Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, febbraio 05, 2006

Incontro con Shlomo Mintz

Lei si era presentato giovanissimo con un disco di Capricci di Paganini strepitoso; di recente è tornato a suonarli dal vivo in tournée, anche alla Scala. Cosa è cambiato?
"L'esperienza, per riuscire a suonare tutte le note. E' sempre un progetto molto difficile. Oggi guardo tutto questo un po' diversamente: non vorrei sembrare arrogante, ma se penso alla paura che mi faceva allora, ecco, devo dire che adesso non mi sembra così difficile. Si va avanti, si prende qualcosa, si accumula esperienza. In tournée non li avevo mai fatti prima; c'era un po' di tempo e non avevo il pìanista disponibile, così mi sono ricordato dei Capricci di dieci anni fa e mi son detto: perché no?".
Come ci si sente nel camerino di un teatro prima di suonarli in pubblico?
"Abbiamo tutti paura, i miei colleghi lo sanno bene. In qualche punto, sono diciamo, fatalista, sei lì e devi suonare meglio che puoi, con la coscienza di esserti preparato col massimo scrupolo. Non è che una madre quando è incinta può dire: non voglio il bambino, perché ho paura che faccia troppo male. Per noi è lo stesso; non è che ci si abitua, ma con l'esperienza si supera anche questo. Vale per tutti, io non sono un'eccezione".
Lei ha un suono di rara bellezza, tra i violinisti di oggi. Ha un'idea circa l'origine di questo talento?
"Il mio segreto è di girare con l'accordatore di Horowitz! Scherzi a parte, la ringrazio del complimento, ma non saprei rispondere con esattezza. E' una dote che mi porto dentro, come se fosse una bella voce. Devi sentire il suono all'interno prima di lasciar andare il braccio, ma non dico niente di nuovo... Sono anche un po' robusto, e questo aiuta, poi ci sono, come è naturale, i dettagli tecnici. E' una questione di fondo, in effetti, devi amare la musica e avere la forza di avere un sogno davanti, allora nasce tutto, compreso il suono".
Lei ha appena inciso 25 Concerti di Vivaldi...
"Se non mi sbaglio, sono quello che ne ha incisi di più, e ne devo ancora registrare cinquanta".
... come mai adesso tanti violinisti si interessano a questo autore?
"Le assicuro che non ci siamo messi a tavolino per decidere di eseguire Vivaldi. Per l'esperienza che ne ho io, posso dire che sono concerti di estrema difficoltà; secondo me Vivaldi era a conoscenza di tutti i mezzi tecnici di Paganini, e li ha usati nello scrivere le parti solistiche. Si dice negli Stati Uniti, dietro a Stravinsky, che Vivaldi suona sempre uguale: non è davvero così. Il punto è che ogni artista deve impiegare del tempo per trovare una sua interpretazione; Vivaldi è come Haydn, possono passare 50 battute prima di incappare in un'indicazione di dinamica. E' quello che sta in mezzo quindi che diventa importante; è una libertà molto interessante per un'interprete. Volevo anche un modo di suonare dell'orchestra che fosse molto diverso da gruppi classici di questo repertorio, come i Solisti Veneti; un Vivaldi per oggi, non troppo legato alla precisione storica, che secondo me non possiamo nemmeno conoscere. Il Vivaldi 'giusto' non è mai esistito, così come all'epoca non c'era nemmeno il diapason uniforme. Per me è stato un lavoro di ricostruzione, con un certo rispetto dello stile barocco naturalmente, ma nell'ambito delle mie idee. So di non poter suonare un Vivaldi molto raffinato, e di sicuro un veneziano è molto più educato di me a questa musica, ma credo di avere il diritto di cercare un'idea moderna. Ritengo che Vivaldi sia di dominio pubblico, e non solo dei filologi. E' uno dei progetti più interessanti che ho realizzato negli ultimi dieci anni. Spero di riuscire a registrarli tutti; è molto difficile, ma tenterò".
Passiamo alla direzione d'orchestra. Intende smettere di fare il violinista?
"No, assolutamente no, però questa nuova attività è molto interessante e credo di fare dei passi avanti, come confermano anche le buone critiche ricevute. Non cerco di essere l'uno o l'altro, piuttosto di essere un musicista, che significa poter fare tutto, anche suonare il violoncello magari. Dico sul serio, mi sono messo a studiarlo, anche se i miei amici mi dicono che sono veramente matto. Sì, sono matto, ma non si può fermare la curiosità di un musicista. Come direttore, mi sto costruendo un repertorio, con calma e studio. Per le opere o le sinfonie di Bruckner c'è tempo, per adesso voglio dimostrare di non avere complessi sul podio e di essere in grado di starci. Al momento tutte le strade sono aperte.
Il mezzo del cammin di nostra vita per Dante era circa la sua età, 35 anni; cosa pensa di aver raggiunto?
"Non mi preoccupo troppo su dove sono adesso o dove sarò tra cinque anni. Penso che la vita è relativa, però corta; non dico niente di nuovo se affermo che siamo di passaggio. Avere la fortuna, come molti prima di me, di una vita creativa, è da considerare un regalo di Dio; questo è già tantissimo per me".
Con la musica, adesso ha le idee più chiare di prima?
"Non so se siano chiare in maniera assoluta, anche questo è relativo. Noi interpreti viviamo in una sorta di stratosfera, e cerchiamo di muoverci in avanti, che è poi il problema dell'arte. Hai gli stessi colori, ma cerchi di realizzare qualcosa di diverso. Per me la musica è questo, ed è un po' come la droga. Non voglio fare un paragone, però si vive in un mondo chiuso".
Per lei è stato un problema?
"Personalmente lo è stato, perché la vita personale soffre molto a causa di questo, e non credo di aver bisogno di soffrire. Ogni persona fa i suoi sbagli, e se non si commettono, non si sa come imparare. Si rischia di vivere coi piedi per aria, e non è giusto; è importante essere coscienti di vivere qui e adesso. La musica a volte ti fa sentire bene anche se internamente non sei felice, come se vivessi nel mondo dei sogni; non dovrebbe essere assolutamente così. Durante la guerra del Golfo mi trovavo in un ospedale israeliano, e non sapevo se sarei morto per la malattia o per i gas chimici; questo fa pensare, tanto".
Adesso è guarito?
"Sì, grazie al Cielo, ora sto bene".
Il suo nome, Shlomo, deriva da Salomone, un uomo di giustizia; però ha anche un'assonanza con shalom, pace. Come artista, crede di poter fare qualcosa per la sua terra tormentata?
"Non credo, purtroppo ci sono troppi interessi in gioco. La gente è molto stanca di tutta questa guerra, e io anche. Per quel che mi riguarda, non è mai stato in questione chi fosse il pubblico, se bianco, nero, rosso o altro.
Voglio che ciò che faccio sia sfruttato da tutti, perché, se è valido, lo è per chiunque. Non penso affatto di essere una persona superlativa, ma il mio sforzo è dimostrare che la cultura è un fatto globale, comprensibile ovunque".

Oreste Bossini (Musica Viva, Anno XVII n.2, febbraio 1993)

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