Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, febbraio 03, 2006

Harnoncourt a Milano: Passione Secondo San Matteo

Un colpo d'occhio indimenticabile. Tra la scenografia naturale della Basilica di Santa Maria della Passione, gli esecutori facevano spettacolo emozionante in anticipo. Come quinte, le antine bellissime dei due organi troneggiavano in alto mentre la distribuzione geometrica dei musicisti ne pareva l'ideale, terreno, prolungamento verso il pubblico. Incuneati tra primo e secondo 'coro', i bambini formavano una macchia di colore che preannunciava quell'altra macchia di colore vocale eccitante aggiunta alla massa sonora nella grandiosa pagina d'apertura, alle parole "0 Lammes Gottes", Agnello di Dio. Disposta a semicerchio, come preannunciando una funzione di solenne meditazione religiosa, officiante il padre ammirato della moderna filologia Nikolaus Harnoncourt, era anche l'orchestra essenzializzata nelle proporzioni. Harnoncourt stava nel mezzo, la partitura aperta su un leggio da chiesa, adattissimo all'occasione e al clima particolare (tra l'altro era il Lunedì Santo), a metà strada tra esecutori e pubblico. Gli elementi rituali c'erano tutti. E a quelli concreti davanti agli occhi di tutti andavano aggiunti gli altri, psicologici che avevano mosso tanta gente a mettersi disciplinatamente in coda all'ingresso della chiesa, occupando la strada, con un'aria di festa che non si coglieva da tempo e una voglia di godersi fino in fondo la bellissima occasione. Perché ascoltare la Passione secondo Matteo, non l'altra altrettanto meritoria d'attenzione sotto ogni altro profilo, non è soltanto ascoltare una musica infinitamente alta, severa eppure comunicativa, religiosa eppure capace di esprimere emozioni laicamente umane: questo Bach va vissuto fino in fondo, senza mezze misure, con l'ardita persuasione d'essere ammessi a partecipare a una cerimonia, a un'esperienza di vita intima e collettiva. Poi, ognuno sa il proprio modo di lasciar scorrere le immagini della passione di Cristo; e il modo inuguale ribadisce l'idea di esperienza da vivere nel segreto, che si sente crescere dentro e non fa pesare la durata temporale non lieve.
Quando poi tutto ciò s'agita in un luogo giusto, con un'esecuzione magnifica, sembra veramente di potere trascendere il semplice e passivo ruolo di ascoltatore; e non fosse per il rispetto dell'impegno professionale altrui verrebbe da aggiungersi sottovoce allo spiegarsi armonico di certi Corali. E non è detto che qualcuno non l'abbia fatto, o che comunque un'impressione del genere fosse solo nostra. Bastava osservare l'aria beatificata del pubblico che alla fine sciamava senza fretta, senza caricare l'applauso oltre la soglia dell'ammirazione calcolata, quasi per il timore di incrinare con la partecipazione al rito collettivo di ascoltatori quell'intima pienezza individuale appena accumulata. Siamo, anzi eravamo, in una disposizione d'animo che a Mendelssohn e alla maggior parte degli scopritori romantici di Bach non avrebbe molto interessato: di nuovo, eravamo partecipi al cerimoniale d'una Passione luterana che attraverso la musica si fa iper-confessionale, universale. Religiosa in quanto pienamente umana.
La suggestione del luogo era suggestione. L'interpretazione musicale ha fatto il resto. Harnoncourt non si lascia sedurre degli echi drammaturgici esteriori della partitura pur non firmando odiose operazioni di scheletrizzazione; semplicemente riconduce il respiro bachiano a un'evidenza espressiva che è comunque quella del Vangelo, non d'un libretto. Cioè d'un testo che non deve narrare o spiegare azioni e reazioni di 'personaggi', perché gli unici personaggi sono i fedeli, l'assemblea pasquale o quella laica richiamata dal concerto straordinario. La bellezza della musica, la sua evidenza esecutiva devono stimolare la drammaturgia dei nostri sentimenti non essere sentimento o 'affetto' di operistico spessore: la Passione secondo Matteo di Bach non è musica religiosa, è musica allo stato puro. Questo ha sottolineato per l'ennesima volta Harnoncourt rifiutando le facili interpretazioni e turbando così gli ascoltatori.
Venendo alla realtà. Harnoncourt dirige la Passione bachiana con morbidezza inusitata, cercando un innesto naturalissimo tra voci e strumenti, tra parole e forme musicali, tra emozione interna e scrittura arditamente descrittiva. Di qui scaturisce quella sensazione di mistero esaltante che ha preso tutti, quel clima di potenza arcana che discendeva dall'articolazione lineare, dalla scioltezza ammirevole dei fraseggi. Un contributo insostituibile a tale naturalezza esecutiva veniva dall'eccellente tenuta musicale degli interpreti, in primo luogo dall'orchestra del Concertgebouw di Amsterdam a ranghi ridotti. In altra parte della rivista Harnoncourt accenna al rapporto profondo che stringe il suo lavoro di interprete-filologo a questo complesso 'moderno': nell'attimo della conferma diretta possiamo registrare con soddisfazione una capacità stupenda di deporre la grinta di orchestra mahleriana per rivestire i panni stilizzati di formazione bachiana specializzata (e senza citare tutti i solisti sopraffini, a partire dall'incredibile Christophe Coin, viola da gamba), senza rinunciare al nerbo, alla nitidezza degli attacchi, a una tenuta dinamica di qualità superlativa, a una misura espressiva che non dimenticheremo facilmente. Non di minore spicco la duttilità del coro preparato da Jan Slothouwer cui ha dato mano forte il drappello di voci bianche provenienti dalla recente scuola scaligera affidata a Gerhard Schmidt-Gaden: quel cantare sul fiato, senza asprezze, come pregando a fior di labbra anche negli episodi severi o drammatici, rientrava perfettamente nella complessiva intenzione di trasfigurare spiritualmente i passaggi 'terreni' della Passione. Qualche disomogeneità purtroppo nella compagnia di canto che pure ha potuto contare su Kurt Equiluz, un Evangelista non spericolato vocalmente ma incisivo nel declamato e ammirevolmente misurato, sull'importante presenza di Robert Holl (Cristo) e di Arleen Augér. Gli altri erano un po' incolti ma con bella voce (il contralto Jard van Nes), oppure ineducati vocalmente e non dotati, e non sì capiva in che modo fossero finiti a turbare un complesso così equilibrato. Buon per loro, e per noi, che la Passione secondo Matteo non s'esaurisce nel semplice ascolto.
Angelo Foletto
(Musica Viva, Anno IX n.5, maggio 1985)

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