"Se la maggiore conquista del romanticismo tedesco - scrive Antonio Capri - era stata l'esplorazione e la scoperta del potere espressivo dell'armonia, dell'emozione armonica, del cromatismo, la conquista iniziata dall'arte russa e compiuta dall'impressionismo francese fu invece la graduale penetrazione dei magici reami del colore, delle atmosfere e degli ambienti sonori. da cui nacque tutta una nuova estetica, interprete dei più fuggevoli moti dell'animo, delle più arcane sfumature di vita interiore. Ma, anche quando con Debussy il predominio musicale passò alla Francia, alla Russia restarono due artisti altamente significativi che, assimilando tutti gli apporti della cultura occidentale, hanno vigorosamente incarnato ed espresso nella loro arte gli aspetti contrastanti del carattere e dell'anima russa: il misticismo e il materialismo, lo spiritualismo ardente e l'energia vitale, l'anelanza al divino e la sete del terrestre. Questi artisti sono Skriabin e Stravinsky."
Si è voluto stralciare dagli scritti di Antonio Capri questo giudizio di sintesi su uno degli aspetti della musica europea a cavallo fra i due secoli, perché non ci sembra inutile ricordare che, malgrado la presenza, in Russia, di due musicisti della importanza di Skriabin e di Stravinsky, i trenta anni che uniscono, o dividono, l'Ottocento e il Novecento - anni pieni di fermenti novatori e consci drammaticamente della grave crisi delle coscienze europee - vedevano, in Russia, quali musicisti rappresentativi proprio compositori epigoni, vaganti in un anonimato stilistico fatuamente classicheggiante ed accademico, come Alexander Glazounov, Nikolai Medtner e Sergey Vassilievich Rakhmaninov.
Dopo il «Gruppo dei Cinque» - e, a parte, Tchaikowsky - la Russia, viceversa, aveva ancora un suo inserimento «europeo›› con le opere originali e precorritrici di Skriabin - prematuramente scomparso - e con le altre poderose e geniali, sbalorditive e sconvolgenti, talune volte anche duramente aggressive, di Igor Stravinsky. Il quale, sia per l'altezza dei raggiungimenti estetici conseguiti, sia per la poliedricità e mutevolezza assolutamente inedite della sua personalità, sia, infine, per la lunga «presenza» anche fisica nel nostro tempo, verrà giustamente ad imporsi come un dominatore del gusto. Il più forte - quando non prepotente -, il più audace e il più discusso del 1900.
Compie egli ottant'anni, oggi, e ancora sorprende e affascina, e qualche volta disorienta e delude. Ma, la forza della sua personalità è tuttavia incisiva e tagliente, se pur scarnita, con sempre salda una ragione morale del suo manifestarsi.
Igor Stravinsky, il compositore più fortunato e seguito del Novecento, è anche quello sulla cui opera si sono esercitate, a seconda con competenza e non, spassionatamente e con spirito agiografico, stupidamente ostili e poveramente inani, le penne di tutti i critici e musicisti del secolo. Anche in reazione agli scritti da Stravinsky stesso licenziati alle stampe come la Poetica della musica, troppo personale per essere presa criticamente sul serio da un punto di vista di conquista obiettiva, e i più interessanti volumi delle Cronache della mia vita.
Scritti, andrebbe detto una volta per tutte, inevitabili e preziosi - discutibili, magari, quanto si voglia - perché Stravinsky è uomo e musicista moderno, nel senso più vasto e comprensivo dei termini. «E, mo-
derno - ci suggerisce Franco Abbiati - vuol anche dire spietatamente nudo, confesso, propagandistico.››
La musica e gli scritti di Stravinsky han dato adito ad una serie di formulazioni critiche tutte mutevoli e tutte all'un tempo valide: e, più che valide, legittime, perché di volta in volta originate dalla nuova posizione del Maestro, dalla nuova conquista sua e di esse indicative.
Orientale ansioso di ricerche e inebriato di movimento; barbaro dalla coscienza asiatica temprato al calore della tradizione letteraria storica e culturale d'Europa; slavo mistico; esteta elegante cristallino e profanatore; musicista neoclassicamente orientato; artista cosmopolita, europeo russo-parigino; retore antiretorico; antiromantico antisentimentale e antipatetico. Ancora: antipoesia e disumanizzazione; misticismo e primitivismo; elementarietà di una fantasia intimamente russa; istinto religiosità e verginità dell'anima slava accomunati al più raffinato prodotto di una cultura estetica occidentale che gli si oppone; oggettivismo creativo; raffinatezza moderna; ritmica polimorfica e travolgente; arte musicale cubista; linguaggio musicale incoerente, beffardo e cinico; anima infiammata che non esita a manomettere e a far suo tutto ciò che gli aggrada.
Volendo, si potrebbe proseguire. E, riserve a parte per quanto di eccessivo esclusivo ed assolutistico ogni giudizio contiene, nessuno degli assiomi qui sparsamente riportati andrebbe sconfessato, ognuno rispecchiando un aspetto della personalità stravinskyana.
Una personalità che conosce una sua autoeducazione quant'altre mai profonda e volitiva se pure apparentemente instabile e capricciosa.
Dalle emozioni iniziali del canto sfiatato e gutturale d'un contadino russo sordomuto alle prime letture di spartiti d'opera al pianoforte. Dalla conoscenza appassionata, negli anni verdi, di Glinka e Tchaikowsky alla scoperta di Glazounov e di Gounod, di Bizet e di,Delibes, di Chabrier e di Rimsky Korsakov. Dalle assimilazioni di Musorgskji a quelle wagneriane e debussyane; dal barocco händeliano al rigore della plastica linea bachiana. Dalla potenza seducente di Mozart alle acquisizioni di Pergolesi. Dal fascino dell'ethnos russo ai capziosi ritmi negro-americani. Dalla tradizione vocale e polifonica italiana delle scuole romana veneziana e napoletana all'incanto dell'opera verdiana. Da Borodin a Weber da Schubert a Chopin. Poi, dal serialismo a Schönberg.
E, tutte le forme di danza e tutte le combinazioni ritmiche.
Il genio potentemente assimila da ogni dove e dall'incontro delle due culture - quella russa e l'altra europea e, più ancora, parigina - l'urto dei due mondi. Diaghilev e Cocteau, Picasso e Gide e Ramuz: per non dire che dei protagonisti.
Questo artista eclettico e cangiante, che ad ogni opera nuova sembra avallare il giudizio miope di quanti, non potendo né sapendo dire altro, lo accusano di incoerenza e di mancanza di potere stilistico unitario, è viceversa uno dei compositori più coerenti e schietti che abbia avuto ed abbia il nostro secolo. Se, per coerenza si intende il saper essere sempre sé stessi e, per onestà, dire solo ciò che si sente, giustamente o no, più o meno felicemente.
«Quando i suoi ammiratori credono di seguire la sua direzione, egli la muta. Stravinsky cammina infallibilmente verso un assoluto che si sposta di continuo. Di là i zig zag, la civetteria scheletrica della sua andatura, e l'apparenza occasionale delle sue opere.›› Così Bruno Barilli, il quale aggiunge: «Considerato il capo delle teste di traverso, la sua invece sta ben dritta sulle spalle. Egli ha messo di traverso le teste di una gioventù che non saprebbe che farsene della fronte alta. Costoro lanciano fra le gambe del clavicembalo dei petardi umidi e pieni di noia - sotto le fetide esplosioni la Sorte rimane inerte. Stravinsky, al contrario, inganna risolutamente la noia: contorno netto, aria preziosa, freschezza di minerale, spirito di casta aristocratico, equilibrio liberatore, grandezza greca e coraggio di leone... Ecco i doni di questo Orfeo in pigiama.››
Con la testa ben dritta sulle spalle, dunque, ogni nuovo lavoro Stravinsky considera «come un incitamento alla differenziazione della tecnica, per cui egli ricerca sempre nuovi effetti espressivi e volta per volta, collegati con questi, nuovi tentativi nella struttura della forma e nell'amalgama degli strumenti.››
Ecco, spinta emozionale a parte, la premessa «musicale» di ogni manifestazione della poetica di Stravinsky. Esemplificata, dunque, questa premessa - dallo stesso Musicista chiaramente denunziata - su un piano di legittimità musicale, resta giustificata ogni posizione di Stravinsky, cui va fatto un solo addebito: quando occorre, di non cogliere nel segno. Del che, naturalmente, la ragione non è nel mutato atteggiamento formale. Formale, notisi, e non stilistico, perché il potere dello stile nel Maestro russo è assoluto e chiaro, alto e sintetizzatore, anche quando non sembri.
Uno stile che saprà unire una tematica tra le più varie e poliedriche, tutta riflessa in un «iter » musicale che va dai Feax d'artifice all'Oiseau de ƒeu, dal Petruchka al Sacre da Primtemps, dal Renard a Les Noces e che arriverà, con una dialettica vigorosa quando non polemica, alla Histoire du Soldat e ad Oedipus Rex, all'Apollon Musagete ed alla Sinfonia di Salmi, incessantemente, sino al The Rake's Progress, al Canticum, ai Threni ed oltre.
Dalle irresistibilmente inedite combinazioni timbriche dei Feux d'artifice, dunque, alla potente dinamica strumentale ed al colorismo orientale dell'Oiseau de feu. Dalla lineare tagliente plastica del Petrouchka alla rivoluzionaria e travolgente vita ritmica armonica e timbrico-orchestrale del Sacre du Primtemps. "Il senso musicale di Stravinsky è vita ritmica", scrive il Pannain, e, qui, nel Sacre, il ritmo, ancora coloristico in Petrouchka, è ormai sostanza soluta, sintesi e sostegno di realtà estetica, «un battito pulsante, soggiunge Abbiati, su cui si erige il blocco gigantesco dell'opera.» La quale, prosegue, nel suo barbarico e istintivo contenuto ideale, conserva un oscuro aspetto, tragico, com'è di gran parte della produzione stravinskyana intonata al pessimismo russo.
Quel pessimismo che era già la ragione della sgraziata ironia della beffa grottesca e del carnevalesco di Petrouchka: dove, come sempre nel migliore Stravinsky, tutto è risolto in musica. Una musica dagli «scurrili segni sonori››, dei quali la radice è, tuttavia, radice amara.
«E' l'estremo dolore dell'uomo d'Asia - così pensò il Fleischer - delineato in arabeschi, il dolore russo primitivo che si esprime nell'odierno linguaggio europeo: il punto interrogativo che la marionetta russa Petrouchka pone sulla vita, sulla propria esistenza asservita e derubata. S'annuncia per la prima volta in Petrouchka quella tragica scurrilità che ha più tardi, nella seconda Suite, la sua estrema impronta. L'uso di marcia, valzer, polka, galoppo, svela il tragico aspetto di un passato ormai in disfacimento.››
Dopo il Sacre, il mondo russo è ancora nell'ethnos stravinskyano, e sarà la volta de Les Noces: sacralità ed umanità, semplicità e brutalità, poesia e dolore, ansia, altezza quasi sublime e religiosità misteriosa sostanziate d'istinto e d'assurdo, in una sconfinata grandezza di contrasti primigenii: le ragioni morali di quest'altra grande opera stravinskyana.
L'«iter›› è proseguito, inesauribilmente: l'Histoire du Soldat, opera come Les Noces profondamente umana, nella quale, osservò il Fleischer, «il violino del Soldato impersona la cantante anima dell'individuo, spiaccicata dal brutale diabolico nudo rumore ritmicizzato di un'orchestra a percussione.›› Qui, il Soldato sembra anticipare Tom Rakewell del posteriore Progress, per quella comune immanenza drammatica, quando non tragica, di una realtà più forte della propria natura che angoscia e opprime e procede, autonoma, irriguardosa dell'amore e del dolore dell'uomo.
Poi, Oedipus Rex: opera eticamente cruciale, musicalmente composita e teatralniente allucinante, miticamente rivissuta in prima persona dopo una trasposizione moderna della tragica vicenda ellenica. Ancora: chiarezza strumentale e ritmica dello Apollon Musagete e la nobile lucidità religiosa, puramente arcana, della Sinfonia di Salmi. Il sentimento di elevazione ha, qui, un ritmo costantemente ascensionale e purificatore, sorretto dall'arte del Maestro, che riduce al minimo i mezzi di espressione, sempre sedotto dalle antiche emozioni timbriche. Quasi a riflettere, anche nella parsimonia strumentale, l'umiltà di un'anima in anelanza del divino.
L'attività creatrice stravinskyana non conosce soste, anche se non ignora le cadute. Dopo la Sinfonia di Salmi, riallacciandosi al Pater noster del 1926, è la volta del Credo e dell'Ave Maria, per voci sole; della Perséphone e di Jeux de cartes, e, mano a mano, traverso una evoluzione costantemente mutevole della poetica e traverso la composizione di opere sinfoniche e orchestrali tipicamente classiche, dopo l'Orpheus, il Maestro russo sarà alla sua prima vera opera di teatro: The Rake's Progress.
Prima ed unica, sinora, perché - Mavra e Histoire du Soldat a parte - qui il Musicista è alle prese, per la prima volta, con un vero e proprio «libretto››, che egli rivive melodrammaticamente: cioè, rifacendosi agli spiriti dell'opera settecentesca, tutta arie recitativi e concertati.
Tutto e nulla, si disse a suo tempo del Progress: forse a ragione. Tutto, per i raggiungimenti estetici, per le ragioni morali e per l'umanità - sia pur beffarda ed equivocamente oscura - dei personaggi. Nulla per l'esasperazione del subiettivo oggettivismo della poetica stravinskyana, carattere formale costante del lavoro, qui sconfessato dai risultamenti musicali.
Comunque, con o senza ciò, Tom Rakewell, a parer nostro, è da ritenersi un personaggio acquisito al teatro musicale del Novecento: quel Tom Rakewell che è già nel Soldato ormai lontano. L'immanenza ineluttabile di una condizione di dramma, il quale, a sua volta, registra ancora una sconfitta della esistenza del singolo, schiacciata dalla vita collettiva, in tragico divenire.
Comunque, in ogni dove nella produzione stravinskyana, la presenza di questa condizione è premessa di una realizzazione di inconfondibile significato e di esistenziale ansia: che si risolve in valori di una musica sempre modernamente atteggiata e drammaticamente e attualmente viva, anche quando non sembri. Una musica dalla più chiara radice russa, talune volte più per i requisiti etici che per quelli strettamente musicali.
«Je ne vis ni dans le passé ni dans l'avenir. Je suis dans le présent››: così ebbe a scrivere Stravinsky, e, l'affermazione ormai lontana - che valeva a troncare alcune delle più miopi endiadi sofistiche, pseudo-critiche, formulate sulla problematica personalità dell'artista russo - sembra reiterarsi senza posa e senza uguaglianza, di volta in volta, ad ogni nuova stagione musicale del Maestro, ad ogni sua nuova creazione.
Artista sommo, di scattante genialità, di polimorfica fantasia, di inesauribile estro, Igor Stravinsky tocca il traguardo degli ottanta anni, proseguendo ininterrotta la sua pratica di compositore.
Egli, musicista, unico nel XX secolo, che sembra divertirsi ancora oggi, come da sempre, ad abusare della sua posizione di «primo della classe»: una classe, ahinoi!, ormai quasi deserta.
Tragicamente beffardo, gagliardamente conscio di sé e d'altrui, testardo, polemico, pochi volutamente gli strumenti del suo mestiere, umile artigiano attraversato da aneliti mistici e fremiti di religiosità non vaga.
Come un punto interrogativo ormai sulla sua produzione. Ma in testa a tutti, ancora, con buona pace dei suoi detrattori, cui vorremmo sommessamente ricordare l'impresa delle armi di un Nobile di Spagna: "più gli togli, più è grande".
Manlio La Morgia
("Rassegna Musicale Curci", anno XVI n. 5-6 ottobre-dicembre 1962)
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