Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

giovedì, marzo 24, 2022

Personale di Bussotti a Royan

La undicesima edizione del "Festival in
ternational d'art contemporaine" di Royan, svoltasi quest'anno nell'ultima settimana di marzo, ha accentuato ulteriormente alcuni indirizzi affermati già l'anno scorso dalla direzione artistica di Harry Halbreich. Nella grandiosa rassegna di musica contemporanea che si svolge nella cittadina atlantica gli autori e i componimenti non si incrociano più con la rapidità e l'eterogeneità che rendevano scarsamente profittevoli i festivals degli anni scorsi. L'arco informativo e la varietà delle proposte contenute in questa rassegna continuano ad essere assai vasti, ma emergono al tempo stesso tratti fisionomici ben precisi, destinati all'imprimersi nella memoria dell'ascoltatore anche non specializzato.
I tratti più personali di quest'ultima edizione confluivano sostanzialmente in due proposte: quella di attirare l'attenzione sui compositori più giovani e quella di proporre un'immagine monografica il più esauriente possibile di qualche compositore già solidamente affermato. Dalla schiera dei compositori più giovani, tutti inferiori ai trent'anni, sono emersi i nomi degli italiani Sandro Gorli e Giuseppe Sinopoli, dell'inglese Brian Ferneyhough e del francese Jaques Lenot. Sebbene nella sua musica non vi sia traccia di elementi spettacolari, l'inglese Brian Ferneyhough, attivo attualmente in Svizzera e in Germania, ha rappresentato una delle scoperte più sensazionali di questo festival. Il suo linguaggio è severo, sostanzioso e trasparente al tempo stesso; una sua "Missa brevis" per voci a cappella ascoltata in prima mondiale a Royan ci ha dato l'impressione di una magistrale capacità di scrittura e di una percezione sicurissima del risultato artistico. Ancora in prima esecuzione assoluta il bel "Konzert Gollum" di Sandro Gorli. Si tratta di un breve componimento per piccola orchestra da camera fondato sulla valorizzazione degli effetti timbrici e di uno stile rigorosamente deduttivo in cui le forme iniziali generano spontaneamente le proprie varianti, col quale il giovane allievo di Donatoni sembra voler conquistare brillantemente la propria emancipazione. Più accentuata, a causa di qualche anno in più e la conseguente maggiore esperienza, risultava l'indipendenza stilistica di Giuseppe Sinopoli, allievo anche lui di Donatoni. La sua sonata per pianoforte, presentata nel corso di un mirabile recital dalla pianista Kate Wittlich, ha rivelato ulteriormente il potente intelletto costruttivo del suo autore. Accanto alla precoce maturità di compositori come Ferneyhough e Sinopoli è apparso invece ancora un po' acerbo il talento del francese Jacques Lenot intento a distillare partiture assai raffinate, ma scarsamente originali. Tralasciando, come non si dovrebbe, gli altri interessanti momenti del festival vorremmo portare l'attenzione sul capitolo centrale della manifestazione che ha ricevuto il suo contributo più originale, anche su piani extramusicali, dalla vasta personale di Sylvano Bussotti.
La presenza del compositore fiorentino a questo festival ha avuto un significato che trascende la consueta cronaca musicale fatta di giudizi e di impressioni; Sylvano Bussotti ha infatti dimostrato di saper creare intorno alla sua attività e alla musica in genere un movimento di interessi che coinvolge un pubblico vasto ed eterogeneo attratto da molteplici sollecitazioni che si sono rivelate in ultima analisi differenti possibilità di accesso al fatto musicale vero e proprio. Il cerchio di isolamento che spesso delimita le manifestazioni della musica contemporanea è stato brillantemente rotto in più punti dalle molteplici sollecitazioni intellettuali che il compositore ha saputo creare. Questa specie di offensiva, condotta da Bussotti contro l'isolamento della musica nuova, si è della sua illustrazione. Di Bussotti sono stati svolta su due fronti: quello dell'opera e quello infatti eseguiti a Royan undici componimenti e l'autore ha illustrato l'intera sua opera in sei conferenze svolgendo un "Catalogo ragionato" arricchito e vivacizzato da frequenti citazioni di brani registrati. L'originalità di questa prospettiva storico-critica consiste non tanto nella completezza dell'informazione, che per quanto interessante resta sempre un fatto di compilazione, quanto nella cifra personalissimo che assume il concetto di riepilogazione nell'opera bussottiana. Ripercorrere l'opera di Bussotti non è un atto classificatorio, sia pur esteso ed approfondito dai ripensamenti critici, ma un procedimento attivo e costruttivo in cui i dati singoli si lasciano carpire significati nuovi svelando essenze mutevoli e contradditorie. L'opera e la personalità di Bussotti si potrebbero definire un sistema di contraddizioni in continua espansione in cui l'elemento contraddittorio rappresenta l'aspetto formale e quello sistematico la struttura portante. L'insieme delle relazioni e dei nessi, studiosamente occultato dalle cangianti apparizioni formali, può essere colto solo nel suo complesso: volerlo cogliere in un momento singolo significa inibirsi ogni possibilità di comprensione. Con un classico metodo progressivo il comporre di Bussotti dà luogo a strutture concentriche in cui episodi successivi si sommano, si elidono, si scindono o si accumulano con grande libertà realizzando una molteplicità di prospettive che analizzate complessivamente appaiono assai simili a proiezioni successive di un medesimo progetto. Intendere nella loro globalità le divaricazioni stilistiche del linguaggio di Bussotti non significa tuttavia cercare di attribuirvi un denominatore comune; l'elemento unificatore non è infatti di ordine stilistico, esso risiede piuttosto nel progetto umano di Bussotti che di volta in volta si sostanzia in un'opera.
Abbiamo insistito sull'elemento con cui appare nell'opera e nelle dichiarazioni poetiche di Bussotti, ma anche per una specie di immanenza sistematica all'interno dell'opera assai simile ad una costante metodologica. Nella poetica di Bussotti la contraddizione assume frequentemente la forma del paradosso il cui obbiettivo, si indovina facilmente, è quello di mantenere intorno all'opera una tensione particolare. Il paradosso e le infinite variazioni della contraddizione si dispongono quindi, secondo la dichiarazione dello stesso Bussotti, in un'unica prospettiva che è quella dell'Occultamento dell'opera. Ogni elemento esoterico, ogni carattere iniziatico, il ricorso sistematico a complessi sistemi di crittografie, l'uso frequentissimo di simboli sono tante difese che Bussotti erige intorno all'opera "per difenderla dal meccanismo degradante della fruizione". Se la fruizione di qualsiasi opera implica inevitabilmente un logorio della medesima, esistono però i due atteggiamenti della pigrizia intellettuale e della superficialità che insidiano ben più profondamente i contenuti dell'opera. Difese esoteriche come l'astrusità dei simboli, l'aspetto misterioso ed allettante dei segni, le formule enigmatiche sostituiscono baluardi impenetrabili alla pigrizia e alla superficialità e al tempo stesso preamboli etici al raggiungimento del dato estetico. Si tratta palesemente dell'etica del lavoro serio, dello sforzo a cui segue l'autentica comprensione e tale invito rivolto al lettore per un attento ed impegnativo lavoro di penetrazione si rispecchia nell'opera nel minuzioso lavoro artigianale di Bussotti. Nulla quindi sarebbe più improprio di una accusa di complicazione gratuita rivolta a queste partiture realizzate con la scrupolosità e la devozione di un geniale amanuense. Questo fitto scambio di segni fra momenti etici ed estetici pone capo ad un rovesciamento sistematico dei termini linguistici e storici per cui la conservazione si muta in progresso e il soggettivismo autobiografico con le sue punte di narcisismo si rovescia in rispecchiamento oggettivo. Il rifiuto della storia e della contemporaneità, asserito più volte da Bussotti, non è fuga dalla storia mediante il ricorso all'estetismo, ma difesa dei valori che attraverso la storia si sono realizzati. A intendere come quella dell'estetismo bussottiano sia una cifra morale gioverà tenere presente che esso è innanzi tutto una difesa del soggetto contro il meccanismo pianificante della storia. All'interno della storia si ritaglia la teoria dei momenti soggettivi a cui sono affidate le realizzazioni della civiltà. La lotta contro la contemporaneità è infatti secondo Bussotti "Difesa dei contenuti morali che la storia ha realizzato attraverso l'attività estetica".
L'estetismo inteso come l'asserzione più piena ed armoniosa del soggetto induce al culto dell'autobiografismo, si traduce in una vocazione al potenziamento dell'io, in una espansione del soggetto che è ricerca di libertà e smascheramento degli aspetti degradanti del falso progresso espresso dalla fruizione, dalla comprensione facile canalizzata dagli schemi del mercantilismo verso un progresso ambiguo ed inautentico. L'affermazione dell'autobiografismo, dissimulato dalle varie tecniche dell'occultamento del1'opera, appare a questo punto il presupposto della "ratio compositiva" bussottiana, ma per intenderne le articolazioni occorre tener presente che esso si esplica con una fitta alternanza di piani prospettici. Si tratta sostanzialmente dell'alternanza e talvolta perfino dalla sovrapposizione di un piano autobiografico ed emozionale con un piano critico, riflessivo ed ironico. La lettura dei dati biografii avviene attraverso una specie di "Zum" per cui dalla apparizione momentanea di primi piani si passa rapidamente alla dissolvenza dei medesimi. L'opera nel suo procedere appare simile ad una sequenza di immagini registrate da un obbiettivo mobilissimo che avvicina, allontana, accumula, sovrappone, e dissolve. In questa sua articolazione filmica l'opera tende a farsi totale coinvolgendo tecniche ed espedienti di ogni genere, mescolando linguaggi arcaici e modernissimi immagini eterogenee, sbiadite o lampanti, miriadi di citazioni polverizzate e decontestualizzate, simili ormai a detriti.
Questo in breve e succintamente sistematizzato il senso delle fluviali ore narrative in cui si è svolta 1'autobiografia royanese di Bussotti; una parte degli incontri è stata invece dedicata alla illustrazione dei componimenti più recenti, in particolare di quel Syro Sadum Settimino che ha avuto a Royan la prima esecuzione assoluta.
Diremo anche che gli undici componimenti di Bussotti eseguiti a Royan coprivano un arco di tempo dal 1957 al 1973. La rassegna, aperta cronologicamente da "Breve" e "Due voci", componimenti per onde Martenot e voce del 1957-58, proseguiva con "Lettura di Braibanti" e "Manifesto per Kalinowski", entrambi del 1959. Era poi la volta del pianistico "Pour Clavier" del 1961, dell'organistico "Julio organum Julii" e della "Passion selon Sade" che sono rispettivamente del 1968 e del 1965. Le opere più recenti erano invece rappresentate dalla Suite tratta dal "Lorenzaccio", dalla pianistica "Novelletta" e dai recentissimi "Bergkrystall" e "Settimino". Scritti espressamente per il teatro, "Bergkrystall" e "Settimino": un balletto il primo e un'operina monodanza il secondo, sono stati eseguiti quasi unicamente in forma strumentale. "Bergkrystall", la cui prima esecuzione ebbe luogo ad Amburgo nel 1973 sotto la direzione di Bruno Maderna, è stato ripreso a Royan ancora nella forma strumentale in un concerto dell'orchestra filarmonica dell'O.R.T.F. diretta da Giampiero Taverna. Nella sua forma strumentale il componimento appare assai simile ad un poema sinfonico per grande orchestra. Il successo ottenuto dall'esecuzione royanese sottolinea la bellezza dell'opera che è tutta percorsa da una maestosa drammaticità realizzata con straordinaria pienezza del suono orchestrale compatto e assai vario al tempo stesso. La drammaticità della partitura contrasta alquanto con l'argomento tratto da una novella dello scrittore boemo Adalbert Stifter.
Il "Bergkrystall" (Cristallo di rocca) di Stifter è infatti un racconto di ispirazione fantastica conforme allo spirito della narrativa ottocentesca nordica in cui il didascalismo della favola e il meraviglioso si dispongono in una prospettiva infantile, luogo privilegiato delle epifanie surrealistiche. Bussotti ritiene che l'accostamento di questa semplice favola ad una partitura tanto impegnativa e drammatica possa dar luogo ad una modificazione dell'orizzonte della favola modificando la struttura e il contenuto del balletto medesimo. E' quanto si può constatare vedendo realizzato il balletto, per ora possiamo solo ribadire l'autonomia della bella partitura (1).
Alquanto meno autonomo ci è invece apparso il "Syro Sadum Settimino" privato della realizzazione scenica. Il titolo completo del lavoro è: Syro Sadun Settimino o "Il trionfo della grande Eugenia", operina monodanza in un atto di notte, poema di Dacia Maraini, altre parole e musica di Sylvano Bussotti. Non tanto per il gusto di sciogliere anagrammi e acrostici, quanto per quello di mostrare come le cifre autobiografiche vengano nell'atto stesso di essere pronunciate, occultate da Bussotti, diremo che la parola Syro consta della somma delle iniziali dei nomi dell'autore e di due suoi amici: Sy(lvano) - Ro(mano), e Sadun è tale e quale il nome del pittore Piero Sadun a cui è dedicato uno dei pezzi vocali dell'opera (2).
La definizione di Settimino allude poi all'organico strumentale: il medesimo della strawinskyana "Histoire du soldat", precisa Bussotti.
Il sottotitoli esplicativo "Il trionfo della grande Eugenia" introduce invece l'argomento dell'opera. La "Grande Eugene", un piccolo cabaret parigino portato a rapida notorietà dall'abile conduzione del coreografo e pittore Franz Salieri, è il centro ideale della vicenda; in questo locale notturno frequentato da travestiti si ritrova infatti il protagonista la cui storia viene rievocata partendo dalla nascita prematura: di sette mesi appunto. Una irrefrenabile vocazione per la danza contrastata dalla famiglia desiderosa di un avvenire professionale più austero, quello della magistratura, si manifesta prestissimo nel giovane settimino. Il conflitto fra vocazione e coercizione paterna trascende la sfera professionale coinvolgendo la fragile struttura psichica del giovane che, sopraffatto e disgustato dalla virile brutalità del padre asseconda la sua propensione verso la più delicata natura femminile diventando danzatore e omosessuale. Questa in sintesi la trama della pregevole escursione poetica di Dacia Maraini spaziante dai toni lievi di un erotismo pieno di delicatezze floreali ritmate dalle immagini della danza a quelli più cupi di un realismo fosco e brutale. Tralasciando l'elemento coreografico qui non ancora realizzato, osserviamo che la materia narrativa è distribuita in sette parti recitate, Dettati secondo la definizione, incise su nastro con varie sovrapposizioni per cui la comprensione del testo si fa molto lieve. Alla voce di Sylvano Bussotti che esegue i dettati sono interpolate lunghe sequenze solistiche del clarinetto che ha nell'economia generale dell'opera una parte di grande rilievo. Le parti rigorosamente musicali dell'opera si dividono in vocali e strumentali: l'organico vocale si compone di un coro di 12 voci (3 soprani, 3 contralti, 3 tenori e 3 bassi) e quello strumentale di clarinetto, fagotto, tromba, trombone, violino, contrabbasso e due percussionisti dei quali il secondo usa anche il pianoforte.
E' il dettato primo ad aprire il componimento con una ampia monodia del clarinetto sulla quale si inserisce la voce recitante; subentrando poi uno ad uno tutti gli strumenti dell'orchestra che per brevissimi tratti si radunano anche insieme, lasciando però al clarinetto il compito di concludere il dettato. Dissoltosi impercettibilmente il primo capitolo narrativo subentrano alcune pagine vocali che svolgono polifonicamente il titolo e le epigrafi dedicatorie dell'opera. L'uso polifonico che Bussotti fa del coro è molto duttile, infatti esso si contrae e si espande di volta in volta dallo spiegamento massimo in cui sono utilizzate tutte le dodici voci e i gruppi di soprani, contralti, tenori e bassi sono divisi in tre parti, fino ad episodi di assoluta concentrazione in cui la tessitura vocale è assottigliata fino a due voci immobilizzate in una sequenza da cantus firmus. Sul piano stilistico ed espressivo la polifonia vocale bussottiana è quella che abbiamo imparato a conoscere attraverso il "Rara Requiem" e il "Lorenzaccio"; occorre però precisare che la scrittura vocale del Settimino è orientata verso una definizione sempre più rigorosa dello stile a cappella che con la sua classica severità sembra allontanarsi dalle moderne esperienze vocali tutte più o meno orientate verso una dimensione informale propizia alla pura sperimentazione fonica. Parlare di analogie formali col linguaggio del mottetto e del madrigale significherebbe cedere ad un allettamento puramente esteriore, ché non basta la scrittura a 4 voci, il ricorso alle forme imitative o a brillanti effetti madrigalistici, specialmente nel consonantismo, a definire stilisticamente la citazione bussottiana. Tali citazioni si limitano semmai a delineare in maniera allusiva l'aura irripetibile, il sapore di un evento perduto, disponibile soltanto a repentine epifanie soggettive della memoria. Interiorizzato ed articolato come una "Erlebnis soggettiva", il momento vocale arcaico non è una citazione erudita o un calco formale in cui deporre i materiali di un'immaginazione avara; esso appare piuttosto un rischio, un incontro inopinato, un impatto casuale tra la storia e la coscienza.
L'epigrafe del titolo si svolge sulle parole Syro - Sadun - Settimino in una tessitura a 6 voci maschili sostenute da un accentuato disegno percussivo, ma è nel successivo episodio Syro che il coro dispiega le sue 12 voci. Dopo la sua entrata scandita ancora sulle parole Syro - Sadun - Settimino la compagine corale si contrae in 4 parti non più divise sulla parola Romano scandita lentamente da un disegno circolare assai simile a quello conclusivo del Rara Requiem. Di straordinario effetto è in questa straordinaria sequenza vocale il contrappunto ritmico realizzato dalla percussione che viene a costituire una specie di fondale scenico al disegno vocale aggiungendovi una dimensione di corporea opacità. Resta ancora da segnalare in questo bell'episodio vocale un breve tratto in contrappunto fiorito in cui si incrociano i melismi tessuti sui due nomi Sylvano e Romano. Segue il dettato secondo in cui la vicenda del settimino è colta all'età di quattro anni. Assai esteso è l'episodio successivo dedicato all'amico Piero Sadun dal quale prende il nome; la forma è nuovamente quella del coro a cappella ed il testo non è più fornito esclusivamente dalle sillabe del nome. Accanto ad una maggiore articolazione del testo incontriamo anche delle pure sequenze vocaliche e perfino un episodio statico a due voci, molto simile, nel tono di lezione, ad un cantus firmus, ricco di echi e di risonanze interne ottenute con la mutazione vocalica.
Al dettato terzo, che ci presenta il protagonista all'età di otto anni, segue l'Entrata in cui si alternano e si mescolano le parti vocali e quelle strumentali. L'intero episodio è caratterizzato da un allentamento progressivo della tensione ritmica; l'iniziale "Prestissimo, impetuoso", dopo un'alternanza di parti vocali e strumentali, rallenta progressivamente fino a raggiungere nel finale un incedere lentissimo su cui si stagia sempre più lucido il disegno strumentale. I dettati quarto e quinto radunati insieme introducono il Settimino che è un vasto episodio puramente strumentale dalla scrittura molto trasparente dominata da effetti solistici atti a far risaltare le proprietà timbriche degli strumenti. Gli effetti percussivi molto ricercati, i volumi sonori dissolti in una scrittura quasi puntillistica, improvvise rarefazioni e silenzi che calano sulla trama strumentale, sequenze lievissime, sfiorate, appena percettibili - ad un tratto l'indicazione di Bussotti sulla partitura dice: "Tutti sfiorando appena gli strumenti con il minimo di sonorità udibile! Ogni singolo esecutore suonerà così piano da udirsi appena in se stesso!!" -  sono, per quanto raffinati, gli elementi consueti del comporre bussottiano. Il Settimino ha però un finale lento "Sempre rallentando, sciogliendo, dividendo il tempo" che sarebbe tutto da citare per la sua forza espressiva. Le sonorità guizzanti della parte precedente si radunano in blocchi che scivolano lentamente gli uni sugli altri disegnando le loro scie sui fondali della percussione vibranti come echi sotto i colpi amplificatori dei gongs, del vibrafono e delle corde del pianoforte. Dopo il dettato sesto, concluso dalla stessa monodia del clarinetto che aveva aperto il componimento, abbiamo col Settimino Variato il secondo vasto episodio strumentale. La scrittura sostanzialmente libera dell'episodio precedente si è fatta qui più rigorosa a causa della forma variata, ma anche più densa. Non mancano anche qui episodi di carattere solistico, ma sono alquanto più contenuti; la tessitura piuttosto fitta consente poche eccezioni. Emancipandosi dal ruolo percussivo il pianoforte diviene quasi una struttura portante sulla quale si stagliano con efficace contrasto effetti solitari dei vari strumenti percussivi.
Le voci gravi del contrabbasso e del fagotto svolgono interessanti ruoli monodici e gli ottoni suonano spesso in sordina per ottenere una sonorità equilibrata, di tipo cameristico. Particolarmente esteso è il dettato settimo, estrema, in cui termina di essere rievocata la vicenda del settimino. L'estensione di questi dettati, in nessun modo riconducibile a quella di didascalie, la loro apparizione ritmata opportunamente, come a spaziare gli episodi vocali e strumentali col respiro narrativo, li rende piuttosto simili ad una successione di pezzi chiusi. La Chiusa ripete l'Entrata con simmetrismo barocco; nella ripresa conclusiva l'episodio è però condotto solo vocalmente, senza interventi strumentali riaffermando quindi il geometrismo labirintico su cui si svolge l'intero schema dell'opera.
Enzo Restagno
("Rassegna Musicale Curci", anno XXVII, n. 2 agosto 1974)

(1) L'innesto drammatico sul limpido orizzonte della favola, tende a mostrare che questo orizzonte non è poi tanto limpido e che la felicitas restaurativa implicita nell'operazione analoga svolta da Strawinsky operando sul mondo della favola ciaikovskiana (Le baiser de la fée) resta un commosso e acritico omaggio al favoloso mondo di Ciaikovski. Non a caso, parlando di Bergkrystall, Bussotti accenna ad un possibile omaggio a Ciaikovski e non a caso la partitura è animata da una pienezza di suono e da una drammaticità bergiane. Se l'omaggio al mondo della tavola e alle proiezioni coreografiche ciaikovskiane ha da esserci, sarà un omaggio critico, una rilettura drammatica ed inquietante in cui di quell'orizzonte saranno indagate le ombre e i riflessi cupamente simbolici.

(2) Sylvano Bussotti sarebbe certo indignato del malcostume implicito in una spiegazione così esplicita e avrebbe certamente ragione; ché ascoltando attentamente le parti vocali dell'opera, questi nomi lo spettatore potrebbe intenderli intonati chiaramente dal coro. Altrettanto si dovrebbe dire per il testo che è reso intenzionalmente poco comprensibile dalla tecnica della registrazione in vari play-back. Si tratta di un invito esplicito ad una attenta lettura,

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