Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, marzo 13, 2022

La radio come colonna sonora

L'importanza del mezzo radiotelevisivo nella diffusione della musica è un fatto di tale importanza, ormai, da meritare di essere approfondito e seguito. Nell'iniziare un nuovo settore-rubrica della nostra rivista, che riteniamo stimolante e che pensiamo possa diventare utile tribuna per discussioni e giudizi e inchieste, sottoponiamo ai nostri lettori un saggio di Cesare Cavallotti, che fu il contributo italiano alla "Revue de l'UER", numero speciale, "La Radio aujourd'hui", sull'importanza della diffusione radiofonica della musica: "La radio come colonna sonora".

Scriveva profeticamente, nel diciassettesimo secolo, Comenius: verrà un'epoca nella quale l'uomo inventerà degli strumenti che consentiranno agli amici di parlarsi a distanze superiori alle mille miglia. Parlarsi, questo era importante, comunicare il pensiero e gli affetti, dialogare, perché nella parola sta il mezzo espressivo più profondo e più totale dell'uomo moderno, vorremmo dire anche il più naturale e il più popolare.
Ma, l'uomo, oggi, alla radio non vuol sentir parlare, così almeno si dice un po' ovunque, ed è vero. Forse perché questo uomo moderno è irrequieto, ansioso, insofferente di ascoltare con un minimo di attenzione, indifferente a quello che pensano gli altri? Il fenomeno è molto complesso e le ragioni e le cause di esso sono molteplici e di differente natura. Non entreremo con processo genetico ad esaminare questo strano atteggiamento dell'ascoltatore, ma una domanda ce la vogliamo porre: la radio stessa non ha facilitato questa evoluzione (o involuzione)? Prima di cercare di rispondere alla domanda desidero precisare che il fenomeno radiofonico è qui inteso nella sua generalità, nella fisionomia che dà il mosaico, senza voler esaminare le singole radio nei diversi paesi che fra loro sono diverse e anche profondamente diverse. E' un po' come quando si parla di inglesi, di italiani, di francesi, quali i singoli popoli fossero omogenei, mentre è chiaro che nello stesso popolo si trovano differenze notevoli ed anche posizioni contrastanti.
La radio, nata dopo la prima guerra mondiale, in un periodo che oggi possiamo considerare di trapasso, ma che fu sicuramente un periodo di forti contrasti sociali, ideologici e politici, si è presentata agli uomini come generatrice di innocente stupore, di candido miracolo, in cui le sue incipienti e scarse possibilità di espressione tentavano di organizzare rumori, musica e parole.
L'ascolto limitato e spesso disturbato, la rete unica, indifferenziata, in cui la qualificazione dei singoli programmi si esauriva nel genere originario del programma stesso, l'inesperienza e l'entusiasmo dei programmatori, creavano una atmosfera di febbricitante e felice esperimento, di iniziazione ad un rito che doveva ancora inserirsi in un sistema organizzato. Inutile pretendere fin d'allora le inchieste, le impostazioni cicliche, le tecniche moderne dei programmi parlati. Non furono errori, ma semplicemente esperimenti necessari.
Successivamente in Europa si instaurarono le dittature e nacquero le prime inquietanti previsioni di un nuovo conflitto. La radio che stava progredendo tecnicamente, ampliando le sue possibilità di ascolto, organizzandosi autonomamente con complessi musicali e di prosa, fu invasa dalla strumentalizzazione: la radio spesso non servì i veri interessi generali e attuali degli ascoltatori, ma diventò un mezzo di propaganda che asserviva la tecnica della programmazione ai bisogni dei governi. Si parlava, si parlava, si parlava ma non si conversava, non si instituiva quello strano dialogo radiofonico, in cui chi parla al microfono più che imporre un suo punto di vista, suscita un problema nell'ascoltatore e lo lascia vivere nella più ampia libertà.
Scoppio la Seconda Guerra Mondiale e la radio diventò, in tutto il mondo, troppo spesso una fucina di demagogia, una cascata di retorica, un diluvio di propaganda. Qui, naturalmente, oltre alla differenza tra i diversi organismi radiofonici, è da sottolineare che le statistiche generiche dei programmi parlati ci illuminerebbero relativamente. Infatti, una conversazione trasmessa alle ore 13 o alle ore 20 (quando ci sono milioni di persone in ascolto) non può essere sommata ad un'a1tra, di uguale durata, ma trasmessa alle 7 o alle 23.
La prima caratterizza una radio, l'altra vive ai margini di essa.
Terminata la guerra si incominciò a lavorare sistematicamente, a studiare profondamente e tecnicamente la programmazione delle trasmissioni parlate: e i successi non mancarono, come non mancarono neppure gli errori, fatali, d'altra parte, a chiunque operi.
A questo punto due fatti importanti accaddero: la istituzione di un Terzo Programma - cosiddetto culturale, di alta cultura - e la nascita della Televisione. Al Terzo Programma - che peraltro ha avuto grandissimi meriti - si credette nell'efficacia, se non al successo, di conversazioni monologanti di 30 e anche 45 minuti, mentre noi pensiamo - forse con il senno del poi - che sia i contenuti, sia per l'oscuro linguaggio scientifico o critico o filosofico, sia per la durata, queste conversazioni di forma saggistica accentuarono la stanchezza degli ascoltatori nei confronti del genere parlato.
La televisione, invece, forte dell'esperienza radiofonica, dell'evoluzione in atto nel campo giornalistico e letterario, con l'efficacia massiccia e rapida dell'immagine - che ha certamente sul piano divulgativo e popolare un contenuto emozionale molto forte - strinse i tempi dei programmi parlati, rifiutò il monologo, frantumò le conversazioni in interviste e dibattiti e, per un processo di flusso e riflusso riversò sulla radio le sue esperienze.
Ma senza voler sopravvalutare, né sottovalutare nessuna concausa noi ci poniamo una domanda, forse con un po' di candore: prima, durante, dopo la guerra e le dittature, nei campi dove la politica e la propaganda non influivano, la radio come si è comportata? Il giudizio non è facile: innanzi tutto la deformazione professionale, quando riesce ad impossessarsi di un uomo o di un gruppo di uomini, si riflette sull'intera loro attività. Ai nostri fini è, comunque, da rilevare che qualsiasi argomento doveva accordarsi o, comunque, non contraddire, direttamente o indirettamente, i principi ideologici dominanti. E nacque forzatamente come rifugio e protesta una specie di ermetismo radiofonico, analogo a quello letterario che possiamo, a questo punto, accomunare nelle loro cause. E' vero, od è soltanto una fallace impressione a posteriori, che alla radio si parlava a volte e spesso accademicamente e conformisticamente, si inseguivano discutibili problemi che nascevano artificiosamente da una classe cosiddetta intellettuale, ma sradicata dall'autentica vita sociale? Non si dimenticava - proprio dimenticare, per stortura mentale - la concretezza, sempre esplosiva, dei vari problemi generali, di natura religiosa, storica, scientifica, economica, a livello medio e popolare, come si addice ad un mezzo di comunicazione di massa, quale la radio? Non si è stati eccessivamente cauti nell'evitare le polemiche, le opinioni contrastanti e la insopprimibile problematicità del pensiero dell'uomo? Quante volte ci è accaduto di notare come un conversatore, parlando con noi prima della trasmissione, si dimostrasse comprensivo, gentile, affabile e appena si metteva davanti al microfono si trasformasse in Mosè che scandisce le leggi!
E la musica, che cosa è accaduto alla musica dalla nascita della radio fino ai giorni nostri? E' stato il suo trionfo continuo, progressivo, fino alla pienezza, in ogni genere, in tutte le espressioni, dalle più tradizionali a quelle delle successive avanguardie. Nel campo organizzativo-artistico, poi, si costituirono quelle formidabili e ormai famose orchestre che oggi sono l'orgoglio dei singoli paesi e, in alcuni casi, danno un non indifferente contributo alla vita musicale della nazione cui appartengono. Perché questo meraviglioso ed esaltante successo? Anche qui le ragioni sono molte - alcune di evidenza lapalissiana, come ad esempio la congenialità della musica al mezzo radiofonico - ma noi ci limitiamo a sottolineare che la musica ha delle caratteristiche semantiche particolari, che le permettono di avanzare, progredire, diffondersi, sciamare ovunque, sempre, anche durante le guerre, le rivoluzioni, le dittature ed uscirne intatta come una vestale. Nei periodi di crisi della democrazia - per gli europei, lunghi, lunghissimi periodi di crisi - la musica fece gioco a tutti, ai governanti e ai governati, ai primi come equivoco di un'attività libera, educatrice, artistica e come riempitivo innocuo alla faziosa attività politica, ai secondi come rifugio e alimento al tormentato desiderio di libertà.
Ma in così grandioso e consolatorio trionfo dell'arte musicale, troviamo, ben in vista, la medaglia sulla quale sta scritto «Gli ascoltatori non vogliono sentir parlare» e sul rovescio «Gli ascoltatori vogliono canzoni». E' la stessa medaglia, per gran parte la stessa mentalità, è un unico fenomeno che, pur differenziandosi parzialmente nelle cause più prossime, ha le stesse remote e profonde radici culturali. Chi legge Shakespeare, Dante, Goethe, Molière ascolta anche le canzoni, ma chi pasce il proprio mondo interiore e l'ansia di assoluto con i fumetti, ricerca e ascolta solo musica leggera. Ed è anche un grande equivoco sociale e radiofonico identificare la ricreazione con la canzone, mentre il concetto di ricreazione sarebbe da dilatare verso il più ampio mondo degli interessi, perché anche la ricreazione soddisfa un interesse, ma gli interessi non si esauriscono, né totalmente, né parzialmente, in una particolare ricreazione. C'è da aggiungere, pur alzando il tono del discorso, che nell'uomo l'interesse estetico non è né l'unico, né il primo: esso convive con l'interesse morale, economico, sociale e ogni altro interesse che, nel loro assieme, costituiscono la struttura dello spirito.
Ci pare di aver chiarificato per sommi capi, e per quel che ci riguarda, alcuni aspetti del processo dell'evoluzione radiofonica, dal suo nascere fino al sorgere della televisione.
E' stato un processo che ha portato violentemente, anche se naturalmente, la radio verso le espressioni musicali, sia dal punto di vista della programmazione, sia dal punto di vista dell'ascolto, in un reciproco movimento di causa ed effetto, malgrado alla radio sia congeniale tanto la musica quanto la parola. Ci resta da vedere, ora, la principale trasformazione che ha subito la radio con l'avvento del mezzo televisivo.
La metamorfosi che ci interessa porre in luce è questa, la televisione ha indotto la radio ad una profonda revisione dei "generi" parlati, spettacolari, teatrali. Inoltre, alla radio si sono verificate delle modifiche non solo nella quantità, ma anche nella qualità del suo pubblico.
Per quanto riguarda i generi - come già abbiamo accennato - alcuni sono stati contratti, altri ancora modificati nelle loro strutture espressive, con un ritmo di programmazione più veloce, più agile, più scorrevole. Da principio la radio desiderava esprimere tutta la realtà, e, con l'entusiasmo del neofita, ha creduto, per un certo tempo, ad un'arte nuova, poiché, si diceva, la radio offre il mezzo di una nuova espressione e di un nuovo spazio, lo spazio radiofonico. In questa passione del tutto e del nuovo, la radio ha fruttuosamente sperimentato se stessa nelle sue possibilità, ed è andata ai limiti delle sue possibilità, come nella realizzazione di certi testi teatrali di prosa.
Ma proprio il teatro - e qui non vogliamo aprire una discussione su tale annosa questione con la relativa citazione aristotelica d'obbligo - ha dimostrato la sua scarsa congenialità con la radio.
E' obiettiva e condivisa opinione che tra il teatro di prosa e la radio ci sia una specie di incompatibilità e tutti gli sforzi che sono stati fatti, né pochi né piccoli, non hanno fruttato quella messe di opere valide che era nelle speranze di tutti.
La televisione è intervenuta involontariamente, con la sua sola presenza, a sciogliere drasticamente difficoltà, ad annullare sforzi, costringendo la radio a ridimensionare gli spazi dedicati al teatro di prosa e in genere ai programmi così detti parlati. Si vennero a creare così negli schemi di programmazione degli spazi vuoti che furono colmati da programmi musicali, così che l'evoluzione del fenomeno radiofonico si avviò a grandi passi verso la forma della colonna sonora, colonna musicale.
E' da rilevare, inoltre che questa trasformazione si sia verificata contemporaneamente al grande sviluppo dell'industria discografica, delle radioline a transistor, alla galoppante moda dei festivals di musica leggera e di altre manifestazioni collaterali che hanno disseminato la musica, tutta, ma in particolare quella leggera, in tutti gli strati sociali, a livello delle diverse culture.
Così che mentre la radio accentuava il numero delle sue trasmissioni musicali, il pubblico esprimeva le sue preferenze proprio verso questo genere di programmi. Nulla di male. E' da considerare un'evoluzione naturale e non c'è volontà inventiva che possa correggere questo nuovo indirizzo che porta l'antica radio, con tutti i suoi generi e le sue forme, a costituirsi come colonna musicale inframezzata da notiziari.
La domanda che ci poniamo noi, è questa: è già, oggi, il momento di questa completa trasformazione, è da accelerare il moto di questa evoluzione?
Noi rispondiamo di no e per due motivi. Il primo è che la radio ha ancora milioni e milioni di ascoltatori che non posseggono l'apparecchio televisivo, quindi, i fini che presiedono all'istituto radiofonico non possono essere assorbiti da quello televisivo, ritenendo per valida la complementarietà dei due mezzi di comunicazione di massa. Ci sono ancora migliaia di persone, di cittadini per i quali la radio è ancora oggi l'unico legame con la società, il portavoce dei loro interessi e degli interessi degli altri uomini.
Nell'ambito di questo primo motivo, c'è un'altra osservazione da fare: la televisione, almeno in Europa, ha pochi canali e non trasmette lungo tutto l'arco della giornata. Questa condizione di esistenza della televisione, lascia alla radio una larga strada da percorrere con tutta la ricchezza delle sue espressioni più congeniali.
Il secondo motivo è che il pubblico dei radioascoltatori è qualitativamente cambiato. Mentre in un primo tempo la radio fu un acquisto di lusso, oggi i non abbienti posseggono il televisore e la radio rappresenta una conquista soltanto per i poveri. I nuovi abbonati li troviamo tra la gente socialmente meno provveduta.
E' chiaro che la conseguenza non è che la radio debba diventare una radio populista o popolaresca, ma essa deve tener realmente presente, nel cercare i suoi contenuti e le sue espressioni, questi cittadini culturalmente modesti, poveri di interessi. E devono essere tenuti doverosamente presenti non solo perché anch'essi sono dei probabili ascoltatori o perché ne sono la maggioranza, ma perché da un punto di vista sociale sono cittadini che hanno gli stessi diritti degli altri e che hanno in particolare il diritto di essere preparati a inserirsi in una vita a più alto livello. E' per raggiungere questo fine che la radio non può ancora trasformarsi in colonna musicale, scaricando ed esaurendo le sue funzioni attraverso l'espressione musicale, alla quale nessuno nega una forza educatrice, liberatrice e consolatoria.
Ma questa radio moderna, di oggi, come deve comportarsi? Noi riteniamo che, senza essere dei perfezionisti, la radio debba applicare un principio che, d'altra parte non è una scoperta, anzi ci si è sempre rifatti ad essa, più o meno rigorosamente, ma che noi riteniamo debba essere adottato come vero principio metodologico della programmazione radiofonica.
La radio deve storicizzarsi, scegliendo i contenuti tra gli interessi generali dell'uomo, dell'uomo così com'è oggi e a livello dell'attualità.
Storicizzarsi, nel senso che la radio come strumento di comunicazione di massa deve porsi sul piano storico e su questo piano ridimensionarsi continuamente, inserendosi nel moto dell'evoluzione sociale. Da questa posizione storica, e, quindi, anche di ricerca cauta e incessante dell'ultima realtà, cioè, da una posizione di avanguardia, noi dobbiamo porci come espressione autonoma e coordinata con le altre voci del tempo presente, con gli altri istituti della società. Perché una radio distaccata, oggettivata, che poi diventa forzatamente accademica, è un non senso, sarebbe una inutile radio qualunquista.
In questo senso la radio deve storicizzare anche i suoi fini - che anche essi nella loro continuità sono mobili, com'è mobile la storia - e per raggiungere questi fini essa deve riproporsi incessantemente la verifica nei suoi limiti, delle sue possibilità, dei suoi strumenti e del loro uso, dei suoi giudizi di valore e delle mutazioni del suo pubblico.
Una radio storicizzata trova i suggerimenti del suo comportamento nell'ascoltare le voci della civiltà. Se questi suggerimenti ascolteremo, percepiremo anche le novità che sorgono inavvertitamente da impulsi lontani, come di lontano e inavvertitamente si spengono quelle che ieri furono novità. E tutto questo non vuol dire "attualizzare" la radio, ma relativizzarla, razionalizzarla e anche "attualizzarla", ma con prospettive e intenti storici. Anche la cronaca è attuale, ma la cronaca prospettata sullo schermo della storia è un'altra cosa. Entro questa dimensione deve inserirsi la tradizione, che non sarà più un passato, ma un presente storicizzato.
D'altra parte, gli interessi generali dell'uomo nella loro concretezza, non sono altro che le componenti, le strutture, la stoffa - come usa dire oggi - la stoffa del singolo e della società. Cioè, in altre parole, questa radio si mobilita e mobilita gli ascoltatori, per interpretare ed esprimere la condizione fondamentale dell'uomo, inserendosi come termine dialogizzante dell'uomo stesso. La radio nel trattare questi interessi generali, si pone, quindi, come espressione di vita, perché trova la sua ispirazione più vera e affascinante negli autentici, concreti e profondi palpiti della vita dell'uomo moderno. E tutto questo sarà realizzato con un linguaggio che sia comprensibile non all'uomo di media cultura, ma all'uomo medio.
Oggi, o almeno ancora oggi, la radio è, con i suoi milioni di ascoltatori, un formidabile motore che mette in circolazione delle idee, che stimola e aiuta a trasformare il gusto, che può recuperare e scuotere gli indifferenti, che aiuta a vivere coloro che stanno nella solitudine materiale o spirituale, che scopre alle coscienze interessi e valori, che espone e dibatte le grandi correnti del pensiero e le grandi passioni dell'uomo.
Cesare Cavallotti
("Rassegna Musicale Curci", anno XXII, n. 1 marzo 1969)

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