma viene attribuita a molti direttori di orchestra a cui a dire il vero sta benissimo. "Ragazzi!" grida un direttore d’orchestra, appunto, ai professori che non gli danno retta nelle prove; "adesso basta! Io sono uno che viene dalla gavetta, mi son fatto da me, non ho impresari famosi, non ho mai chiesto favori ai giornalisti, ma non è il caso di sottovalutarmi! Ho più orecchio di tanti colleghi famosi! Voi disturbate la mia arte! Io sono teso ad ascoltare ogni sfumatura e per questo vi correggo, per il bene di tutti e della musica!". Si fa un istante di silenzio; ma il timpanista, sullo slancio delle parole, non resiste e batte un grande colpo sul suo strumento. Il direttore impallidisce, inghiotte; poi, deciso, guarda tutti coll’occhio offeso e duro di chi deve punire. "Ragazzi!", esclama infine. "Chi e stato?".
E questa è vera, ma non si sa il nome dell’insegnante. Comunque è al conservatorio di Mosca, non troppo tempo fa. Gli allievi del corso di direzione d’orchestra sono fuori dall’aula: dentro, il docente si ferma a parlare col primo corno. "Attento, per favore, adesso alla trentaquattresima battuta al posto di mi naturale suoni mi bemolle" Entrano gli allievi, il primo sale sul podio. Incomincia a dirigere. Alla quarantottesima battuta il docente lo ferma: "E allora, tutto bene? Non ti sei accorto di qualcosa?..." "No", risponde l’allievo, "mi pareva che tutto andasse bene." "Ecco, vedi", spiega allora il docente, "in questa professione non bisogna mai fidarsi abbastanza del proprio istinto. L’esperienza ti permetterà di farti un orecchio più fine, la sapienza del mestiere ti farà sentire tutto più chiaro, l’umiltà ed il lavoro correggeranno le tue impressioni di ragazzo inesperto. Alla battuta trentaquattro, il primo corno ha suonato mi anziché mi bemolle". Allora il primo corno alza lo sguardo, si batte una mano sulla testa e si rivolge tutto dispiaciuto al docente: "Acc.. mi scusi: me n’ero dimenticato".
Questa viene data per vera, attribuita al maestro Vittorio Gui, ma qualcheduno la conosce come aneddoto di Kussewiskij, e c'è da dire che sta bene sia al grande direttore russo di tanti anni fa che al nostro grande maestro recentemente scomparso; perché è un momento tipico di quegli artisti candidi che credono in se stessi e non lo negano... Dunque, dal Maestro che ha appena terminato il concerto con la Sesta di Beethoven si precipita in camerino una signora appassionata di musica e con l’aria rapita dice: "Maestro, come dirige Beethoven lei non lo dirige nessuno!". Il Maestro le sorride: "Ma signora, che dice? Si figuri: c'è...", e incomincia a contare sulle dita d’una mano. "C'è... no, per la verità no... C'è..., dunque, c'è..." Si ferma. "Ma sa, signora, che forse ha ragione lei?".
Quest’altra è finta, ed è famosa. Karl Böhm passeggia insieme a Leonard Bernstein ed a Herbert von Karajan. "Sono il più bravo direttore del mondo", dice ad un tratto Böhm, "difatti sono il più pagato". "No, guarda, mi dispiace smentirti", replica deciso Bernstein; "ma il più bravo sono io. Me l’ha detto direttamente Dio". Karajan che era un passo più in là sovrappensiero si riscuote, e si rivolge a Bernstein: "Scusa: che cosa ti ho detto, io?".
Nino Sanzogno è un direttore non soltanto fra i più dotati di natura, ma fra i più ricchi di aneddoti. Quand’era violinista, per esempio, provocava situazioni curiose. Una volta, il direttore in una cittadina di provincia voleva il famoso attacco degli archi nel quarto atto della Traviata piano, pianissimo, sempre più piano, e s’arrabbiava molto perché i violini dell’orchestra, tra cui era Sanzogno, suonavano sempre con troppo suono. Alla recita, all’attacco del quart’atto s’udì come soltanto un pallido "swsccc", si vide il direttore agitarsi paonazzo, e poi l’esecuzione fu interrotta per alcuni minuti. Nell'intervallo, i violinisti avevano spalmato il sapone sulle corde dei loro strumenti. In altra circostanza, volle mettere alla prova De Sabata, famoso per il suo orecchio, e suonò una nota mezzo tono sopra per vedere se il maestro sentiva la piccola stonatura in mezzo agli altri violini che suonavano intonati. Ma De Sabata continuò tranquillissimo. Dopo un po’ disse: "Intervallo. Fra dieci minuti ci ritroviamo. E se quel disgraziato là", continuò, puntando l’indice su Sanzogno, "fa di nuovo apposta a suonare do diesis invece di do, gli rompo la testa".
Esistono anche direttori che ironizzano su loro stessi. Il grande maestro inglese Thomas Beecham lo faceva con uno squisito humour assurdo. Dopo un concerto con il famoso pianista Alfred Cortot gli domandarono com’era andata: "Vedete?", rispose, "lavoravamo tutti e due a memoria, ma ne avevamo poca. Abbiamo incominciato col concerto dell’Imperatore di Beethoven, poi siamo passati a Cajkovskij, poi credo proprio a Schumann; certamente abbiamo finito con Grieg ".
E poi esistono le orchestre dove si lavora con qualche disorganizzazione. A Napoli, si dice, non molto tempo fa, un famoso direttore udì che nel settore dei clarinetti qualche cosa non andava. "Clarinetti soli", impose; e loro eseguirono. "Solo lei", chiese allora ad un clarinettista. Questi, calmo, gli sorrise: "Ecco, Maestro, veramente, ’o clarinettista vero è mio fratello. Ma siccome oggi sta impedito, ha mandato me dicendo: va e fa come se suonassi, chissà che non sia meglio che niente". Sara vero? I napoletani sono gente di grande fantasia. Quattro anni fa, Riccardo Muti, che provava in un caldo pomeriggio una sinfonia giovanile di Bellini, provò a vincere l’inerzia dell’ora, spiegando: "Pensate, questa sinfonia fu scritta da Vincenzo Bellini quando aveva solo diciassette anni...". Dall’orchestra gli arrivò allora una voce, stancamente: "Per questo stava scarso". Naturalmente, all'esecuzione tutti suonarono al meglio dell'entusiasmo.
Infine. C’era un famoso direttore che aveva fama ed aria di bell’uomo, ma era un po’ complessato da un grandissimo naso. Tutta l’orchestra e tutto il personale del teatro sapevano di dover evitare ogni allusione. Proibite anche le frasi che alludessero: non si parlava di fiuto, non si doveva dire per esempio "a lume di naso". Durante tutto il tempo delle prove, tutti si controllarono benissimo, l’ossessione era un poco nell’aria, ma alla fine stava ormai per svanire. Dopo l’ultima prova, il maestro ringraziò i professori d’orchestra e posò come era solito la bacchetta sul leggio, e lasciò il podio, attraversando l'orchestra. Allora l’inserviente ebbe un dubbio: avrebbe dovuto, per il concerto della sera, fargli trovare la bacchetta in camerino o sul leggio? Rapido, fermò gentilmente il direttore: "Maestro, mi scusi, la bacchetta questa sera, la vuol portare lei, o gliela faccio trovare io sotto il naso?".
("Musica Viva", n.2, Anno I, novembre/dicembre 1978)
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