Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, aprile 30, 2022

La giovane arpista di Basilea Magdalena Hoffmann, vincitrice nel 2016 di due premi speciali al Concorso Internazionale di Musica ARD, dal 2018 prima arpa nell'Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, incide il suo primo album per Deutsche Grammophon.

Suggestivo il titolo scelto, Nightscapes (paesaggi notturni) che, attraverso un percorso musicale fatto di brani originali per arpa e di trascrizioni realizzate dalla stessa arpista, vuole evocare il clima notturno e le atmosfere sospese di cui è capace l'arpa, tra mistero e intimità. A questo clima privato si contrappone quello elegante e sinuoso della danza, del valzer in particolare. Tra le composizioni originali per arpa, figurano la Suite for Harp op. 83 di Benjamin Britten, lavoro composto nel 1969 e diviso in cinque movimenti, nel quale il compositore inglese utilizza tutte le possibilità tecniche dell'arpa per ottenere un'ampia gamma sonora; e Dans des lutins (Danza degli elfi) dell'arpista francese Henriette Renié (1875-1956), per la quale anche Fauré, Debussy e Ravel scrissero delle composizioni: ampi gesti nel registro superiore dell'arpa si contrappongono agli accordi di accompagnamento e arpeggiati della mano sinistra. Il resto del programma infila in successione brani più o meno celebri di autori come Chopin, Clara Schumann, John Field, Ottorino Respighi e Marcel Tournier. Di questi autori Hoffmann sceglie composizioni ispirate al genere del notturno, capace di dipingere in un modo unico sia l'atmosfera di intimità che lo spirito mistico, caratteristica che lo ha reso uno dei generi più tipici del Romanticismo. Ma il suono leggero e danzante all'arpa si adatta perfettamente anche ai tre Valzer di Chopin o alla Fantasia, per arpa su motivi dei Contes d'Hoffmmm di Offenbach di Jean-Michel Damas. L'album si chiude con il Notturno in fa diesis minore op. 48 n. 2 di Chopin, quasi come ideale conforto per l'anima turbata dell'insonne. Un CD che si ascolta con grande piacere e che permette all'arpista tedesca di mostrare le sue indubbie doti tecniche e sensibilità per il colore strumentale. La presa del suono, talvolta troppo ravvicinata, mette tuttavia in eccessiva evidenza i rumori dei cambi di pedale e della meccanica, oltre allo sfregamento delle corde, limitando in qualche caso la suggestione delle atmosfere notturne. Attendiamo l'arpista tedesca in altri futuri cimenti, magari più audaci nella scelta del repertorio.

Sei domande a Magdalena Hoffmann

Un album che affascina per il suo titolo e per la scelta dei brani. Come ha creato questo programma, da dove viene l'idea?
L'idea è nata dal mio interesse per le due forme musicali prevalenti in Chopin, cioè i Notturni e í Valzer, che in musica sono sempre stati dei corrispettivi l'uno di silenzio, buio, introspezione e l'altro di danza, espansività, luce. Così per anni ho ascoltato e letto moltissimi brani che potevano essere associati alla mia idea originaria.
Alcuni ho dovuto scartarli a malincuore perché non erano adatti al mio strumento, benché fossero musicalmente molto interessanti. Ho esplorato e cercato in lungo e in largo e così mi sono imbattuta in brani meravigliosi, come per esempio i notturni di Respighi e Pizzetti, a mio avviso ingiustamente sconosciuti. Lentamente, e potrei dire anche faticosamente, ho raccolto abbastanza pezzi adatti alle caratteristiche del mio strumento che potevano descrivere dei paesaggi notturni come me li ero immaginati; un mosaico colorato in cui ogni ascoltatore avrebbe potuto trovare della musica per il suo stato d'animo.
Il repertorio dell'arpa è decisamente più esiguo rispetto al repertorio solistico di altri strumenti, ma esistono ormai innumerevoli trascrizioni. Questo CD, in cui pezzi originali per arpa sono combinati con trascrizioni di pezzi più e meno famosi, ne è un esempio. Cosa pensa di questa pratica?
Indubbiamente il repertorio per il mio strumento non può essere paragonato a quello di strumenti come il pianoforte, a quello degli archi e nemmeno a quello di molti strumenti a fiato. Questo problema rappresenta sicuramente un limite con il quale molti miei colleghi, anche nel passato, hanno dovuto confrontarsi. Ciononostante, negli ultimi anni, a causa di una palese saturazione di registrazioni degli stessi pezzi che hanno stancato gli appassionati di musica classica, c'è stata una grande rivalutazione di ottimi compositori, di trascrizioni e di strumenti discriminati dal mercato (penso all'ascesa degli strumenti a percussione con Martin Grubinger, del fagotto con Sergio Azzolini, del mandolino di Avi Avital, della viola con Antoine Tamestit e a molti altri) che era impensabile solo un decennio fa. L'ennesima produzione ed esecuzione di una sinfonia o sonata di Beethoven, delle stagioni vivaldiane o dei concerti di Ciaikovski hanno sbloccato inconsapevolmente sia il mercato discografico che quello concertistico e lo hanno spinto a dover proporre un repertorio inesplorato per attirare un pubblico ormai satollo e giustamente annoiato.
Ci terrei comunque a spiegare che la trascrizione non è un'usanza recente che riguarda solo il mio strumento. La pratica della trascrizione ha raggiunto proporzioni epidemiche nell'Ottocento, soprattutto sul pianoforte riusciva infatti a rappresentare in maniera soddisfacente l'originale, perché era in grado di
riprodurre quelli che allora erano considerati gli aspetti fondamentali della musica: le linee melodiche, l'armonia, il ritmo, con l'eccezione dei colori lasciati all'immaginazione dell'ascoltatore. La trascrizione viene utilizzata a piene mani per portare nelle case il repertorio orchestrale e operistico ed è stata per almeno un secolo un potentissimo strumento di divulgazione della musica. La necessità di diffondere la musica dei grandi compositori del XVII e XVIII secolo, adattandola alle caratteristiche e ai mezzi dello strumento più diffuso all'epoca, il pianoforte, ha fatto gareggiare i maggiori pianisti dell'epoca con trascrizioni che ancora oggi vengono suonate nelle sale da concerto. Listz e Busoni hanno trascritto da Bach, Respighi da Frescobaldi, Saint-Saëns da Gluck e Haydn, D'lndy da Rameau, Martucci da Handel ecc. Come i grandi esecutori del passato, anche quelli moderni hanno continuato a trascrivere, o meglio ad adattare e a rendere cosi eseguibile una composizione per strumenti sempre diversi, con lo scopo di consegnare all'ascoltatore un risultato finale quanto più simile a quello originale. A volte il cambio timbrico, una diversa risonanza e una articolazione mai usata in un brano pensato per un altro strumento, regala alla composizione stessa una luce nuova che permette di apprezzarla in modo nuovo e meno contaminato. Uno strumento in fondo non è che un attrezzo, un mezzo per esprimersi e la musica,
nella sua essenza, non cambia se viene eseguita da strumenti diversi. E' in questo senso che cerco e valuto i pezzi che vorrei suonare: come tutti gli esecutori vorrei raccontare al meglio la storia contenuta nei puntini neri sul pentagramma e toccare l'anima dell'ascoltatore ben aldilà dello strumento che suono.
Molti strumentisti si avvicinano a compositori contemporanei per chiedere di scrivere per il loro strumento. E' un modo, per ampliare e rinnovare il repertorio, ma anche per esplorare nuove tecniche e possibilità sonore per lo strumento. E' lo stesso per lei?
Grazie alla mia orchestra ho la possibilità di suonare molti concerti nella rassegna “Musica Viva”, fondata da K.A. Hartmann già nel 1948, che mi permette di avere ho una visione ampia sul mondo della musica contemporanea. Naturalmente è interessante per ogni strumentista ricevere l'attenzione di un compositore e poter collaborare per creare pezzi nuovi. Questi sono spesso una grande sfida, in quanto non battono territori conosciuti ma obbligano gli strumentisti ad andare oltre a ciò che sanno fare, sia tecnicamente che formalmente. Lo studio di un pezzo nuovo, dargli vita per la prima volta, sentirlo proprio è sempre un enorme sforzo, prende molta energia e lascia molti dubbi sulle proprie qualità, che prima si pensava di conoscere.
Oggigiorno ci sono compositori molto talentuosi, dei quali ho suonato grandi brani orchestrali, e nei quali riconosco sia una buona conoscenza del mio strumento che un linguaggio riconoscibile, una firma musicale (merce rara tra le migliaia di compositori contemporanei). Purtroppo, sono spesso anche i più costosi e occupati, per cui già per ragioni finanziarie e temporali è abbastanza utopico sperare di poter avere un loro pezzo. L'altro problema sarebbe poi trovare impresari e manager coraggiosi che permettano di presentare il brano dopo la prima assoluta: la mole di lavoro per imparare questi pezzi non sta in alcuna proporzione con la possibilità di eseguirlo.
Nella memoria collettiva, l'arpa è di solito associata ad atmosfere sottili, a suoni fluidi e sfuggenti. Un'intera generazione di strumentisti eccezionali sembra ora intenzionata a rivalutare e a riscoprire questo strumento: penso ad Andreas Vollenweider, Xavier de Maistre e ora a lei. Come descriverebbe il suo strumento?
L'arpa è uno strumento primordiale, antico, quasi arcaico. In orchestra ha molti ruoli diversi che sottolineano o caratterizzano una particolare situazione emotiva, uno stato d'animo, un cambio di luce, un jeu d'eau. Può avere sia un forte ruolo ritmico come addolcire, raffinare, scurire o schiarire il colore di altri strumenti. Una specie di eyeliner sonoro quando viene usato dai grandi compositori. In Mahler è per esempio spesso la chiave dei grandi slanci d'animo, rappresenta retoricamente il coraggio, la metamorfosi, la dolcezza infantile, la depressione più cupa oppure le campane da morto. Nella musica francese è probabilmente lo strumento più utile per la coloratura espressionista: con pochi accordi proietta l'ascoltatore nel mondo esotico, cinese o giapponese, che era così tipico ed evocativo per quell'arte. Basta infatti un tremolo sussurrato o la dolcezza di un suo glissato per evocare la purezza dell'acqua, una carezza materna, il fremire di un ramo o la vista annebbiata, sfuocata di un'illusione o di una magia. La sua paletta è davvero molto ampia, potrei continuare ancora tante righe per descriverne le sue molteplici qualità retoriche.
Come strumento solistico, alcuni ottimi compositori sono riusciti a utilizzare il potenziale di questo strumento ben oltre al tipico e usuale virtuosismo caratterizzato da cascate di note che tanto impressionano l'ascoltatore. Hanno saputo capire le sue capacita espressive, dandogli una grande forza lirica pur rispettando i suoi limiti. Pur essendo uno dei pochi strumenti armonici (indubbiamente il più vicino alle possibilità del pianoforte), il meccanismo del nostro strumento (7 pedali per modulare) limita le nostre possibilità cromatiche. Non si tratta però di uno strumento esclusivamente creato per colori o effetti, come viene spesso descritto o usato.
Una grande parte della musica che ho scelto per questo album è stata una sfida personale, volevo andare oltre al limite intrinseco di uno strumento a pizzico e trasmettere all'ascoltatore (e a me stessa) l`idea che un'arpa potesse cantare, produrre quello che noi musicisti in gergo chiamiamo una linea lunga, tenuta, lirica in cui la vocale dopo la consonante abbia una vita. In fondo è un problema che accomuna e preoccupa anche i pianisti, in quanto anche loro una volta toccato il tasto (che equivale per noi al pizzico della corda) non possono più intervenire sul suono come invece lo può fare una voce, uno strumento ad arco o ancora di più a fiato. Forse è solo un'utopia, ma lavorando intensamente per diminuire questo problema, mi sviluppo musicalmente e mi avvicino un poco all'ideale che vorrei raggiungere. Le sfide mi hanno sempre stimolata.
Come riesce a coordinare la sua attività di prima arpa nella famosa Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese (BRSO) con la sua carriera di solista?
Ricevere il planning delle stagioni future con largo anticipo è sicuramente di grande aiuto. Contrariamente a quello che accade in numerose istituzioni sinfoniche italiane, spagnole o francesi, il management in Germania ha sempre preferito una programmazione lunga. In questo momento stanno terminando di programmare la stagione del debutto del nostro nuovo direttore stabile Sir Simon Rattle che sarà nel 2023/24 e stanno lavorando alla stagione 2024/25, cosicché mi è possibile poter programmare con discreto anticipo i concerti solistici e ritagliarmi i periodi necessari per lo studio. Penso che la convivenza delle due attività mi renda musicalmente molto flessibile, mi permette di conoscere la musica all'interno di un gruppo e poi anche da “davanti”. Inoltre, è molto utile perché l'orchestra mi permette di conoscere personalmente molti direttori e solisti internazionali con i quali poi possono nascere delle collaborazioni musicali molto interessanti.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Per quanto riguarda i progetti lavorativi, sono immersa quotidianamente nella musica e all'interno del mio magma musicale aspetto che mi vengano delle intuizioni non banali. Poi cercherò di trasformarle in progetti strutturati e comunicativi, senza mai forzare la cosa. Sono piena di nuove idee, alcune le covo da un po' di tempo. Spero che alcune di loro si trasformeranno in progetti ben radicati e concreti. Ah sì, poi avrei una gran voglia di tornare nel vostro meraviglioso paese: tra i miei progetti futuri è decisamente il più urgente!
Stefano Pagliantini
("MUSICA" N. 335, Aprile 2022)

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