Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, settembre 22, 2021

A colloquio con Vladimir Delman

Vladimir Delman (1922-1994)

Il settantenne direttore d'orchestra sembra voler trasfondere l'ardore che infiamma le sue interpretazioni nell'attività didattica: "Con i giovani si impara a comprendere meglio l'impatto con la musica".

A vederlo, sembra 
una creatura di fiaba, un folletto magico da un racconto di Hoffman. Piccolo, accigliato ma tenero, gli occhi che scintillano fulgore e passione incorniciati da una folta barba bianca, simbolo di saggezza. E invece Vladimir Delman, settant'anni immersi nella cultura e nel teatro, è un piccolo gigante della musica: padre fondatore del Teatro dell’Opera da camera e docente dell’Istituto d’Arte Teatrale di Mosca, nativo di San Pietroburgo ma cittadino italiano da quasi vent'anni, promotore di iniziative meritevoli (dal Teatro-Studio quando governava il Comunale di Bologna al concorso per direttori "Arturo Toscanini" di Parma) gratificate dal Premio Franco Abbiati, pochi anni fa. Lo dipingono come un irascibile e ruvido dittatore d’orchestra, ma dietro quella maschera c’è uno schietto e genuino fustigatore di una malattia musicale contagiosa, il lassismo parasindacale dei complessi sinfonici, aggravata dalle congiure burocratiche e dallo spreco di denaro pubblico.
Non deve essere stato facile per un musicista della vecchia guardia come lui riportare sull'onda giusta l’Orchestra della Rai di Milano in un periodo così travagliato, fra tagli di organici e amputazione del coro, liquidato senza troppe titubanze.
Eppure, adesso il connubio musicale sembra giunto al capolinea e, con buona probabilità, si profila un divorzio. Oggetto del contendere è la nuova, scintillante Orchestra Sinfonica "Giuseppe Verdi": una milizia di un centinaio di giovanissimi strumentisti, giunta da tutta Italia e con qualche innesto europeo, felicemente battezzata al Conservatorio di Milano, il 13 e 14 novembre. Un’iniziativa benemerita, si sarebbe detto, visto il desolante panorama nazionale. E invece apriti cielo! Fra ripicche, invidie e gelosie l’avvio è stato più polemico che propiziatorio. Gli strumentisti Rai hanno gridato al tradimento, qualche polemista ha tacciato l’orchestra "Verdi" di acidità interpretativa, come se non ci volessero anni, invece di settimane di lavoro, per raggiungere la piena maturità artistica. Eppure è stato bello avvertire l'entusiasmo dei giovanissimi, dopo l’esecuzione della Fantastica di Berlioz. E' stato bello sentire la compattezza degli archi e la dolcezza degli interventi solistici. E' stato incoraggiante sapere di prove che si protraggono fuori tempo massimo, senza il ricattatorio assillo sindacale. E sono confortanti le parole di Delman: "Vede, non si tratta di una novità assoluta, a Bologna ero riuscito a organizzare un laboratorio di perfezionamento che riuniva direttori, cantanti e registi. Forse erano tempi diversi dai nostri: l'Orchestra del Comunale aveva accettato di sopportare l'inesperienza dei giovani direttori, facendo pazientemente tutto il necessario per aiutarli. Qualche anno dopo a Parma, con l'Orchestra Toscanini, mi riuscì molto di più: fu creata un'orchestra di giovani che venivano da tutto il mondo: americani, polacchi, cechi, russi e naturalmente italiani. Fu un'esperienza interessante che mi ha lasciato un ricordo molto intenso. Tutto questo non è mai avvenuto casualmente, perché ho sempre creduto nell'attività didattica come a un completamento del lavoro artistico. A Milano ho sofferto moltissimo di non poter realizzare qualcosa del genere: appena approdato alla Rai, ho subito posto il problema, i soldi andavano a finanziare iniziative diverse. Io volevo che un certo periodo dell'attività fosse dedicato ai corsi di perfezionamento: lavorando con i giovani si impara a comprendere meglio l'impatto con la musica, ognuno può capire di più e trarne un vantaggio. Ma questa che per me è una necessità organica, mi è stata negata da entrambe le parti, sia dai dirigenti che dall'Orchestra".
Tre anni fa Delman chiese e ottenne dal direttore della Rai, Biagio Agnes, di realizzare una serie televisiva intitolata Le sei magnifiche, prodotta da Raiuno (trasmessa a dicembre in Tv) e dedicata alle sei Sinfonie di Caikovskij, facendo lavorare le orchestre giovanili dei Conservatori di Pittsburg, di Mosca e di Milano. "Un'operazione appoggiata con grande entusiasmo da tutti, a differenza di quest'ultima. Si pensò anche al progetto di riunire le tre orchestre, facendo eseguire la Terza Sinfonia di Mahler. Sembrava tutto risolto: date, finanziamenti, problemi pratici. Ma io mi sono ammalato e la cosa non si è fatta. Adesso siamo ritornati ai vecchi ideali, con modalità diverse, per arricchire il capitale culturale milanese e italiano, carente sul piano giovanile. Sin dall'inizio, questa orchestra è stata pensata per affrontare un problema didattico, sia per i direttori sia per i cantanti e i registi. A livello europeo abbiamo dei progetti di ampio respiro: vorremmo creare un centro di perfezionamento professionale per direttori, aperto a diversi docenti, che possa svolgere dei corsi: una sorta di laboratorio che sviluppi la "cultura" direttoriale, traducendo libri e manuali, approfondendo il lavoro di conoscenza. Questo sarà il prossimo obiettivo, sempre che riusciremo a sopravvivere".
Poi azzarda un giudizio sulla preparazione complessiva dei "suoi" fanciulli. "Vede, al momento il livello professionale è mediocre. Ma la mia idea non è cambiata: i musicisti italiani, per diversi motivi, non hanno gli strumenti adatti per arrivare a grandi risultati, ma posseggono una natura ricchissima. Sono ragazzi spaventosamente bravi, in grado di affrontare un repertorio tecnicamente superiore alla loro preparazione e alla loro maturità umana. Io sono convinto che gli italiani siano eccezionalmente adatti a fare questo mestiere. Eccezionalmente, ripeto, meravigliosamente dotati. E' solo la natura. I russi sono adatti agli scacchi, per esempio. Certo, manca la disciplina, mancano gli insegnanti giusti. Ma quando io dico che sono "mediocri", voglio far capire che le migliori orchestre non sono fatte dai grandi solisti: può essercene qualcuno, ma l'importante è il livello generale, la potenzialità d'insieme che qui esiste. Non può negarlo nessuno. Hanno scritto che noi proviamo per due mesi. In realtà le prove durano soltanto tre settimane, una a sezioni e due con me. In tre settimane non si fa un'orchestra, ma con il tempo possiamo riuscirci. Ammiro e amo moltissimo questi ragazzi, lavoro tanto volentieri con loro nel mio tempo libero. Mi commuove la loro capacità di capire il fraseggio finissimo, anche per certe musiche che non sono troppo vicine alla loro sensibilità. L'entusiasmo finora esiste. Ma c'è bisogno che questo entusiasmo cresca: voglio che in futuro questi giovani possano provare sul palcoscenico un brivido speciale, quello che in altre professioni non esiste".
Gli obiettivi e i traguardi sono molto ambiziosi, basta scorrere i programmi che vanno da Berlioz a Mahler, da Prokovief a Shostakovich: "L'alto profilo delle partiture è superiore alle nostre forze, indubbiamente. Ma nonostante la mancanza d'esperienza, il successo e l'accoglienza del pubblico ci dicono che siamo sulla buona strada. Certo, non basta fare in modo pulito la propria parte, bisogna che ciascuno di loro abbia la concentrazione giusta e il rispetto per il lavoro di tutti, che sacrifichi agli altri la sua personalità. Suonare in orchestra richiede una grandissima arte, che non ha nulla da invidiare alle difficoltà di un quartetto da camera. E' importante anche che tutti arrivino alle prove conoscendo bene la loro parte, cosa rarissima in Italia: in caso contrario impiegheremmo anni, non giorni, per fare la Quinta di Mahler".
Poi il discorso cade sulle note dolenti: "In Russia, quando ho cercato di fare qualcosa di simile, il potere voleva distruggerci, ma la gente stava dalla nostra parte. Qui vorrei sbagliarmi, ma qualcuno non ha capito lo spirito dell'iniziativa".
Forse la Rai si sente un'amante tradita, proviamo a domandargli. La replica è quasi uno sfogo: "Qualsiasi cosa debba succedere, io auguro all'Orchestra Rai un futuro migliore di quello avuto sinora. Ho fatto di tutto per accrescere l'attenzione del pubblico, abbiamo avuto dei concerti in cui tre o quattrocento persone non sono riuscite ad entrare. Questo non succede casualmente. Io credo che con un maggior interesse da parte della struttura artistica e amministrativa il successo avrebbe potuto fruttare molto di più. La mia nuova iniziativa non ha scatenato invidie, ma piuttosto può aver pesato l'incertezza del destino per gli orchestrali, persino la disinformazione. Adesso, può darsi che io sia uno stupido, ma la mia coscienza è tranquilla. Tradire un'amante vuol dire abbandonarla: finora io questo non l'ho mai fatto. Per il concerto d'apertura ho lavorato sulla Seconda Sinfonia di Mahler come un negro, senza mai vedere, in due settimane di prove, un dirigente. Ebbene, se questo vuol dire tradire un'amante, allora io sono un traditore".
Luigi Di Fronzo
("Amadeus", Anno VI, numero 2 (51), febbraio 1994)