Nessun capitolo della storia della musica è circonfuso di connotati romanzeschi quanto quello intitolato a Richard Wagner. Creatore e creature tendono a confondersi in un repertorio iconografico dove eventi storici e metastorici si mescolano inestricabilmente. Casa Wahnfried e il Walhalla, Mathilde Wesendonck e Isolde, Bayreuth e Monsalvato si mutano in ingredienti capaci di alimentare nel subconscio del "Perfect Wagnerite" una caleidoscopica vertigine (tanto che esegeti illustri come Nietzsche e G.B.Shaw giungono a proposito per scacciare un sospetto di kitsch).
Tutta la vita di Wagner si svolse all'insegna del romanzesco: dagli amori proibiti con Cosima Liszt Bülow, alla protezione del "re folle" Ludovico II di Baviera, alla scomparsa in una "città morta" per definizione come Venezia. Anni orsono un editore dedicò alla saga dei Wagner un fotolibro (The Wagner Family Album, questo il titolo della versione inglese). Al confronto delle sue immagini persino la saga dei Kennedy o quella della famiglia reale britannica appaiono scipite: in nessuna passa un soffio tanto potente di "teatro della vita". La Storia con l'iniziale maiuscola s'è incaricata di conferire un'ulteriore patina al teatro di Bayreuth. L'era hitleriana ha caricato gli eroi del "Ton und Wort Drama" di simbolismi, rendendo gli eroi della Tetralogia "altro" da ciò ch'essi rappresentavano nelle intenzioni dell'autore. Siegmund e Siegfried si sono metamorfosati in eroi ariani, Wotan bendato in una sorta di veterano con la Croce di Ferro. Ovvietà? Forse. E tuttavia chiunque può constatare quanto il mélange Wagner-Nazismo giochi ancor oggi nell'immaginario popolare (ricordate i Predatori dell'arca perduta di Spielberg?). Le tinte forti del teatro wagneriano sembrano aver influenzato persino la morfologia dei suoi interpreti. Una mimesis, un processo di autoidentificazione, che ha condotto più di un divo di Bayreuth ad assomigliare agli eroi impersonati in scena. Pensiamo alla lunga teoria di "Heldentenore", di tenori eroici, sull'arco che congiunge gli anni '30 ad oggi: l'aitante Max Lorenz a Peter Hofmann, bello e biondo come un maestro di sci. Artisti di questa fatta suggeriscono l'impressione che perfino nella vita di tutti i giorni, con indosso gli abiti borghesi, gli interpreti conservino qualcosa del titanismo di un Lohengrin o di un Siegmund. Il Wagner Family Album accoglie un'istantanea dei funerali di Siegfried Wagner, figlio del "genius loci", che nella sua drammaticità è esemplare di quanto stiamo dicendo. Il dolore autentico che gli illustri necrofori (il basso-baritono Friedrich Schorr, i tenori Lauritz Melchior e Gunnar Graarud, ecc.) hanno dipinto in viso, si muta involontariamente in teatro come sotto il tocco di un regista che avesse scelto la chiave dell'Ottocento borghese per il corteo funerario del Götterdämmerung.
Se è vero - come è vero - che per interpretare i ruoli wagneriani occorre un physique da rôle - e che in generale il teatro di Wagner è cosi intimamente connesso alla cultura tedesca che solo i musicisti della Mitteleuropa ne riescono interpreti "idiomatici" - il caso di Hans Knappertsbusch è paradigmatico. Interprete Wagneriano visionario non meno di un Karl Muck o di un Wilhelm Furtwängler, Knappertsbusch fu intimamente legato al mondo musicale del genio di Bayreuth perfino in termini di genealogia artistica. Il suo maestro, Hans Richter, fu braccio destro di Wagner durante le stagioni inaugurali della manifestazione bavarese. Germanico Knappertsbusch lo era anche nell'aspetto e ad un grado tale da parere caricaturale. Nei ritratti degli ultimi anni la sua espressione ricorda quella di un Hunding. Il volto marziale squadrato con l'accetta, gli occhi glauchi chiusi fra palpebre strette come fessure, le labbra in attitudine di perenne impassibilità, ne fanno l'archetipo dello "Junker", l'aristocratico prussiano, il latifondista di origini feudali. Caratteristico era anche il suo taglio di capelli, ondulati e con tanto di ciuffo ribelle in fronte ma rasati dal collo fino al vertice della nuca (coiffure degna dell'Erich von Stroheim di La grande illusion). Cßè un film sonoro girato a Berlino negli anni Trenta che mostra Knappertsbusch intento a dirigere l'epilogo della "Corale" beethoveniana. Il lungo spezzone si risolve in un'inquadratura fissa del direttore - un mezzo primo piano frontale - che colpisce per il contrasto stridente fra la veemenza musicale dell'Ode e l'imperturbabilità del viso di Knappertsbusch. La divergenza fra l'espressività dell'evento musicale e l'inespressività mimica dell'interprete fa pensare a Buster Keaton. Il tocco "retrò" nel look del personaggio era arricchito da certi voluminosi papillon di seta che persino nelle foto in bianco e nero paiono chiassosi e di pessimo gusto. Quest'aspetto dell'uomo era tuttavia in aperto contrasto con il suo carattere. Il quale di teutonicamente autoritario aveva poco o punto. In un'epoca di autocrati Knappertsbusch, chiamato familiarmente Kna dagli ammiratori per ragioni di brevità, rifuggì sempre dalle intemperanze dei dittatori della bacchetta (alla Bernardino Molinari o alla Toscanini per intenderci). Succedendo nel 1922 a Bruno Walter alla testa dell'Opera di Stato Bavarese, ne ereditò lo stile discreto e suadente nel trattare collaboratori, compagnia di canto e orchestra. Nato ad Elberfeld il 12 marzo 1888, Kna seguì un regolare corso di studi umanistici. Dopo il liceo s'iscrisse alla Facoltà di Filosofia dell'Università di Bonn. Gli studi musicali in un contesto accademico vennero da lui iniziati tardi. Ragazzino aveva provato a dirigere orchestrine scolastiche ma aveva compiuto 21 anni quando nel 1909 s'iscrisse al Conservatorio di Colonia, seguendo per tre anni i corsi di Otto Lohse e del celebre direttore d'orchestra Fritz Steinbach. Dal 1906 al 1911 il giovanotto fece pratica a Bayreuth, come già detto, con Hans Richter, di cui fu allievo e assistente. Kna entrò in carriera nel 1910 lavorando per un oscuro teatro di provincia, a Mühlheim. I primi autentici elogi se li guadagnò in Olanda dove, come allievo di Richter, venne invitato a dirigere un ciclo di opere Wagneriane. Lasciata Mühlheim, nel 1913, dopo un breve periodo di lavoro a Bochurn fece ritorno nella città natale e per cinque anni vi servì come direttore musicale.
Nel 1918, al termine della Grande Guerra, la sua carriera mise le ali: per un anno fu primo direttore dell'Opera di Lipsia e dal 1919 al 1922 capitanò l'Opera di Dessau. Nel 1922 il grande evento, con la già citata sostituzione di Bruno Walter alla testa dell'Opera di Monaco. Nella capitale bavarese il giovanotto d'aspetto marziale, coccolato come accade ad ogni enfant du pays, divenne un idolo. In particolare il cartellone estivo (le tradizionali Festwochen), ricco di prestigiosi ospiti nella compagnia di canto, lo vide brillare fin dalla prima metà degli anni '20. Il fatto d'essere più giovane d'oltre una decina d'anni di Bruno Walter giovò al suo prestigio. Le sue esecuzioni di opere di Mozart, Wagner e Richard Strauss furono giudicate autorevoli anche nel contesto della ricca tradizione bavarese e allo stesso tempo piene di personalità. Lo stile derivava direttamente da quello di Richter e di Steinbach (ammirato come interprete brahmsiano, quest'ultimo, persino dal giovane Toscanini): grandioso, incline a ondate sonore piazzate in passaggi raggiunti senza fretta, con un passo ritmico battuto inesorabilmente. Quando i nazisti andarono al potere, lo Junker di Elberfeld entrò subito in conflitto col regime. Quel cavaliere dell'ordine teutonico non aveva niente a che spartire con i gerarchi di Berlino, borghesucci a dispetto degli stivaloni lucidi e delle divise grondanti decorazioni: era fatale che prima o poi, nonostante la popolarità presso il pubblico di Monaco, nascesse qualche conflitto. ll 20 ottobre 1934, allorché Kna diresse la prima assoluta di Lucedia, opera dell'italo-americano Vittorio Giannini, le alte gerarchie del partito lo redarguirono per aver favorito uno straniero a danno dei compositori indigeni. L'interessato replicò sostenendo che un grande teatro poteva mantenere la propria autorevolezza solo allestendo cartelloni internazionali. Da quel momento in avanti i nazisti cercarono in tutti i modi di allontanarlo e fu solo il perdurante successo presso il pubblico dell'H"Haupstadt" a impedir loro il siluramento. Sir Thomas Beecham lo invitò a Londra a dirigere al Covent Garden ma le autorità del Reich negarono il visto d'espatrio. Alla fine, avendo Kna rifiutato di prendere la tessera del NSDAP, nel febbraio 1936 venne rimosso dall'Opera di Monaco per ordine dello stesso Hitler. Il musicista fece le valigie e andò a lavorare a Vienna. Durante l'estate del 1937 poté finalmente recarsi a Londra per dirigere Salome. Nel 1938, oltre ad esser nominato direttore della Wiener Staatsoper, divenne uno dei direttori favoriti dei Philharmoniker per la stagione in abbonamento.
Quando con l"'Anschluss" l'Austria venne annessa al Reich e ribattezzata "Ostmark" (marca orientale), Kna fu ancora una volta costretto alle dimissioni. Finita la guerra, il quasi sessantenne direttore poté tornare ad essere un idolo di Monaco e di Bayreuth. I fratelli Wagner, Wieland e Wolfgang, lo chiamarono a scendere nel "golfo mistico" di Bayreuth fin dalla stagione inaugurale. Il Parsifal del 1951 (affiancato dal Ring e dai "Meistersinger") fu un evento di portata storica e inaugurò una serie di apparizioni entrate oggi nella leggenda: 1952 Parsifal e Meistersinger, 1954 Parsifal, 1955 Fliegende Hollãnder e Parsifal, 1956 Ring e Parsifal, 1957 Ring e Parsifal. Qui, oltre che in teatro, fu stella del repertorio sinfonico. Gli statistici hanno calcolato che dal 1922 al 1957 Kna abbia diretto nella capitale bavarese 163 concerti, di cui 141 con la Bayerischen Staatsorchester e 22 con i Münchener Philharmonikern. Sempre secondo gli statistici va sfatato il pregiudizio che vuole Kna ancorato ad un repertorio veterogermanico: nei soli programmi bavaresi (dunque escludendo quelli non meno numerosi con i Wiener Philharmonikem) compaiono oltre 200 lavori di 64 compositori diversi, distribuiti su di un arco che va da Haendel fino alla triade Bartok, Hindemith e Stravinski. Nel '54 Kna riassunse la direzione dell'Opera di Monaco ma poco dopo si ritirò per oltre un anno in segno di protesta per il ritardo nella ricostruzione del teatro. Nel febbraio 1959 si presento al Teatro alla Scala di Milano per dirigere cinque recite dell'Olandese con Hotter e la Nilsson. Negli anni '60 si limitò a sporadiche apparizioni in sala d'incisione. Tanto che quando si spense nella sua casa di Monaco il 25 ottobre 1965 era ormai un venerabile sopravvissuto, testimone di una Germania musicale irrimediabilmente scomparsa. Agli occhi dei giovani melomani incarnò l'erede delle tradizioni (tradizioni non solo di scuola musicale ma anche di stile di vita) della vecchia generazione. Viaggiò poco, tanto per cominciare, confinando le sue apparizioni al quadrilatero Monaco-Bayreuth-Vienna-Salisburgo (il che rese la sua fama sostanzialmente locale). Fattore ancor più importante, eredita da Richter uno stile interpretativo frutto di un'integrità morale e di una dedizione alla musica pressoché totale. L'andatura solenne che caratterizza le sue interpretazioni è caratteristica di un far musica inteso come rito, come liturgia dell'arte. Kna godette della stima universale dei colleghi. L'indiano Zubin Mehta, che come allievo di Hans Swarowski a Vienna poté assistere agli ultimi concerti di Kna, ne parla ancor oggi con ammirazione. Quanto alle orchestre, semplicemente lo adoravano. Infiniti aneddoti stanno a provarlo. Il primo cello dei Wiener Philharmonikern, Emanuel Brabec, ad esempio, dopo aver debuttato con lui come solista nel Don Chisciotte di Strauss, gli chiese un autografo. "Per carità, son cose da ragazzini", si schermi Kna. Poi, passati alcuni giorni, dovette ripensarci visto che a Brabec la portineria del Musikverein recapitò una sua foto con dedica. La maggioranza degli aneddoti verte tuttavia sull'antipatia di Kna per le prove. Quando si trovava sul leggio uno spartito arcinoto, sbuffava di sconforto e poi proponeva agli orchestrali: "Amici miei, voi conoscete questo lavoro quanto me. Allora perché mettersi a provarlo?" (Secondo Alexander Witeschnik questa frase avrebbe chiuso sul nascere anche un'improvvisata prova del Tiefland di D'Albert, cui Adolf Hitler aveva chiesto di poter assistere alla Staatsoper di Vienna).
Con questo stile di lavoro, come racconta nelle memorie John Culshaw, direttore artistico della Decca, "quando le cose andavano per il verso giusto (il che accadeva più spesso di quanto si verificasse il contrario), il risultato era magnifico; quando ciò non si verificava, era né più né meno che una catastrofe". Il rifiuto di provare e l'abitudine al lavoro "a soggetto" tipici di Kna risultavano esiziali in studio di registrazione. "Una volta che stavamo incidendo un Valzer di Johann Strauss, al solito senza prove, ci fu un momento alla ripresa della melodia in cui metà de1l'orchestra andò da una parte e metà dall'altra" racconta Culshaw in "Ring Resounding". "Il caos durò per quattro battute, poi l'esecuzione tornò in carreggiata. Finita la registrazione Knappertsbusch mi venne a parlare: utilizzabile il pezzo, vero? Mi dica che non dobbiamo stare a rifarlo". Mi toccò dirgli quel ch'era accaduto. Mugugnò: "Scheisse": davvero pensa che qualcuno se ne accorgerà?"
Fu Culshaw con le sue registrazioni (fra cui il celebre "Parsifal" della riapertura di Bayreuth) a rendere famoso il Wagner di Knappertsbusch oltre i confini del mondo di lingua tedesca. "Nel 1951" ricorda nell'autobiografia (Putting the Record Straight) "avevo già sentito il Ring per intero non meno di sei volte, oltre a numerose esecuzioni separate delle singole giornate, ma nulla poteva approssimarsi alla maestosità di concezione che Knappertsbusch ci fece udire". Maestosità è termine perfetto per definire la dimensione monumentale, tellurica addirittura, che l”'epos" wagneriano assume sotto la sua bacchetta. Riascoltate oggi, a trent'anni dalla morte, le sue interpretazioni wagneriane sicuramente richiedono un ascolto critico: nei tre decenni trascorsi gli interpreti hanno infatti lavorato su ipotesi di lettura del Ring totalmente differenti. Pensiamo alla versione varata da Karajan nei primi anni del Festival di Pasqua di Salisburgo, versione che nella veste discografica esplicita chiaramente un approccio cameristico al testo. Oppure si faccia mente al "Ring dello scandalo", la produzione "made in France" di Patrice Chéreau e di Pierre Boulez che festeggiava il Centenario di fondazione del Festival di Bayreuth. Nella prospettiva Chéreau-Boulez la Tetralogia evoca una saga tutta centrata su un'insistita umanizzazione dei protagonisti. Nella visione di Knappertsbusch, invece, il mondo wagneriano mantiene tutta la propria ipostatizzazione, irriducibile al contesto quotidiano (tornano in mente gli illustri necrofori intorno alla bara di Siegfried).
Uomini e Déi appartengono ad una sfera mitica che, al modo delle ombre della nota similitudine platonica, riprende sentimenti e moventi dell'agire umano proiettati in una sfera rarefatta che li essenzializza. Lance ed elmi perdono ogni alone di "déjà vu". L'implausibile, il ridicolo, non esistono per Kna. Il suo approccio al mondo wagneriano non è di secondo livello, non assomiglia a quello dell'esegeta che, affrontando un monumento del passato, si sente chiamato a filtrarlo per poterlo riproporre ai contemporanei. Il drago con cui combatte Siegfried non è un "coup de thêatre" dietro cui s'intravede la patetica natura di un biscione di cartapesta: il drago è figura del Male, eterno avversario che legioni di San Giorgio affrescati, miniati o scolpiti hanno combattuto lancia in resta. Mai "naif", Kna aderisce senza riserve all'universo wagneriano. Il suo è il racconto di un artista nato nel 1888, che affonda le radici nell'humus medesimo del compositore. Fino alla morte, incrollabile come Sarastro, Kna rimase fermo sulle proprie posizioni. Indifferente ai cambiamenti di gusto e alle critiche che gli venivano per talune sue opzioni interpretative (ad esempio quella di servirsi delle inaccettabili revisioni Schalk e Loewe nelle incisioni Decca e Westminster delle Sinfonie di Bruckner), diresse Wagner e Brahms con un pendolarismo che fa sospettare che la querelle Brahms-Wagner potesse ancora risultare di qualche attualità ai suoi occhi.
Il mondo della musica cambiava, gli allestimenti wagneriani erano sempre più figli dei registi d'avanguardia e sempre meno dei Kapellmeister, ma, difeso dal proprio umorismo, Kna si guardò dal seguire le mode. A Monaco di Baviera la gratitudine per questo custode della musica è grandissima ancor oggi. Nella città su1l'Isar opera una Knappertsbusch Gesellschaft di cui per un certo periodo chi scrive è stato membro. Nel Nationaltheater ricostruito mille cose evocano colui che tale ricostruzione alfierianamente volle. Chi entra dall'ingresso laterale del teatro sulla Maximilianstrasse, ad esempio, s'imbatte in un busto bronzeo di Kna. La fattura è piuttosto rude - come rude era il modello - e probabilmente per gli ignari turisti quella fisionomia dagli zigomi alti e dagli occhi stretti ha qualcosa di pauroso. Ma i vecchi bavaresi, quando passano davanti al busto, hanno un sorrisetto sulle labbra. Se non siete troppo di fretta, se la levata del sipario non è incombente, fateci caso.
Michele Salvini
("Symphonia" N°51 Anno VI, Giugno 1995)
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