Sugli schermi a colori della TV austriaca apparvero sorridenti, una sera della scorsa estate, le fotogeniche fattezze di Giorgio Strehler. E con altrettanto fonogenica, armoniosa voce il regista triestino disse cose interessanti, con grande attenzione seguite dalla vasta platea dei tele-spettatori. Dall'anno innanzi Strehler - primo fra gli stranieri - era entrato, in qualità di consulente artistico, nei quadri del Direktorium che regge le sorti del festival di Salisburgo; e nel '73 gli è stato commessa la cura della Eröffnungsrede, della solenne orazione d'apertura, dedicata alla celebrazione di Max Reinhardt nel centenario della nascita. Così, per molteplici indizi, Strehler sembrava designato ad assumere l'ideale eredità dell'insigne collega suo, che del festival salisburghese era stato tra i promotori e i massimi artefici.
Disse dunque Strehler che, a suo avviso, il festival della città mozartiana andava sottratto al tradizionale carattere di élite, di luogo di ritrovo dell'alta e danarosa società internazionale, e reso accessibile a più vasti strati di pubblico, specialmente locale (si ricorda in proposito che, quest'anno, i prezzi dei posti migliori per gli spettacoli d'opera ammontavano all'equivalente di quarantacinquemila lire italiane, digradando sino a undicimila per i posti più incomodi e «popolari»). Ma insieme, non sfuggendo all'intelligenza di Strehler gli essenziali riflessi del festival sul turismo salisburghese - circostanza tenuta in non cale dai dirigenti della nuova Biennale di Venezia - Strehler ipotizzò, in termini alquanto generici, l'istituzione di un "doppio festival", orientato da un lato sull'usata componente elitaria, e aperto dall'altro a una più estesa partecipazione di spettatori.
Le stesse cose Strehler ripeté, alla vigilia dell'inaugurazione del festival, in una serie di interviste a quotidiani austriaci e germanici; ed altre ancora. di maggior incidenza artistica, ne aggiunse. In particolare: la sua piena adesione al festival di Salisburgo, anche nell'aspetto di stabile consulente del Direktorium, traeva motivo primario dalla prospettiva della collaborazione con Herbert von Karajan, destinata a rinnovarsi ogni anno. Il Flauto Magico, spettacolo d'apertura del festival 1974, non sarebbe stato che l'inizio di un organico ciclo, di un "tutto Mozart", da attuarsi a ritroso rispetto alla cronologia, riproponendo - sempre all'insegna del binomio von Karajan-Strehler - l'intero teatro mozartiano, dal citato Flauto, ultima opera del maestro, sino a Bastien und Bastienne, scritta da Mozart alla verde età di dodici anni. Prossima tappa della stimolante iniziativa - aggiunse Strehler - il Don Giovanni, da inserire in programma l'anno venturo o, al più tardi, nel 1976.
Ma il progetto bellissimo si arenò non appena formulato. Il 24 luglio, due giorni avanti la serata inaugurale, la Radio Austriaca inseriva nei suoi notiziari - e la stampa subito se ne impadroniva - un breve compendio della relazione stilata dalla Corte dei Conti di Vienna sul bilancio consuntivo del festival 1973. Ove si deplorava, tra l'altro, l'eccessivo costo di alcune manifestazioni, e in primo luogo dello scespiriano Gioco dei potenti che, messo in scena da Strehler, aveva comportato una spesa di circa mezzo miliardo di lire. Insieme, la Corte invitava ad una più oculata e parsimoniosa gestione il Kuratorium del festival, cioè il consesso che ne governa l'amministrazione, condizionando le iniziative artistiche del citato Direktorium (per il festival 1974 il preventivo indicava un deficit di un miliardo e ottocentocinquanta milioni di lire, da coprirsi con le sovvenzioni dello Stato, del Land e del Comune di Salisburgo).
Non il solo Gioco dei potenti era bersaglio dei rilievi addotti dai severi magistrati della Corte viennese, ma anche il rituale Jedermann di Hugo vo: Hoffmansthal, ogni anno rappresentato in piazza del Duomo: nel nuovo allestimento 1973 ii Ernst Häusemann il «mistero» era costato 233 milioni di lire, il doppio rispetto all'edizione precedente. Tuttavia, l'improvvisa diffusione delle censure della Corte dei Conti - prima ancora, a quanto pare, che il Direktorium ne avesse nozione, e suggerita forse da qualche rigido consigliere del Kuratorium - venne subito strumentalizzata, se non addirittura architettata, ai danni di Giorgio Strehler.
I giornali austriaci e germanici ne trassero argomento per vibranti articoli polemici, e la Süddeutsche Zeitung di Monaco riserbò a Strehler addirittura l'editoriale articolo di fondo, Das Streiflicht. Nel quale, dall'immediato raffronto tra le istanze di estensione democratica del festival, avanzate da Strehler, e la sua noncuranza per le esigenze di bilancio, il giornale monacense iscriveva d'ufficio il regista nei ranghi della Lustige Linke, cioè dell'allegra sinistra.
Quindi, nel quadro di un'organica e ben orchestrata campagna anti~Strehler, gli insistenti dissensi alla conclusione dell'inaugurale Flauto Magico, le valutazioni negative sulla regia, espresse da gran parte dei giornali, le dimissioni di Strehler dalla consulenza nel Direktorium, e il conseguente tramonto del venturo «tutto Mozart» nell'interpretazione congiunta von Karajan-Strehler. Ci si accorse di aver passato il segno, si prospettò di affidare a Strehler nel '75 la regia di un lavoro di non oneroso allestimento, quali i pirandelliani Sei Personaggi, poi di riprendere Il ratto dal serraglio nell'edizione che per un decennio aveva tenuto con onore la scena. A cotanto trambusto von Karajan rimase in apparenza estraneo, preferendo scaricare la tensione nervosa ai comandi del suo veloce bireattore personale, guidato in perigliose picchiate sui ghiacciai delle Alpi. Infine, la sua intenzione di cedere la bacchetta ad altro maestro per una ripresa del Flauto nel '76 determinò la totale frattura fra Strehler e il festival di Salisburgo.
Come s'é accennato, alla fine del Flauto Magico, nella serata inaugurale, numerosi furono i dissensi - che in Austria si estrinsecano non con fischi, ma con sonori buuuuuh di riprovazione - all'inizio di Strehler. Preordinata azione di commandos, tanto che le manifestazioni ostili non ebbero a ripetersi durante le numerose repliche, Rimangono tuttavia le critiche negative formulate, talvolta con pesantezza, dalla stampa di lingua tedesca, con poche eccezioni, tra cui la Frankfurter Allgemeine Zeitung che prospettò in luce di imparzialità il controverso "caso Strehler". Oppure augurando, come si lesse sulle locali Salzburger Nachrichten, che la ripresa dello spettacolo, prevista allora per il '75, consentisse di constatare il superamento di quell''«impietrito massiccio di tradizione scenica e di mito››.
In realtà, questa tanto discussa regia del Flauto Magico, se non toccava l'altezza raggiunta da Strehler nel Ratto dal serraglio, autentico «classico›› della moderna regìa lirica, non per questo appariva contestabile. Solo che, originariamente concepita per la piccola scena del Landestheater di Salisburgo, e trasportata per motivi di cassetta sullo sterminato palcoscenico del Grosses Festspielhaus, la regia del Flauto inevitabilmente accusava una dispersione sullo sfondo delle disadorne scene argentee di Luciano Damiani. Il proposito, annunciato da Strehler nelle sue interviste, di prospettare l'opera mozartiana come un Ur-Märchen, una fiaba dei primordi, una fiaba delle fiabe, solo in parte era conseguito, e l'intenzionale dualismo, pure dichiarato dal regista, delle opposte figure di Tamino e di Papageno, appariva vanificato dalla soverchiante prevalenza scenica del bravissimo Hermann Prey, nei panni appunto di Papageno.
Controverso nella regia, Il Flauto Magico non dava adito a rilievi circa l'esecuzione musicale, guidata da Herbert von Karajan con cristallina chiarezza nello strumentale e nei rapporti con il discorso scenico (e se qualche riserva è stata formulata nei riguardi dello spettacolo inaugurale, si trattava ovviamente di un non ancora compiuto rodaggio, nulla di censurabile apparendo nella seconda rappresentazione). Con Herman Prey inappuntabili per il canto e la recitazione i soprani Edith Mathis (Pamina) e Reri Grist (Papagena), i tenori René Kollo (Tamino) e Gerhard Unger (Monostato), i bassi Peter Meven (Sarastro) e José van Dani (l'oratore). Unico punto debole della compagnia di canto il soprano Louise Lebrun, inadeguata agli impervi cimenti di Astrifiammante (dalla seconda rappresentazione in poi, ma analoga impressione negativa aveva prodotto, stando a testimonianze attendibili, Edita Gruberova nella serata inaugurale).
Accanto alle riprese delle Nozze di Figaro (von Karajan), di Così fan tutte (Böhm) e del Ratto dal serraglio, diretto stavolta da Leif Segerstam, ma sempre nell'ormai decennale veste scenica di Strehler e Damiani, il cartellone includeva La donna senz'ombra di Richard Strauss, a celebrazione di una duplice ricorrenza: il centenario della nascita del poeta e drammaturgo viennese Hugo von Hofmannsthal, uno tra i fondatori del festival e librettista straussiano, e gli ottant'anni - felicemente raggiunti proprio il 28 agosto, sulle soglie della chiusura del festival, e festeggiati da un ricevimento solenne al palazzo della Residenza - del direttore d'orchestra stiriano Karl Böhm.
La simmetria tra le coppie antagoniste Tamino-Pamina e Papageno-Papagena del Flauto e quelle dell'imperatore e dell'imperatrice, del tintore e di sua moglie nella Donna senz'ombra, e il simbolismo che le investe, hanno più volte suggerito un parallelo fra le due opere di Mozart e di Strauss. Comunque, in entrambi i casi - si tratti del simbolismo ingenuo e fiabesco di Schikaneder, o delle intellettualistiche implicazioni di von Hofmannsthal - il peso della musica nettamente prevale sulla vicenda e sulle connesse intenzioni allusive.
Dopo la tragedia in Salome e in Elettra, la commedia nel Cavaliere della Rosa e la commistione felice dei due «generi›› nell'Arianna a Nasso, Richard Strauss si orienta nella Donna senz'ombra sulle vie del melodramma sinfonico, in cui pagine di splendente bellezza e di penetrante significato si alternano, nel corso dei tre lunghissimi atti, a zone grigie, ed anche decisamente convenzionali, come l'altisonante quartetto finale. Ma il costante magistero strumentale di Strauss sorregge il discorso della Donna senz'ombra pur nell`avvertibile, progressivo scadimento dell'interesse musicale. che marcatamente declina dopo la tensione dell'atto primo.
Amico di Strauss, Giacomo Puccini palesò interessamento e attenzione verso questa Donna senz'ombra, ove non è difficile avvertire, oltre ai wagneriani ripensamenti, tipici di Strauss, le tracce del teatro musicale italiano del tempo (l`opera venne scritta negli anni della prima guerra mondiale). E si ha insieme l'impressione che l'ultimo Puccini non sia stato a sua volta insensibile agli insegnamenti della Donna senz'ombra: nel linguaggio, ad esempio, di Calaf e della principessa Turandot. E forse su basi non lontane dalle effusioni vocali dell'imperatore e dell'imperatrice straussiani, Puccini avrebbe impostato la costruzione di quel grande e trionfale duetto d'amore che doveva concludere Turandot: la morte prematura gli impedì di risolvere il problema che a lungo, con tormentosa cura, lo aveva assillato.
Nel vistoso allestimento scenico di Günther Schneider-Siemssen - corrispondente al tardo e orientaleggiante stile Sezession dell'ambientazione librettistica - e nel collaterale buon governo della regia di Günther Rennert, La donna senz'ombra è stata offerta a Salisburgo in un'edizione musicale di alta classe, così per i meriti dei solisti di canto, quali la stupenda Christa Ludwig (cui si alternava nelle repliche l'altrettanto ammirata Ursula Schröder-Feinen), Leonie Rysanek, Ruth Hesse, Walter Berry e James King, come - e soprattutto - per la direzione di Karl Böhm. Con un gesto in apparenza dimesso e disadorno, e non disdegnando di tener sott'occhio la partitura, il neo-ottuagenario maestro ha tratto dall'esemplare Filarmonica di Vienna accenti a volta a volta solenni e insinuanti, sommessi e trionfali, inserendo nel tessuto strumentale, con duttile quanto imperiosa mano, il cangiante arco del discorso vocale.
Nella lunga serie dei concerti del festival _ fra gli italiani, i direttori Claudio Abbado e Riccardo Muti alla guida della Filarmonica di Vienna, il pianista Maurizio Pollini in un concerto diretto da von Karajan, e I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone - si inserivano due serate nel Duomo di Salisburgo. A celebrazione dei 1200 anni dalla costruzione dell'originaria chiesa paleocristiana, è stata eseguita la Missa Salisburgensis a 53 voci. espressamente scritta dal romano Orazio Benevoli per la consacrazione del nuovo Duomo , compiuto nel 1628 su progetto del comasco Santino Solari. Così si legge nei manuali di storia della musica, e così si riteneva sino ad un'ora appena prima della recente esecuzione salisburghese. Nel corso di una conferenza stampa, il professor Ernst Hintermaier dell'Università di Salisburgo ha sostenuto infatti, con ampie e documentate argomentazioni, che la colossale Messa - la cui partitura venne rintracciata sullo scorcio del secolo scorso nella bottega di un droghiere - non è affatto opera di Benevoli, ma di un non ancora identificato compositore locale, mentre la prima esecuzione ebbe luogo non nel citato 1628, per la consacrazione del Duomo, ma solo negli ultimissimi anni del Seicento.
Un'accorta regia si accompagnava all'esecuzione della Messa e dell'inno Plaudite tympana, pure attribuito a Benevoli nella medesima circostanza, e parimenti ora contestato nella paternità e nella data di nascita. Gli esecutori vocali e strumentali - oltre duecento - erano dislocati su di una serie di tribune addossate ai pilastri che reggono la grande cupola, e al centro della raggera spiccava la figura ascetica di Padre Ireneu Segarra, maestro di cappella nel monastero benedettino di Montserrat. Per lo sviluppo della partecipazione strumentale e per la disposizione dei cori contrapposti la Messa appare partecipe degli esempi delle musiche gabrieliane; ma il prevalente virtuosismo contrappuntistico, con l'integrazione di un artigianato di gran classe, in una sostanziale carenza di espressione drammatica e religiosa, sembrano convalidare la postecipata datazione asserita dal prof. Hintermaier. Partecipavano all'esecuzione le giovanissime compagini dei cantori dell'Escolania di Montserrat, dei Ragazzi Cantori di Bad Tölz, i cantanti solisti della Pro Cantione Antiqua di Londra e gli strumentisti del germanico Collegium Aureum.
Mentre docenti ed allievi di storia della musica sono invitati a rettificare paternità e data di nascita della Missa Salisburgensis, già attribuita ad Orazio Benevoli, nessun dubbio assillerà gli storici del futuro circa il Magnificat di Krysztof Penderecki, espressamente commissionato al compositore polacco per la commemorativa circostanza, terminato appena a luglio, e subito portato all'esecuzione. Se alla controversa e citata Messa lo apparenta la monumentalità barocca della scrittura, dilatata su 48 voci, la risonante acustica del Duomo salisburghese giocava stavolta a favore del Magnificat, nel senso che le riverberazioni predilette da Penderecki risultavano esaltate e amplificate come in un'automatica, spontanea germinazione. Il linguaggio di Penderecki non è qui diverso da quello usato nella Passione secondo S. Luca o negli Utrenja, ma sembra accusare un'avvertibile semplificazione in una meditata costruzione dai classicheggianti richiami e dal vissuto sentimento cattolico, ove i riferimenti al gregoriano e alla classica elaborazione contrappuntistica si colorano dei determinanti insegnamenti della Sinfonia di Salmi di Stravinski e del Wagadu di Vogel.
Con straordinario impegno concorrevano all'esecuzione, guidata energicamente dall'autore stesso, l'orchestra e i cori della Radio Austriaca, i Ragazzi Cantori di Vienna e il basso Peter Lagger. Il cosmopolita e variamente abbigliato pubblico del festival, che aveva accolto in devozionale e rispettoso
silenzio la Missa Salisburgensis, ha tributato applausi fragorosi al Magnificat, all'autore-direttore e agli interpreti; come, nella prima parte del programma, alle musiche debussiane per Le Martyre de Saint-Sebastien dirette da Milan Horvath, pure con i complessi della Radio Austriaca e con il concorso della voce bellissima di Arleen Auger.
Guido Piamonte
("Rassegna Musicale Curci", anno XXVII n. 3 dicembre 1974)
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