Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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giovedì, febbraio 01, 2024

Henry Purcell: Fantasie per Viole da gamba

Amadeo AVRS 6306
Bellissimo disco: prima di tutto per la 
musica. Per tutto il Cinquecento e per una buona metà del Seicento il complesso strumentale preferito dagli inglesi fu il «Consort of violes». Fra le grandi realizzazioni del regno di Elisabetta - consolidamento dello stato, signoria dei mari, incremento di commerci ed industrie, fioritura delle arti ecc. ecc. - una delle più importanti fu il conio della parola «gentleman» intraducibile nelle altre lingue e tipicamente inglese, forse più del Consort di viole. Ebbene, Peacham nel suo Compleat Gentleman del i622 (una specie del nostro Cortegiano) afferma che chi aspira ad essere un gentleman deve «saper cantare la sua parte sicuramente e a prima vista e poi suonarla alla viola». Occorre aggiungere, a conforto dei gentlemen di oggi, che le partì non erano eccessivamente difficili...
Fu quello il periodo aureo della musica da camera inglese. La grande famiglia delle viole comprendeva allora due grandi suddivisioni, le viole da braccio e le viole da gamba, ma le preferenze degli inglesi andavano specialmente a queste ultime, che comprendevano, come del resto le viole da braccio, numerose voci. Il Concentus Musicus, consort di viole che esegue nel nostro disco le Fantasie di Purcell, si serve, ad esempio, per le parti alte di due viole da braccio (un dessus de viole o quintom, a 5 corde - la più piccola e acuta delle viole - e una viola tenore a 6 corde) e di cinque viole da gamba (due gambe discanto o soprano, una gamba tenore e due basso viole) per le altre parti.
La debole sonorità delle viole da gamba e la grande affinità di suono tra i membri della stessa famiglia non permettevano che una voce potesse prevalere ed emergere tra le altre: l'ideale polifonico della completa eguaglianza fra le parti trovava nel complesso di viole la sua più perfetta corrispondenza forse più che nel madrigale, suo equivalente vocale, dove la presenza delle voci femminili conferiva alle parti acute possibilità di emersione e predominio molto maggiori. Questo ideale polifonico era stato proscritto dalla musica religiosa ad opera della Riforma prima, del Puritanesimo dopo, che non tolleravano complicazioni contrappuntistiche alla intelligibilità dei testi. Ed era stato anche abbandonato, dopo la grande fioritura madrigalistica avvenuta nei 30-40 anni intorno al 1600, dalla musica vocale, ormai del tutto monodica: cosicché aveva trovato non solo il mezzo strumentale più adeguato, ma anche il suo estremo rifugio nel Consort di viole e nelle forme musicali da esso praticate, ossia principalmente nella Fantasia e in quel particolare tipo di Fantasia che era l'In Nomine.
Per notizie un po' più particolareggiate rimando alla mia recensione «Musica strumentale alla Corte della Regina Elisabetta e di di Re Giacomo I» pag. 32 nel n. 4 di Disclub. Qui ricorderò solo una pittoresca definizione di Morley, grande musicista e teorico elisabettiano, nel suo libro A plaine and easie introduction to pratical music del 1597: «Il principale tipo di musica scritta senza parole è la fantasia, ossia quella dove un musicista prende un pezzo di suo gradimento, lo torce e lo rigira come più gli piace, sfruttandolo molto o pochissimo secondo che ciò convenga alla sua inclinazione».
È una forma ideale per la musica da camera del tempo e si adatta mirabilmente all'ambiente della «Home» inglese, dignitoso, tranquillo e ospitale, anche se fuori imperversano la persecuzione religiosa o la guerra civile: là il far musica insieme, il condurre su viole discrete quei «sublimi discorsi» tra eguali, il confidare a una timida e breve frase melodica i propri gelosi segreti, ottenendo fraterne e. comprensive risposte, è sommo conforto e piacere per gli imperturbabili gentlemen usi alle poche parole e alle scarse espansioni.
Quando già sul continente il violino cominciava a prendere piede (risale al 1607 la pubblicazione delle prime sonate a tre di Salomone Rossi e al 1610 la pubblicazione delle prime sonate a due di Gian Paolo Cima milanese) in Inghilterra le viole continuavano a regnare indisturbate, e il violino vi era ritenuto strumento di ripiego, da usarsi soltanto «per ogni occasione straordinariamente gioiosa o gioviale» (Thomas Mace.)
Con tutto ciò stavano maturando anche le sorti del Consort di viole e della fantasia, ultimi elementi di un mondo musicale che soltanto l'insularità dell'Inghilterra e una certa sua tendenza al protezionismo verso il «Made in England» avevano preservato fino ad allora dal destino comune a tutti i generi musicali. Nel 1656 un violinista-compositore di Lubecca, Thomas Baltzar, rivelava al pubblico londinese, sbalordito e ammirato, le possibilità del violino; e qualche anno più tardi era la volta dell'italiano Nicola Matteis, che poi nel 1672 si stabilì definitivamente a Londra.
Con la prepotenza del nuovo arrivato, il violino occupava in breve tutti i posti chiave della musica. L'ideale polifonico dell'eguaglianza delle parti veniva sconvolto dall'avvento del basso continuo e dalla concezione dualistica della sonata.
Nel 1660 Carlo II ritornava sul trono dopo 11 anni di esilio. Forse si è esagerato a proposito dell'influsso esercitato da questo sovrano sulla musica del suo paese: ma certo è che con lui la Corte tornava ad essere - come prima della rivoluzione di Cromwell - il centro della vita mondana ed artistica inglese; ed era assai difficile soddisfare i gusti edonistici di quella Corte con le fantasie. Lo stesso re non poteva sopportarle: gli ci voleva della musica facile vivente e «cantante» di cui potesse battere il tempo col piede...
Pessima abitudine: ma chi poteva impedirglielo? Cominciò col volere un'orchestra di corte di 24 musicisti, sul tipo dei 24 Violons du Roi del suo amico Louis XIV e mandò Humfrey a Parigi a impratichirsi con i nuovi stili. A Parigi c'era Lulli, in pieno splendore: il gioco era fatto. Nel 1667 Christopher Simpson, violinista e teorico inglese, scriveva malinconicamente che la fantasia polifonica era oramai trascurata dai più per mancanza di ascoltatori in grado di comprenderla.
Quando Henry Purcell compose le sue 15 fantasie per viole da gamba, ossia nell'anno 1680, questa forma musicale era dunque da tempo morta, sepolta e dimenticata. Poco più che ventenne (nato alla fine del 1659) volle con questa sua prima opera strumentale rendere omaggio all'arte dei padri? Dimostrare a se stesso ed agli altri che questo tipo di musica messo in disparte era ancora pieno di possibilità e di sviluppi? Fare esercizio in quell'inesauribile fucina per le prove future? Non lo sappiamo. Sappiamo soltanto che la serie doveva continuare con altre fantasie a 8 parti, dopo queste quindici che sono a 3, 4, 5, e 7 parti: ma l'idea venne abbandonata e anche Purcell di lì a poco si mise a scrivere musiche per il violino.
Ma le 15 fantasie per viole rimangono il suo capolavoro, almeno nel campo strumentale. Impossibile profanare con un esame queste 15 fantasie: ci parrebbe di voler vedere il costato di Cristo e toccar con mano la ferita: crediamo ciecamente nella musica, quando è così. Ci basti ascoltarla per essere felici e ritenerci fortunati se essa ci passa sul cuore come una benedizione divina. Compiangiamo veramente chi non comprende questa musica e invidiamo quasi chi non la conosce: quale meravigliosa scoperta l'attende!
Naturalmente, quindici fantasie sono molte e non è consigliabile ascoltarle sempre tutte insieme: si può morire anche di troppo felicità. Considerate nel loro complesso, esse si presentano come un blocco imponente di musica, un mondo di musica in continuo movimento di assestamento e rinnovamento, quasi come cellule al microscopio, per intenderci. Ma questo blocco unitario, questo mondo rotante è un insieme di quindici mondi, ognuno dei quali ha vita propria, una propria fisionomia, una sua anima indistruttibile, dei problemi da risolvere, delle cose da dirvi e soprattutto una sua voce.
Sciogliete. se vi riesce, dall'intreccio generale, tre o quattro di queste fantasie: la fantasia n. 13, per esempio «sopra una nota», o le due ultime, che sono poi due «In Nomine» a 7 parti. Pochi minuti di musica: ma quale musical E quel sidereo paesaggio delle viole, quel leggero volare di suoni irreali e incantati che provengono dagli abissi del tempo, dai paesi del sogno... Questa è veramente la Musica.
ll Concentus Musicus ne sia ringraziato. È un complesso di prim'ordine che ha sette strumenti barocchi di gran pregio e voce meravigliosa, equilibrio, intelligenza, vitalità, nobiltà di espressione e soprattutto, ripeto, un suono indimenticabile: un vero Consort insomma.
La registrazione è  molto buona, con ottime trasparenze ed impasti. Generalmente, le incisioni dell'Amadeo tendono un po' all'acuto: ma anche il suono della viola, come strumento, ha questa tendenza e perciò qui tutto è in regola. Anche lo stampaggio è molto buono. Le note sono brevi e sufficienti; interessante l'instrumentarium. Un piccolo appunto al libero traduttore francese delle note (originalmente in tedesco) scritte dal violinista Nikolaus Harnoncourt. Il testo tedesco dice: «...l'Italia altro centro importante della musica del tempo..» E la traduzione francese, ad uso anche nostro, suona invece così: «...l'Italie deuxième centre important...» Ciò  sa un po' di classifica: e modestamente, a quei tempi, eravamo i primi.
Domenico Borra
("Disclub" 6, anno II, aprile 1964)

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