Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, ottobre 08, 2005

Giuseppe Verdi: "Torniamo all'antico, sarà un progresso!"

Il dialogo immaginario tra un ottuagenario della bassa e il maestro di Busseto su guasti, problemi e speranze dell'Italia del terzo millennio.

Una mattina dell'ultima invernata, un ottuagenario, ancora dritto nella legnosa figura avvolta nel ferraiolo, usciva da una perduta cascina della Bassa non lontano da Busseto. Il passo spedito che faceva scricchiolare il sentiero gelato, e i gesti vigorosi della mano destra tranciati nell'aria ghiaccia e nebbiosa dell'alba, come volesse convincere un interlocutore invisibile, erano la conseguenza immediata dei due bicchieri di rosso che invariabilmente tracannava a digiuno appena sveglio. Insieme con quel vino spumoso della Bassa, il vecchio era anche solito placare subito, al primo mattino, la sua sinistra inclinazione musicale con antichi dischi suonati da un grammofono a tromba: Quand'ero paggio, Di quella pira, Si ridesti il leon di Castiglia, Tacea la notte placida, Il balen del suo sorriso e altre pagine sonore di un vangelo rigorosamente verdiano.
Marciava dunque, questo mio anziano amico fuggito dagli uomini e dal mondo, in direzione di Roncole e Busseto per il quotidiano pellegrinaggio ai luoghi di colui che si ritiene l'italiano più vero, e il solo capace di ridare dignità e voce comune a una nazione traviata. In un punto dove il sentiero girava, si accorse che qualcuno lo seguiva. Era un vecchietto avvolto in un ferraiolo anche lui, e coperto da un cappellaccio sghembo, da cui scendevano capelli bianchissimi, quasi tutt'uno con la barba ben curata. Gli andava dietro a tre spanne, dritto e spedito: gli occhi fissi avanti con uno sguardo intenso e quasi seccato. Si fermarono. Il mio amico lo guardava assai inquieto per qualcosa che non gli era completamente a fuoco.
«Buongiorno, caro signore, non l'avevo vista».
«Io sì, standovi dietro. Ma buongiorno anche a voi. Se la direzione è uguale, potrei farvi compagnia per un tratto. Se non vi dispiace, naturalmente».
«Proprio il contrario. Sa, sono sempre solo in questo tragitto del mattino».
«Ah! Ma lo avrete voluto voi, se vivete in mezzo alla campagna ... ».
«L'ho voluto perché sono nauseato dalle risse, l'arrivismo, l'ignoranza in cui vedo ridotte la cultura e la politica dell'Italia».
«Le eterne sventure del nostro Paese. Ma c'è un Uomo, mi pare, che ha promesso di liberarlo da ogni straniero...».
«Vuol dire il capo della Lega? Ma io credo che, almeno a parole, questi lombardi, oltre che degli immigrati, vogliano liberarsi anche di molti italiani. Ha sentito del giuramento al popolo lombardo del presidente della regione Lombardia?». «E dov'è dunque la tanto sospirata e promessa indipendenza d'Italia? Cosa significa il proclama di Milano? Quanto sangue per nulla! Quanta povera gioventù delusa!». Il misterioso vecchietto s'era improvvisamente infiammato.
«Ma no, forse non è tragica fino a questo punto. Dicono che è la devolution. Più potere alle regioni».
«L'anarchia probabilmente, e lo smembramento. Ho un triste presentimento sul nostro avvenire! I Sinistri distruggeranno l'Italia!».
«Non sono loro in questo caso... Ma comunque non c'è da preoccuparsi, con le nuove elezioni tornerà la destra». «No, no non è un bene; è uno scorno per tutti».
«Lei è per la riforma elettorale, immagino...».
«Mi chiedete della riforma elettorale? Hanno scatenato le fiere, sarà un miracolo se non saremo divorati, i ministri per primi».
Il mio amico era sempre più stupito. Quel vecchietto era strano, eppure aveva una inspiegabile aria d'autorità.
«Ma se non le va bene né la destra né la sinistra, chi vorrebbe allora? Il centro, i cattolici».
«Io non parlo di rossi, di bianchi, di neri... Poco m'importa la forma, il colore; ma quello che domando si è che quelli che reggono la cosa pubblica siano cittadini di grande ingegno e di specchiata onestà».
«Eh, mio caro signore mi sa che Lei domanda troppo», disse il mio amico con una franca risata, continuando a camminare di buon passo. E sempre più incuriosito continuò: «Credo proprio che Lei non abbia molta fiducia nel cambiamento, come dicono i politici ... ».
«Torniamo all'antico: sarà un progresso!». «Antico quanto, alla prima Repubblica?». «Oh, io dico: bandite ogni idea municipale, doniamoci tutti una mano fraterna e l'Italia diventerà ancora la prima nazione del mondo. Gli italiani non possono rinunziare allo spirito di partito, discutono, parlano troppo e non agiscono abbastanza. Dimenticano quanto loro costò rovesciare un trono e ne innalzano un altro ... ».
«Allude all'elezione diretta del premier?».
«Mi lascia freddo: forse perché sento che potrebbe essere cagione di guaio tanto all'estero come all'interno e perché mi spaventa vedere che il nostro governo va all'azzardo, e spera... nel tempo».
«Mah, gli italiani non amano neanche più il loro inno. Vorrebbero Va pensiero, che certo è meglio ... ».
«Che bella repubblica! L'inno di Mameli è il più popolare e facile che è stato possibile. lo lo so, che ne ho scritto uno, Suoni la tromba! E' un inno che sta tra quelli delle nazioni.
Non lo vogliono? Dimenticano? Io gli darei allora quello dei banditi di Ernani: vino per tutti e ubriachi sempre! Tutto in Italia è burla!».
«Là, guardi, si sono alzate delle quaglie!», esclamò il mio amico, indicando un punto dei campi oltre la sterrata.
«Le quaglie! Baghino, un cacciatore che voi non conoscete, otteneva sempre il permesso di caccia gratis. Ora gli si risponde che questo governo non dà permesso di caccia gratis. Io credo sia questo uno dei tanti abusi di questi mangiacarte ... ».
«Io sarei per l'abolizione, ma vedo che a Lei piace cacciare». «Io vado a caccia alla mattina. Quando la muta delle quaglie è all'ordine se ne prendono a dozzine con le reti, e qualcuna col fucile. Si va al bosco e si torna a casa carichi di tortore, merli, storni, gallus petri e anche di pernici. Ho un fucile di Liège che ha il calibro 13-14, fa un bel bersaglio e non dà schiaffi. Ma qua non vedo abbastanza cavalli e letame, presso alle cascine. Curare, curare la massa del letame: io ci conto moltissimo».
«Sono le colture moderne; ma ora torna il biologico».
«Bene! Torniamo all'antico: sarà un progresso. Il puledro giovane sia attaccato continuamente e non permettere mai che rompa il trotto. La terra manna deve servire di letame al prato!».
«Se posso parlarvi con franchezza, non mi sembrate un agricoltore ... ».
«Oh, mi si era proposto di domandare la cittadinanza o inglese, o francese, ma io voglio restare quello che sono: un paesano delle Roncole».
«Lei sarà un paesano, ma parla da saggio e la sa lunga di politica».
«Sono stato deputato, ma fu per sbaglio. E non vi parlo del Senato che è una vera tomba. Vi ha un gran bisogno di uomini seri nel nostro Parlamento. Vedo molto nero ... ».
«Si figuri io, caro signore. Ma proprio per questo mi sono trasferito in campagna. Sto da solo, ascolto musica ... ».
«Oh, annoiarsi a morte con la musica cosiddetta classica ... ».
«Io ascolto opera a dire il vero. Sono un verdiano assoluto. E mi muovo solo per andare alla Scala».
«La Scala, la Scala. E i milanesi. Nun sem num... Milanes... el prim teater del nord! E' proprio in questi primi teatri ove più di frequente si fa cattiva musica. Ma Verdi, perché mai Verdi? Lasciatelo in pace!».
«Perché Verdi? Perché la sua musica è l'anima italiana, perché lì dentro c'è tutto ... ».
«La musica italiana! Vi era l'arte bella, cristiana, del secolo di Palestrina, ma noi, veri paria, non possiamo entrare in quel tempio! ».
«II mio tempio si chiama Rigoletto. E anche Traviata, Don Carlo, Falstaff .. ».
«Rigoletto! Che ricordi! Da musicista tra le mie opere sceglierei questa; da dilettante Traviata. Rigoletto è tutti gli italiani. Il nostro egoistico indifferentismo si rompe solo per amare noi stessi e i nostri, o per l'odio della vendetta. Ma da buffoni finiamo sempre in originare tragedie d'innocenti. Abbiamo la gobba!».
Erano giunti davanti ai "Due Foscari", nel cuore di Busseto, dove il mio amico era solito godersi la refezione di mezzogiorno. Si erano fermati. Il vecchietto fissava negli occhi l'interlocutore esterrefatto, quasi preda d'una crisi d'asma e tachicardia.
«Ma, ma lei allora ... »
«Giuseppe Verdi, per servirvi. E non schiamazzate troppo il mio nome. Sono soltanto un paesano delle Roncole. Lasciatemi in pace». E sfioratosi il cappellaccio in segno di saluto, s'allontanò spedito.

di Maurizio Papini

1 commento:

Anonimo ha detto...

E' interessante riscoprire come la musica di tendenza (rock, pop, ecc.) negli anni 80' fosse argomento di riflessione e progettazione educativa, così come sconcerta il non-pensiero che si occupa della musica "popular" attuale, molta immagine e ...poca sostanza.