Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, ottobre 01, 2023

Il violino a corde umane...

Correva l'anni 1831.
Paganini, il diabolico Paganini, si era prodotto al teatro dell' Opera in sei concerti, suscitando entusiasmi anche maggiori di quelli che lo avevano accompagnato nelle sue trionfali escursioni in Italia e in Germania. - In presenza dell'artista fenomenale, alcuni professori d'orchestra del grande teatro aveano spezzato i loro strumenti.
Alla medesima epoca, era in Parigi un altro violinista, dotato di una abilità straordinaria, ma tuttora ignorato nel gran mondo dell'arte. Si chiamava Franz Sthoeny; - era nato a Stoccarda, e in quella città avea trascorso la gioventù nella pace della famiglia, alternando alle severe meditazioni della filosofia, gli esercizi dell'istrumento a quattro corde.
All'età di trentacinque anni, Franz era rimasto orfano e solo. Al morire della madre che lo avea adorato, che aveva esaurito per l'unico figlio tutte le economie di un patrimonio assai tenue, Franz si era accorto di esser povero.
La prospettiva dell'avvenire gli si era affacciata alla mente coi più lugubri colori. Che fare? - Il suo vecchio maestro di musica Samuele Klauss si era incaricato di rispondere alla terribile domanda. E la risposta, muta di parole, era stata eloquente.
Klauss avea preso per mano il suo allievo diletto, e, condottolo nella piccola sala dove tante volte avevano diviso insieme i fantastici diletti della musica, gli aveva additato la piccola cassetta dove il violino stava rinchiuso come un essere vivente in una tomba obbliata.
Quel cenno apriva a Franz Sthoeny una nuova carriera. Vendute le mobilie e le suppellettili della casa, l'artista era partito per Parigi in compagnia del suo maestro ed amico.
Prima che Paganini avesse dato al teatro dell'Opera i suoi meravigliosi concerti, Franz si era fatta, per una serie di esperienze e di raffronti, una convinzione superba ed un proposito irremovibile. - La convinzione era questa: di ritenersi superiore a tutti i più rinomati violinisti ch'egli aveva uditi nella capitale della Francia - il proposito era di spezzare il proprio istrumento, e con esso la sua esistenza, qualora non fosse riuscito a tenere il primo posto fra i suonatori dell'epoca. Il vecchio Klauss si compiaceva di quel nobile orgoglio, e credeva, lusingandolo, di compiere in buona fede una sant'opera.
Ma prima di prodursi al cospetto del pubblico, Franz aveva aspettato con trepida impazienza che il tanto decantato italiano facesse le sue prove a Parigi. Il nome di Paganini era stato, per alcuni mesi, una spina rovente al cuore di Franz - un incubo, un fantasma minaccioso allo spirito del vecchio Samuele.
Si l'uno che l'altro aveano più volte tremato per quel nome di artista - si l'uno che l'altro avevano presagito sinistramente della sua venuta a Parigi.
Chi può descrivere le ansie, gli spasimi, gli atroci entusiasmi di quella nefasta serata? - Franz e Samuele, alle prime arcate di Paganini, avevano rabbrividito. Il maestro e l'allievo, compresi da un entusiasmo che era per entrambi angoscia tremenda, non osarono guardarsi in faccia, non che ricambiarsi un accento.
A mezzanotte, dopo il concerto, rientrarono muti e lugubri nel loro appartamento.
«Samuele›› disse Franz gettandosi sovra una seggiola con portamento disperato «va'!... noi altri non siamo buoni a nulla - hai capito? - a nulla!... proprio a nulla!...»
Le rughe del vecchio maestro divennero livide. - Dopo breve silenzio, Samuele riprese con voce cupa:
«Eppure tu hai torto, Franz - io ti ho insegnato quanto si può insegnare da un maestro, e tu hai tutto imparato ciò che l'uomo può imparare dall'uomo. Qual colpa ci ho io, se questi dannati italiani, per primeggiare nel regno dell'arte, hanno ricorso alle ispirazioni del diavolo ed agli obbrobri della magia?»
Franz fissò gli occhi nel vecchio maestro con espressione sinistra: - quello sguardo parea dire: "ebbene! a che mai tanti scrupoli?... pur di elevarmi a tanta potenza nell'arte, ed io pure mi darei al diavolo, anima e corpo!".
Samuele indovinò quell'atroce pensiero, e riprese la parola con calma simulata:
«Tu conosci la storia miseranda del celebre Tartini. Egli morì in una notte di sabbato, strangolato dal suo demonio famigliare, che gli aveva insegnato la maniera di dare anima al violino, incorporando in esso lo spirito di una vergine. Paganini ha fatto di più. Paganini, per comunicare al proprio istromento i gemiti, i gridi desolati, le note più strazianti della voce umana, si è fatto assassino dell'uomo che più gli era affezionato sulla terra, e coi visceri della sua vittima ha composto le quattro corde del suo violino fatato. Eccoti il segreto di quel fascino, di quella potenza irresistibile di suoni, che tu, mio povero Franz, non potresti mai uguagliare, se prima...»
E il vecchio tronco a mezzo la frase.
La sua voce era paralizzata da uno sgomento misterioso.
Franz, abbassando gli occhi, uscì dopo alcuni minuti in questa domanda:
«E tu credi, Samuele, che arriverei anch'io ad ottenere gli effetti inauditi, a suscitare gli entusiasmi di Paganini, qualora le corde del mio istromento fossero composte di fibra umana?»
«Pur troppo!» esclamò il maestro con singolare espressione «ma per ottenere l'intento, non basta che le corde siano composte di fibra umana; è necessario che questa fibra abbia fatto parte di un corpo simpatico. Tartini comunico la vita al proprio violino, introducendo in esso l'anima di una vergine - ma quella vergine era morta di amore per lui; e il satanico artista, assistendola nelle ultime agonie, a mezzo di una cannuccia, avea fatto passare nello istromento lo spirito della moribonda. Quanto a Paganini, l'ho già detto che egli assassino il migliore dei suoi amici, la persona che più gli era legata di benevolenza - e la assassinò per strappargli le viscere e per convertirle in altrettante corde da suono»
«Oh! la voce umana! - il miracolo della voce umana» proseguì Samuele dopo breve silenzio. «Credi tu dunque, mio povero Franz, che io non ti avrei insegnato a produrla, se questa si potesse ottenere coi mezzi dell'arte, di quell'arte nobile e santa che vuol vivere di sé stessa, che vuol risplendere della sua propria luce, che disdegna le bassezze e le ciurmerie, che ha in orrore i delitti?»
Franz non ebbe forza di proferire un accento. Si levò in piedi con una pacatezza sinistra che rivelava la più profonda agitazione - prese in mano il violino - fissò nelle corde un'occhiata sprezzante e minacciosa - e poi, afferratele con impeto convulso, le strappò dallo istromento.
Il vecchio Samuele mandò un grido. Le corde ridotte a gomitolo erano state lanciate nelle brage del caminetto, e quivi si contorcevano stridendo, come al contatto del fuoco un gruppo di serpenti assiderato.
Samuele tolse dalla tavola un candeliere, e si avviò alla sua camera da letto senza salutare l'allievo.
Passarono settimane - passarono mesi. Una cupa malinconia si era impossessata di Franz. Il violino, vedovo delle corde, pendeva dalla parete, polveroso e negletto. Samuele e Franz pranzavano insieme ogni giorno e ogni sera stavano assisi l'uno di fronte all'altro, nel medesimo salottino - ma l'uno non osava rivolgere all'altro la parola - si guardavano in silenzio come due muti. - Dal momento che il violino non ebbe più corde, anche quei due esseri animati parvero smarrire l'uso della favella.
«E' tempo che ciò finisca!» esclamò finalmente il vecchio Samuele. E quella sera, prima di ritirarsi nella camera da letto, si accostò all'amico per imprimergli un bacio sulla fronte. Franz si riscosse dal suo triste letargo, e ripeté meccanicamente le parole del maestro: «E' tempo che ciò finisca"».
Si separarono - e ciascuno andò a coricarsi.
All'indomani, quando Franz aperse gli occhi alla luce del giorno, si meravigliò di non trovare vicino al suo letto il vecchio maestro che era solito levarsi prima di lui.
«Samuele! mio buono... mio ottimo Samuele!» gridò Franz balzando dalle coltri per slanciarsi nella camera del maestro.
Franz fu atterrito dalla propria voce, ma più ancora dal silenzio lugubre che a quella rispose.
Vi sono dei silenzi profondi che annunziano la morte.
Presso al letto dei cadaveri e nel vano delle tombe, il silenzio acquista una intensità misteriosa che colpisce l'anima di terrore.
La severa testa di Samuele giaceva irrigidita sul capezzale - i contorni salienti di quella testa erano una fronte calva sfolgorante di luce e una barba grigia acuminata che pareva erigersi al cielo.
Alla vista di quel cadavere Franz provò una scossa terribile - ma la natura dell'uomo e la natura dell'artista si risentirono in lui ad un medesimo tempo, e in quella lotta di sentimenti il dolore rimase ben tosto paralizzato. Le passioni dell'artista prevalsero sui più teneri istinti dell'uomo, e li soffocarono.
Una lettera all'indirizzo di Franz giaceva sulla tavola da notte. - Il violinista l'aperse tremando:

"Mio caro Franz,
"Al momento in cui leggerai questo scritto, avrò compiuto il più grande e l' ultimo sacrifizio che io, tuo maestro e tuo unico amico, poteva fare per la tua gloria. La persona che al mondo ti amava sopra ogni altro, non è più che un corpo insensibile: del tuo vecchio maestro non rimane oggimai a te dinanzi che la materia organica impassibile. Io non ti suggerirò ciò che ti resta da fare.
"Non lasciarti atterrire da scrupoli vani o da stolte superstizioni. - Io ti immolo il mio cadavere perché tu abbia ad usarne per la tua gloria - ti macchieresti della più nera ingratitudine rendendo vano il mio sacrificio. - Quando tu avrai ridonate le corde al tuo violino - quando queste corde si comporranno della mia fibra e avranno la voce, il gemito, il pianto del mio fervido amore - allora, o Franz, non temere di nessuno, - allora prendi il tuo strumento, mettiti sulle orme dell'uomo che ci ha fatto tanto male - presentati nel campo dov'egli superbamente ha potuto imperare fino a questo giorno - gettagli in volto il tuo guanto di sfida! Oh! sentirai come la nota di amore uscirà potente dal tuo violino, quando tu, accarezzando le corde, ti sovverrai che desse furono parte del tuo vecchio maestro, che ora ti bacia per l'ultima volta e ti benedice.
Samuele”

Due lacrime sgorgarono dagli occhi di Franz, ma tosto parvero essiccarsi per effetto di una vampa latente. Le pupille del fantastico suonatore, fisse nel morto, lampeggiavano come quelle della strige.
La nostra penna rifugge dal descrivere ciò che accadde in quella stanza di morte, dacché i medici ebbero praticata l'autopsia del cadavere. A noi basti accennare che le ultime volontà dell'eroico Samuele vennero compiute, che Franz non esitò punto a procacciarsi le corde fatali onde egli sperava dar anima al suo violino.
Quelle corde, di là a quindici giorni, erano distese sullo strumento. Franz non osava guardarle. Una sera volle provarsi a suonare, ma l'arco gli tremava nella mano come lama di stocco nel pugno di un assassino esordiente.
«Non importa!»› esclamò Franz, rinserrando il violino nella cassetta «questi sciocchi terrori spariranno quando io mi troverò in presenza del mio potente rivale. La volontà del mio povero Samuele vuol essere compita... sarà un grande trionfo per me e per lui... se riuscirò ad uguagliare... a superare Paganini!»
Ma il celebre violinista non era più a Parigi. A quell'epoca Paganini dava al teatro di Gand una serie di concerti.
Una sera, mentre il diabolico artista sedeva a mensa circondato da una eletta compagnia di musicisti, Franz entrò nella sala dell'albergo, e muovendo all'indirizzo di Paganini, senza dir motto, gli consegnò un biglietto da visita.
Paganini lesse - lanciò sullo sconosciuto una di quelle occhiate fulminee cui l'occhio più temerario non può sostenere - ma vedendo che l'altro teneva fermo e pareva a sua volta sfidarlo colla impassibilità dello sguardo: «Signore» gli disse con voce secca «i vostri desiderii saranno esauditi!». E Franz, salutando cortesemente i convitati, uscì dalla sala.
Due giorni dopo, nella città di Gand era esposto un avviso che annunziava l'ultimo concerto di Paganini. Nelle ultime linee del programma, stampato a lettere cubitali, spiccava una nota singolare che eccitava in sommo grado la pubblica curiosità, ed era oggetto di mille commenti!
"In detta sera” diceva la nota "si produrrà per la prima volta l'egregio violinista alemanno signor Franz Sthoeny, il quale si è recato espressamente a Gand per gettare il guanto di sfida all'illustre Paganini, dichiarandosi pronto a competere con lui nella esecuzione dei pezzi più difficili. Avendo l'illustri Paganini accettata la sfida, il signor Franz Sthoeny dovrà eseguire, in confronto dell'insuperato violinista, la famosa 'Fantasia-Capriccio' che si intitola Le streghe".
L'effetto di quell'annuncio fu magnetico. Paganini, che in mezzo alle agitazioni ed ai trionfi, non perdeva mai d'occhio il punto luminoso della speculazione, credette bene, per quella occasione, di rincarare del doppio il prezzo dei biglietti. - E' inutile dire ch'egli aveva calcolato perfettamente. Tutta la città di Gand, quella sera, parve riversarsi in teatro.
All'ora terribile del cimento, Franz si recò nella sala del ridotto, dove Paganini lo aveva preceduto.
«Bravo figliuolo! avete fatto bene ad anticipare la vostra venuta» disse Paganini «sarà bene che noi invertiamo l'ordine del programma. Mi preme di sbrigare questa faccenda, per non essere disturbato nella esecuzione degli altri miei pezzi. - Siete voi pronto?»
«Io sono ai vostri ordini» rispose Franz pacatamente.
Paganini fece alzare il sipario, e tosto si presentò al proscenio fra un uragano di applausi e di grida frenetiche.
Non mai l'artista italiano, nell'eseguire quella diabolica composizione che si intitola le Streghe, aveva rivelato una potenza cosi diabolica. Le corde del violino, sotto la pressione delle falangi scarnate, si contorcevano come viscere palpitanti - l'occhio satanico del violinista evocava l'inferno dalle cavità misteriose del suo istromento. - I suoni prendevano forma, e, intorno a quel mago dell'arte, parevano danzare oscenamente delle figure fantastiche. Nel vuoto del palco scenico una inesplicabile fantasmagoria formata dalle vibrazioni sonore rappresentava le orgie invereconde e gli osceni connubi del Sabba.
Quando Paganini poté finalmente ritirarsi dalla scena, ove ad ogni tratto lo richiamavano le strepitose acclamazioni del pubblico, nella sala del ridotto incontrò Franz che aveva finito di accordare il violino, e già muoveva per slanciarsi nell'arringo.
Paganini rimase stupito nel mirare l'impassibilità del suo competitore, e l'aria di sicurezza che gli brillava nel volto.
Franz si avanzò verso il proscenio, accolto da un silenzio glaciale. Soggiogati dal fascino di Paganini, gli spettatori guardavano il nuovo arrivato come si guarda un povero ebete, che affronta un assurdo cimento.
Nellameno, alle prime arcate di Franz, l'attenzione degli spettatori si fece vivissima.
Franz era un esecutore abilissimo, uno di quegli esecutori pei quali la difficoltà non esiste. Il vecchio Samuele non aveva mentito il giorno in cui gli aveva detto: io ti ho insegnato tutto ciò che si può insegnare e tu hai imparato tutto quello che si può apprendere.
Ma ciò che Franz aveva sognato di ottenere per effetto delle corde simpatiche; il gemito della passione, il grido straziante dell'agonia, il ruggito della foresta e l'ululo dei dannati - ciò che il vecchio Samuele immolandogli sé stesso e dotando di corde umane lo strumento di lui - tutto questo edifizio di illusioni, di speranze, che nell'anima dell'artista alemanno si erano tramutare in fede sicura - tutto svanì in un istante...
Sotto il colpo di un terribile disinganno, Franz smarri il coraggio e le forze... Invocò sommessamente il nome del defunto maestro - lo pregò... lo maledi nel segreto dell'anima sua - lo gridò traditore, scellerato. Poi, stanco della prova, disperato dell'esito, strappò dal violino le corde fatali, le gettò al suolo, e si fece a calpestarle con rabbia feroce.
«E' pazzo! è pazzo! - fermatelo... soccorretelo!» gridarono cento voci dalla platea.
Franz si allontanò dal proscenio, ed entrato precipitosamente nelle quinte, andò a prostrarsi ai piedi di Paganini.
«Perdono! mille volte perdono!» gridò Franz con accento disperato «io aveva creduto... io aveva sperato...»
Paganini stese le braccia a quel povero sconfitto; lo sollevò da terra, e, abbracciandolo come un fratello, gli disse: «Tu hai suonato divinamente... tu sei un grande artista.. ciò che ti manca...»
«Oh/ so ben ciò che mi manca» esclamò Franz singhiozzando «ma il vecchio Samuele mi ha tradito!..»
E Franz narrò a Paganini l'istoria delle corde umane, esponendogli ingenuamente le illusioni a cui si era affdato.
«Povero Franz!» esclamò il violinista italiano con sarcastica pietà «tu hai dimenticato una circostanza per la quale le corde del tuo violino non potevano competere colle mie nella vivacità, nel calore, nell'impeto della passione... Non hai tu detto che il tuo vecchio maestro era tedesco!»
«Senza dubbio - egli era tedesco come io lo sono...»
«Ebbene; ecco appunto la circostanza sfavorevole» proseguì Paganini battendo sulla spalla del povero Franz. «Un'altra volta, quando vorrai comunicare al tuo violino l'anima, il fuoco, la passione, la vivacità che io possiedo, fa' che le tue corde siano composte di fibra italiana»
E aggiunse sottovoce: «E fa' anche di procacciarti, se lo puoi, un'anima da italiano».
Antonio Ghislanzoni
(da Racconti e novelle, Milano, Sonzogno 1884)

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