Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, novembre 05, 2005

Italo Calvino librettista

Non volevo portarvi da Italo Calvino. Con gli scrittori come lui, il rapporto è già intenso e inviolabile: che dire di presenza? Le sue parole si sono insinuate nelle nostre cose quotidiane, come suggerimento discreto, come idee, come palpito: siamo segretamente familiari e complici. Amasse almeno fare conoscenze, comunicare alla maniera cordiale, cercare negli incontri l'imprevisto. E invece è un tipo che ha scritto che la freccia penetrata nella carne nuda di un fianco non può essere sufficiente per esprimere che cosa sente quando squilla il telefono: l'inesorabilità perentoria, senza modulazioni, della freccia esclude tutte le intenzioni, le implicazioni, le esitazioni che può avere la voce di qualcuno che non vedo. No: finché era solamente il nostro poeta, cioè il narratore del Visconte dimezzato, di Ti con zero, di Se una notte d'inverno un viaggiatore e di tant'altre cose, mai sarei entrato insieme a voi a casa sua, né mai l'avrei cercato. Non si telefona a Leopardi o a Dostoevskij, nemmeno per ringraziare.
Ma sui programmi musicali oggi si legge: dal 20 febbraio, a Venezia, Zaide, opera incompiuta di Wolfgang Amadeus Mozart, incominciata prima del 1780 e abbandonata certamente almeno dal 1782, testo aggiunto di Italo Calvino; dal 3 marzo, alla Scala, La vera storia, opera di Luciano Berio, incominciata prima del 1980 e compiuta definitivamente nel 1982, libretto di Italo Calvino. E' lui che ha invaso il nostro campo, che si è improvvisamente impossessato di duecento anni di musica, e si è fatto personaggio musicale del mese ed anche più. Si telefonerebbe a Francesco Maria Piave, a Cammarano, a Metastasio? Non so: ma qui come si può frenare il desiderio e l'obbligo di sapere che cosa accada a un letterato che entra da protagonista nella musica antica e nascente? E così accade di comporre un numero, e presto di sentire una voce stanca e ruvida - la freccia nella carne nuda del fianco che mormora, disapprovante: Incontriamoci sabato, ma non capisco perché.

La casa di Calvino è quieta e luminosa, ci sono tavoli ed oggetti d'arte primitiva, e lunghi spazi, c'è la terrazza da cui si vede tutta Roma com'è possibile in quella città pigra e attenta, ci sono i libri, naturalmente, e voi sareste in imbarazzo, sapendo chi ci abita, e immaginando quanti ne debba avere letti, se non fosse che avete già la sua raccomandazione prescritta con saggezza nell'ultimo romanzo: Tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro si estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi Fare a Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D'Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D'Essere Stato Scritto, la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono, lefalangi dei Libri Che Hai Intenzione Di Leggere...
Nella casa, posato su un divano, con discrezione come non volesse disturbare, c'è Italo Calvino, e guarda educatissimo, paziente e diffidente. Sarà per colpa del Barone rampante, ma il suo volto nelle fotografie pubblicate ha sempre qualchecosa di araldico e proteso, mentre dal vivo prende una sua riservatezza tranquilla, dimessa se non fosse scrutatrice e misteriosa all'evenienza - ma proprio all'evenienza. Ogni non molto, mentre parla, si passa la mano tormentosa sopra il viso; e parla lento, pensato, con pause come se dettasse o forse ancora di più come se cercasse di dare al primo colpo le parole definitive.

E così, lei è il librettista di Mozart e di Berio.
Eh, no... Si tratta di due lavori completamente diversi.
In tutt'e due i casi, poi, il mio era un compito piccolo: due fatti musicali che ad un certo punto avevano bisogno della parola; e così ci si è rivolti a un artigiano della parola.

MOZART

Per la Zaide, si è trattato di una scelta di Adam Pollock, che nel Convento di Santa Croce a Batignano organizza d'estate spettacoli d'opere del Seicento e Settecento. Di Zaide sono rimasti quindici pezzi musicati, su libretto di Schachtner, per metterla in scena di solito si cerca di integrarla con recitativi per ovviare all'incompiutezza del libretto e con altri pezzi mozartiani per ovviare a quella della musica.
Pollock invece ha cercato uno scrittore per avere un testo in prosa che servisse
a collegare i pezzi autentici esistenti, una narrazione che facesse da cornice;
si è rivolto a me come autore delle Città invisibili, che tratta dell'Oriente favoloso, e del Castello dei destini incrociati, che ha una struttura combinatoria di storie che collegano un certo numero di elementi dati. Un attore dice il mio testo, suggerendo ipotesi sul libretto perduto, che sono mie congetture; ma non ho voluto creare l'illusione d'un'opera compiuta, anzi ho voluto mettere in valore lo stato d'animo di sospensione che comunica ogni opera incompiuta.

E così è nata una compiutezza diversa, che creiamo noi... voglio dire noi con lei. Lei richiama gli attori a svolgere l'azione, facendocela immaginare con significato ogni volta diverso, e poco a poco le nostre domande si sovrappongono, diventano un tipo di domanda sola, anzi un'attesa, l'ascolto si carica di presagi, e la musica di Mozart risponde, rivelando risvolti emozionanti. E' un contributo critico, ed un fatto tutto interno, mozartiano...
Lei pensa così? Io scrivendo quel testo e vedendolo rappresentato ho sempre avuto il dubbio che mi rimane anche adesso, ho sempre paura di aver tradito qualcosa.
Mi viene in mente che Gianfranco Contini nella sua antologia del Novecento ha parlato, a proposito di lei, d'un "impianto settecentesco, quasi illuminista". Utile per affrontare Mozart? 0 giocano altre congenialità?
Ah, la musica del Settecento, soprattutto Haydn e naturalmente Mozart, mi piace molto. Per il mio lavoro attorno a Zaide, quello che m'incoraggia è che Mozart era anche lui uno che usava una tecnica combinatoria. Per spiegarmi dovrei essere un musicologo, ma so che per esempio ci sono degli sviluppi di figure musicali così che determinati motivi passano a momenti compositivi completamente diversi con significati completamente diversi. Insomma c'è quest'aspetto tecnico, che veicola soprattutto una grande energia, una grande vitalità, che fa sì che mi senta autorizzato ad accompagnare Mozart mediante operazioni tecnicamente non dissimili sul piano della parola. Anche se il dubbio resta...
Non è possibile che lei sia così umile. Ci dev'essere qualche trucco segreto.
Eh, no: il mondo della musica mi dà soggezione.

BERIO

Bene, così è andata con Mozart. E con Berio?
Con Berio siamo amici da molti anni. Nel '56, a Venezia, mi chiese di collaborare con lui per una cosa che si chiamava Allez-hop: si trattava di collegare attraverso un'azione scenica tre pezzi dati. E sempre in questi anni, da un aeroporto o da un altro, mi telefonava: «Puoi scrivermi le parole per ... ?». Ogni tanto ho provato. Lui è un musicista che ha sempre un'idea musicale precisa, vuole un testo, aspetta solo che le parole che scrivo si adattino perfettamente alla sua idea. Anche per La vera storia aveva a grandi linee una sua idea drammaturgica. La sua idea era di dare in qualche modo l'essenza di determinate funzioni operistiche; adottare uno schema drammatico molto forte, anche se non precisato naturalisticamente, per fare opera, mettendo tutte le emozioni che fanno dell'opera anche uno spettacolo popolare.
Berio qualche tempo fa ci ha parlato del punto di riferimento nel Trovatore.
Sì, la prima cosa che m'ha detto per mettermi in situazione è stato Il Trovatore. Ma non so se adesso Luciano... Da quanto tempo non lo sente?
E' già un certo numero di mesi, sull'argomento. Ma su Musica Viva quando ancora l'opera era in formazione abbiamo pubblicato qualche pagina inedita: c'era per esempio un personaggio che diceva intense parole: Il tempo in pezzi frantumato logoro catena d'ansie che stride e si chiamava proprio come la protagonista del Trovatore di Verdi, Leonora. Proprio Luciano Berio poi ci aveva promesso una specie di Azucena, nel senso che ci dev'essere una donna che si fa carico di tutte le colpe... E poi qualcosa come un Manrico ed un Conte di Luna...
C'è una madre, un personaggio molto dolente, piena di forza. Ci sono due che potrebbero essere due fratelli, uno potente, l'altro un ribelle, c'è una donna divisa fra i due, ma questo è appena accennato. C'è una festa che diventa anche un'esecuzione capitale, una rivoluzione; erano cose molto chiare nell'immaginazione musicale e anche scenica di Berio... e voleva delle ballate. C'è una prigione; c'è un duello, una specie di concettualizzazione... Scusi la diffidenza: ma tutto questo lo verremo a sapere ascoltando l'opera? Penso di sì. Non credo che ci sia un'intellettualizzazione. C'è un'analisi dell'opera, tanto che nella seconda parte i materiali ritornano in una condizione diversa. Ma è una vera opera, dove i singoli elementi figurano nella loro essenza, spogliati di...
Italo Calvino continua a parlar lento, definitivo. Ma qui si ferma, esita. Si chiede: «spogliati di che cosa?» E non dà risposta, ma non bara, torna indietro: figurano nella loro essenza.
Ma quanto al Trovatore, senta, quando quest'autunno a Venezia è stata presentata una suite dell'opera, io ho dovuto scrivere qualche nota di presentazione, e ho messo del Trovatore, in due righe, ma Luciano me le ha cancellate.
Ad un Settecentesco contemporaneo come lei, che effetto fa il Trovatore? Ah, è un'opera che mi piace molto.
Va spesso all'opera?
Beh, non sono uno dei fanatici. Ma quando vado all'opera sono tutto contento.

IL TEATRO

Perché ha scritto cosi poco per il teatro?
Chissà, me lo sono chiesto spesso. Nella mia adolescenza, volevo scrivere per il teatro: a vent'anni pensavo che l'avrei fatto. Ma nel dopoguerra, la narrativa spingeva... il teatro era più questione di registi che di autori. Non mi sono mai trovato coinvolto.
Eppure si sente che ci sarebbe nato. Il suo testo con l'intervista radiofonica all'uomo di Neanderthal, ad esempio..: A proposito, lei ha sempre interessi puntuali, imprevedibili. Un'attenzione alla scienza, ad esempio.
Non so. Sarà che sono figlio di scienziati... Non ho voluto mai studiare la scienza da giovane... Cerco di recuperare un po' di metodo attraverso la parola. Ma non sono affatto competente. Proprio ieri ho ricevuto, ad esempio, una lettera dalla California. Una pittrice che ama molto gli animali marini era tutta scandalizzata perché definisco il riccio di mare un mollusco, mentre è un echinoderma. Mi dice che crede proprio che si tratti della traduzione errata, invece l'ho proprio scritto io. Lei vede...
Ma io non parlo delle tante nozioni, che però ci sono. Parlo dell'occhio con cui guarda i dettagli anche tecnici delle cose. Il ritmo del lavoro, per esempio, che cattura e ci rende affettuosamente familiare, anche nelle cose più lontane da noi...
Nella vita di tutti i giorni sono un incompetente. Quando scrivo sento il bisogno di simulare la competenza. E' un mio atto d'amore in cui io mimo la competenza.
Fa parte dell'attenzione al ritmo attuale della vita, con tutti gli incroci di sensazioni, percezioni, culture, idee, anche quel suo modo di scrivere a strutture complesse e intricate e sovrapposte? Pensa che sia anche un nostro bisogno di lettori ritrovarsi in questo tipo di forme?
C'è in chi scrive, questo bisogno. Ma guardi che anche nei racconti più realistici degli inizi, anche se era tutto vero quello che descrivevo, ero attento allo sviluppo esaustivo delle possibilità dell'argomento.
In questo, certamente, è vicino a Luciano Berio, che ingloba, sovrappone, fa percepire insieme tutte le forme e le strutture musicali possibili: per lui il linguaggio è sempre una somma di linguaggi, in questo trova il suo metodo diretto di comunicare...
Eh, sì, mi pare che Berio abbia una grande forza d'invenzione e capacità di fare entrare nel suo discorso le forme musicali anche più lontane dall'avanguardia musicale. E' anche uno straordinario lavoratore. L'ammiro molto come forza della natura.
Perché negli ambienti della sinistra ufficiale, o almeno nei più impegnati, Berio è guardato spesso con sospetto, come se questa disponibilità onnivora fosse una sorta di qualunquismo?
E' pericoloso parlare di queste cose, perché magari allora lui cerca di dimostrare il contrario. Naturalmente io non so... Sono parecchi decenni che non frequento più le ideologie.
E si sente bene?
Oh, sì, sì!
E in che cosa crede?
Eh, credo in quelli che credono nelle cose che fanno, e credo nelle cose fatte da quelli che ci credono.
E lei adesso che cosa sta facendo?
Sto per convincermi che sto per cominciare a scrivere un romanzo.
E la musica?
Ho sempre pensato che a un certo momento mi sarei dedicato più alla musica.
Avendo studiato musica, a che cosa si dedicherebbe?
Ah, credo soprattutto alla musica sinfonica e da camera, lasciando l'opera come piacere.
Ma in che ruolo?
Ah! E' vero. Per sapere, per capire bene, credo proprio che dovrei fare il compositore.
Intanto fa il librettista.
Oh, no. Non sono un librettista.
Muove il braccio con gesto lento e ripetuto, come a dire: ce ne passa... Guarda lontano, come posseduto da un'invidia favolosa.
Oh, no: i librettisti avevano un'autorità... che io non ho. Vuol mettere Francesco Maria Piave?

intervista di Lorenzo Arruga (Musica Viva, Anno VI n.2, febbraio 1982)

1 commento:

Energie Rinnovabili ha detto...

Bellissima intervista!
Io cerco il testo, il libretto, di un'operetta costruita sul Visconte dimezzato e di cui Calvino ha scritto almeno una parte se non tutto il testo. Potete aiutarmi? Cito a memoria, forse non con totale precisione un pezzettino: "Negli alberi qui crescono pere spaccate in due, per le brughiere guizzano lucertole a metà..." Daniela Marretti