Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, dicembre 01, 2021

Alcune considerazioni sull'orchestrazione moderna

Se Vittorio Ricci, morto pochi anni dopo aver pubblicato il suo 
rinomato trattato sull'0rchestrazione, rinascesse a distanza di quarant'anni, avrebbe di che rimanere sorpreso dinnanzi all'orchestra moderna.
Le sue impressioni; credo, sarebbero fondamentalmente positive per quanto riguarda sia la resa degli strumenti che la ricchezza della orchestrazione.
Oggi, in generale, si strumenta bene. A ciò ha contribuito sia la maggior pratica (ossia la maggior possibilità di contatto diretto col suono) da parte dei compositori, sia la concorrenza (o l'esempio) di certi arrangiatori transoceanici, sia la consacrazione in orchestra di parecchi strumenti ritenuti, sino a poco fa, d'uso eccezionale, che hanno arricchito la tavolozza di timbri e di colori.
Ai tempi del Ricci addirittura l'Arpa era considerata eccezionale. Il vibrafono, nel suo trattato, non esisteva. Oggi celesta, campanelli, xilofono, campane, pianoforte, sono divenuti quasi normali. Gli strumenti a percussione poi, anche per influsso del jazz, sono aumentati a dismisura, fino a comprendere temple-block, wood-block, tom tom, tumba, guiro, ecc..
Sono inoltre abbastanza usati, pur restando d'impiego sporadico, il mandolino, la chitarra, la fisarmonica, il saxofono, le Ondes Martenot, la sega, l'organo Hammond, il clavicembalo, il flauto à coulisse.
Ad ogni modo, se al cospetto di questa doviziosa policromìa di chimismi sonori il nostro Vittorio Ricci avrebbe oggi da restar sbalordito, non so per contro quali potrebbero essere le sue reazioni di fronte al capovolgimento di certe proporzioni foniche, all'alienazione di certe strutture, alla pratica di certi impasti tra famiglie non omogenee. E ciò perché la tecnica, in questo quarantennio, ha sviluppato (e talvolta violentato) le cosiddette leggi naturali attraverso un graduale processo, da noi stessi seguito anno per anno, secondo princìpi di correlazione e di necessità contingenti.
Chi avrebbe immaginato, ad inizio di secolo, gli assoli di Tuba di Strawinshy o di Petrassi, galleggianti sopra le armonie degli ottoni principali? L'emancipazione dei contrabbassi dal raddoppio coi violoncelli o coi fagotti? I brividi enigmatici degli archi) dimissionarii per quanto riguarda la funzione di strappa-cuori, e sprizzanti trilli in Bartók, armonici in Ravel, pizzicati sul ponticello in Schönberg, tremoli sulla tastiera in Webern, arabeschi ad intarsio in Ghedini, martellatí e picchettati in Strawinsky?
Chi avrebbe immaginato gli accordi eolici di Salzedo sull'arpa, i passi di agilità degli ottoni in Milhaud, dei legni in Schönberg e Strawinsky, e i nitriti delle trombe, e il russare dei contrabbassi, e i vagiti degli oboi, e le risate dei saxofoni, e le picchiate dei clarinetti e il mitragliamento della sola percussione, insomma tutta l'effettistica moderna?
Chi infine avrebbe immaginato la frattura ritmica e la sillabazione sussultoria di tutta l'orchestra nel puntillismo postweberniano?
Una volta la maggior preoccupazione dell'orchestrale era quella di contare le battute d'aspetto tra frase e frase, tra kolon e kolon. Adesso chi suona in orchestra deve possedere una costante facoltà di controllo delle pause esistenti tra nota e nota, incastonate il più delle volte (vedi Stockausen, Boulez, Nono, Maderna, Berio) in ritmi di natura sovrabbondante (7 su 4, o 5 su 2), tali pertanto da esigere unitamente ad una padronanza delle suddivisioni un'assoluta immediatezza di emissione del suono.
Anche la pratica strumentale ha subìto una sua rivoluzione.
Quanta strada dal principio wagneriano (che era ancora quello del Ricci) di «trattare i diversi gruppi di strumenti in modo autonomo col dare a ciascuno di essi un'armonia completa!››.
Oggi ogni strumento ha consentito la sua patente di individuazione e la sua autonomia. Si è responsabilizzato. Non esistono più strumenti dl ornamento e strumenti di fondamento. Il 4° Corno può essere più importante del 1°, i secondi violini non sono più vassalli dei primi, nè da un punto di vista di rilievo nè in relazione alla zona d'azione.
Tutto ciò, nel grande consorzio orchestrale, è molto bello. E' una specie di conquista democratica che indubbiamente va salutata con gioia.
Però comporta un grosso pericolo.
L'Ombra del vecchio Ricci, ora tutta raggomitolata in se stessa, mi sta chiedendo: una volta ridotti tutti gli strumenti a denominatore comune, unificate le frequenze come quelle della luce elettrica, aboliti (o quasi) i raddoppi, violata la legge dello sposalizio tra suoni di timbro omogeneo, saranno in grado tutti i compositori di controllare questi spruzzi di suoni balenanti nei varii registri degli strumenti in modo che, sia per quanto riguarda la rispondenza fonica che per quanto riguarda la logica e l'ordine interno, essi costituiscano un tessuto compatto e compiuto, dove tutto abbia un carattere di necessità, senza che il caso (o il caos) prenda il posto della coscienza?
Come su tutte le conquiste della tecnica anche sull'orchestrazione moderna pesa il pericolo dell'assorbimento del soggetto nell'oggetto, giacchè ogni sviluppo scientifico può produrre parimenti prodigi e catastrofi a seconda se lo si pone al servizio del bene o del male.
Luciano Chailly
("Rassegna Musicale Curci", anno XVI n. 3-4 giugno-agosto 1962)

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