Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, gennaio 01, 2022

Verdi e il suo Quartetto d'archi

In data 22 marzo 1873 Giuseppe Verdi da 
Napoli così scriveva all'amico Opprandino Arrivabene: "In quanto ad Aida, mi pare prudente sorvegliare l'esecuzione, soprattutto qui a Napoli, ove non si capisce nulla, assolutamente nulla, precisamente come a Roma". "Aida", andò in scena al San Carlo il 31 marzo, con notevole ritardo sulla data prevista, causa un'indisposizione della protagonista Teresa Stolz.
Il giorno seguente sul giornale "Il Popolo" si potevano leggere queste parole: Accasciati, per così dire, sotto l'impressione immensa che ci ha destato quel capolavoro ch'è l'Aida, non sapremmo quest'oggi proferire altro giudizio se non che forse difficilmente potremo in vita nostra assistere all'audizione di un'altra epopea musicale come questa. Il delirio del pubblico fu continuo e crescente. Le 37 o 38 chiamate unanimi colle quali l'illustre maestro Verdi fu chiamato alla ribalta dimostrano come il pubblico di eri sera assistesse ad un grande avvenimento musicale. E tale fu infatti, chè l'inappuntabile esecuzione orchestrale e quella bellissima e pregevolissima della parte vocale diedero alla prima di "Aida" tutta l'importanza di un grandioso ed artistico fasto musicale.
Gli attori Patierno, Miller, Collini e Monti e le signore Stolz e Waldman dimostrarono tutte le gradazioni del loro bel canto, tutta la passione da cui erano dominati ed infiammati, tutta la potenza drammatica di cui si sentivano ispirati e questo assieme, unito alle sfolgoranti bellezze della musica, fu ciò che stabilì quella misteriosa e magica catena, che faceva palpitare tanti cuori, che teneva assorte tante menti, che infine faceva prorompere in quelle grida entusiastiche e frementi, in quegli applausi unanimi, incessanti, fragorosi e deliranti.
Ed ecco come Verdi giudicava la superba esecuzione del Teatro San Carlo in uno scritto al Arrivabene: "non t'ha detto il vero chi ha fatto troppo lo schizzinoso sull'esecuzione dell'"Aida" a Napoli. Nulla vi è di perfetto, ma questa esecuzione fu nel complesso migliore di quella di Milano e di Parma. Orchestra superiore alle altre due. Cori soltanto inferiori a quelli di Milano".
Verdi, felice per il trionfale successo della sua "Aida", doveva attraversare un periodo di vera euforia, se nella stessa lettera all'Arrivabene dava questa assolutamente inimmaginabile notizia: "Ho scritto proprio nei momenti d'ozio di Napoli un quartetto, l'ho fatto eseguire una sera in casa mia senza dargli la minima importanza, e senza fare inviti di sorta. Erano presenti soltanto sette od otto persone solite a venire da me. Se il quartetto sia bello o brutto non so... so però che è un quartetto".
Verdi ha scritto un quartetto!! Verdi, che aveva sempre considerato questa forma d'arte come "espressione di germanesimo, che avrebbe finito con lo snaturare la nostra musica". Verdi in continua polemica con il giovane scapigliato Arrigo Boito, con Franco Faccio, con l'autorevole critico musicale della "Perseveranza" Filippo Filippi instancabili paladini della diffusione in Italia della musica classica e romantica tedesca. Verdi, che aveva rifiutato la presidenza onoraria della "Società del Quartetto" di Milano ed ancora Verdi che in una sua lettera con cui rifiutava la presidenza della neocostituita "Società orchestrale della Scala" offertagli dal Faccio, così scriveva: "Sono dolente di non poter accettare l'onorevole titolo. Come ben sanno, io sono alieno per natura da questa sorta di incombenze e tanto più ora nel caos di idee, in cui tendenze e studi contro l'indole nostra, hanno travolto l'arte musicale italiana. In questo caos, dal quale può sortire benissimo un mondo nuovo - non più nostro - ma più facilmente il Nulla, io non desidero prendervi parte alcuna".
L'anno seguente (1880) accetta dimostrativamente la presidenza della "Grande Accademia Palestriniana" promossa dalla Società musicale romana. Ed ancora Verdi che così scrive all'amico Arrivabene: "Noi tutti maestri, critici, pubblico abbiamo fatto il possibile per rinunciare alla nostra nazionalità musicale. Ancora un passo e saremo germanizzati. E' una consolazione il vedere come dappertutto si istituiscono Società di Quartetti e Orchestre, Orchestre e Quartetti... Allora a me qualche volta viene un pensiero e mi dico sottovoce: ma se noi in Italia facessimo un "Quartetto di Voci" per eseguire Palestrina, i suoi contemporanei, Marcello, ecc., ecc. Questa sì sarebbe Arte Grande! e sarebbe Arte Italiana... ma zitto, che nessuno mi senta".
Verdi però sbagliava.
Il quartetto d'archi aveva antiche, salde radici anche in Italia. Basta ricordare Pietro Nardini (1722-1773) il geniale allievo di Tartini, che pubblicò 6 Quartetti, Luigi Boccherini (1743-1800), grande compositore, tutto ancora da scoprire, autore di 64 quartetti, 68 quintetti nei quali si possono addirittura notare delle anticipazioni beethoveniane ed ancora un nome quasi ignoto: Giovanni Giuseppe Cambini (1746-1823) autore di ben 144 quartetti!
Ma come mai Verdi ignorava l'opera di questi nostri Autori?
In quegli anni Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi con i loro trionfanti melodrammi erano i dominatori assoluti della Musica. Per di più Nicolò Paganini con la sfolgorante luce del suo genio aveva messo in ombra i nostri grandi maestri del '700.
La «Gazzetta Musicale» pubblicava il seguente articolo in data 3 aprile 1873:
«Un quartetto di Verdi! Sissignori, proprio un quartetto per due violini, viola e violoncello. Un quartetto in quattro tempi».
L'altra sera dopo la prima rappresentazione dell'"Aida", che ha avuto quel po' di successo, che tutti sanno, si va in casa Verdi e meraviglia: ecco schierati due classici leggii con le classiche candele e le classiche quattro sedie. Cos'e questo? ed il Maestro sorridendo, a pregarci di andare per i fatti nostri, per il pericolo di addormentarci nel dover digerire l'audizione d'un quartetto.
Proteste, contro proteste, trattative. Infine si viene ad un accomodamento con l'accettare di sederci su soffici poltrone, ove Morfeo dolcemente ci avrebbe potuto cullare "si casus erit". Ma pare che caso non ci fosse, perché non solo si udì una volta il quartetto, ma si volle ad ogni costo riudirlo una seconda volta per intero".
La relazione continua con la disamina dei quattro tempi e conclude così; «Verdi ha dato un nuovo capolavoro all'arte italiana e ci auguriamo che non s'arresti su questo cammino".
Parlando poi dell'esecuzione dice: "E' un gran piacere l'udire quattro esecutori come Ferdinando e Salvatore Pinto (violini), il Salvatore (viola) ed il Giarritiello (violoncello). Espressione, energia, dolcezza, sobrietà, che volete di piu?"
Il quartetto incontrò subito il favore del pubblico in molte esecuzioni. A Parigi con Camillo Sivori e Armand Marsick (violino), Delsadt (viola) e Viardot-Garcia (cello), a Vienna, a Milano con un'applaudita esecuzione al Conservatorio del Quartetto Fiorentino capeggiato dal violinista Giovanni Becker.
In tale occasione Verdi raccomandava a Giulio Ricordi di sorvegliare lo "studio preparatorio del pezzo" con osservazioni finissime. "Vorrei fosse ben eseguito. I tre primi tempi non presentano grandi difficoltà d'interpretazione, ma l'ultimo tempo sì. Se alle prove voi sentiste - termometro infallibile - qualche squarcio un po' impacciato, dite pure che, se anche ben eseguito, è mal interpretato. Tutto deve sortire, anche nei contrappunti più complicati, netto e chiaro e questo si ottiene suonando leggerissimamente, molto staccato in modo che si distingua il soggetto sia diritto, che rovesciato".
Verdi teneva molto a questo suo unico quartetto, se al caro Opprandino Arrivabene scriveva in questi termini: "Il quartetto va abbastanza bene anche fuori d'Italia. Anzi giorni fa mi si chiese da Londra l'autorizzazione di eseguirlo raddoppiando a venti ciascuna parte. Eseguito da ottanta esecutori, dovrebbe far bene, soprattutto perché vi sono frasi, che esigerebbero un suono pieno, grasso piuttosto che il magro suono di un solo violino. Ero quasi tentato di rispondere: vengo io stesso ma invece devo andare a Colonia per i Festivals del 20 e 21 giugno. Nel primo si eseguirà "La Creazione" di Haydn, nel secondo la "Messa" che dirigerò io stesso. Si potrebbe quasi arguire che per Verdi il suo unico quartetto valesse quanto la «Messa da Requiem».
Cesare Barison
("Rassegna Musicale Curci", anno XXIII, n.1 marzo 1970)

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