Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, settembre 03, 2006

Beethoven e la perfezione nella musica da camera: il Quartetto

La grande crisi creativa che Beethoven attraversò negli anni compresi fra il 1813 e il 1818, coincidente con le battaglie processuali per la tutela del nipote Karl e con la fine dell'età napoleonica e l'inizio della restaurazione, venne percorsa sotterraneamente, se così si può dire, dal filo della musica da camera. Tralasciate le grandi opere sinfoniche, se non nell'ambito delle pagine celebrative di scarso interesse, Beethoven scriveva soprattutto per il pane quotidiano, ma nello stesso tempo accumulava appunti per sonate pianistiche e per quartetti. Il gruppo delle ultime cinque sonate si pone così fra l'estate del 1816 e l'inizio del 1822, e successivamente, fra la primavera dello stesso 1822 e la fine del 1826, nascono gli ultimi cinque Quartetti. Fra i due gruppi di opere, quasi a cerniera fra le grandi pagine cameristiche, il testamento nel campo sinfonico-corale, e cioè la Missa solemnis e la Nona, terminate rispettivamente nel 1823 e 1824, dopo anni di gestazione.
Il congedo di Beethoven dalla musica avvenne quindi nella nobile forma quartettistica, alla quale egli si era accostato fin dalla prima giovinezza ma con molte cautele. Aveva probabilmente iniziato sedicenne o poco più, se sono effettivamente suoi i 6 Quartetti scoperti dal De Saint -Foix, in un ambito poco più che scolastico. Ma poi, impegnato nella conquista di un suo pubblico a Vienna, si era dedicato soprattutto alla musica pianistica con la coscienza di poter dire, in questo campo, qualcosa di nuovo. Aveva quindi tralasciato il Quartetto per archi, semmai accostandosi a forme esteriormente simili, ma nella sostanza profondamente diverse. Si trattava cioè di pagine cameristiche in cui agli archi era unito il pianoforte, come il Trio in mi bemolle maggiore (pubblicato postumo), il gruppo dei tre Trii op. 1 e quello op. 11, oppure di pagine per soli archi come il Trio op. 3, il Quintetto op. 4, la Serenata per Trio d'archi op. 8, i tre Trii op. 9. Una produzione abbastanza intensa, come si vede, ma il cui carattere dominante era una certa lieve e amabile cordialità, una scrittura piuttosto semplice, che teneva sempre in buon conto il fatto che queste musiche erano destinate tradizionalmente a dei dilettanti.
Il Quartetto era invece una forma decisamente più nobile, aristocratica: una musica per esecutori professionisti, un banco di prova per ogni compositore, dato il largo spazio che nei Quartetti era riservato alla severa scrittura contrappuntistica. Vari fattori storici avevano determinato questa particolare situazione, fra cui un'ampia letteratura, e la presenza di quattro voci, riproducenti sul piano strumentale lo stesso ambito di estensione delle voci umane, soprano, contralto, tenore e basso. C'erano poi grandi esempi ancora molto vicini: la non ampia (poco più di 20) ma qualitativamente ricchissima produzione mozartiana, e l'incomparabile parabola degli 82 Quartetti haydnini, che si era conclusa soltanto nel 1799. Per di più quest'ultimo era ancora in vita, e un allievo di Haydn, per quanto poco soddisfatto, quale era stato Beethoven, non poteva rischiare di affrontare la forma del Quartetto con animo leggero. Inoltre, tutti i protettori e gli amici di Beethoven al tempo dei suoi primi anni viennesi, erano stati anche amici, allievi o conoscenti sia di Mozart che di Haydn.
Per tutti questi motivi Beethoven affrontò il giudizio del pubblico nel campo del Quartetto soltanto nel 1801, quando a due riprese (giugno e ottobre) fece pubblicare da Mollo la sua raccolta di 6 Quartetti op. 18, dedicandoli al principe Lobkowitz. Aveva cominciato a lavorare intorno ad essi fin dal 1794, e soltanto negli ultimi mesi dei 1800 era riuscito a dare ad essi una veste soddisfacente. All'amico Amenda, al quale aveva regalato una versione non definitiva del primo dei 6 Quartetti risalente al giugno 1799, scriveva nel 1801 raccomandandogli di non mostrarlo a nessuno, e concludendo: «Soltanto ora ho imparato come si scrivono i Quartetti; te ne accorgerai, credo, quando li riceverai». Il fatto che l'op. 18 sia nettamente inferiore a pagine pianistiche precedenti, come la Patetica, dimostra il difficile approccio di Beethoven a questa forma: qui, senza mostrare particolari novità di linguaggio se non in qualche frammento, si è comunque del tutto impadronito della sciolta discorsività haydniana, e ha imparato a servirsi con una certa abilità del contrappunto.
Trascorrono circa cinque anni, prima che Beethoven riaffronti la forma del Quartetto: ed ecco nascere i tre Quartetti dell'op. 59 (1805-06), dell'op. 74 (1809), dell'op. 95 (1810). E' la conquista definitiva del linguaggio quartettistico, caratterizzato da quella straordinaria baldanza di tutte le opere beethoveniane del periodo centrale, e nello stesso tempo da scoperti accenni a nuove possibilità.
Queste hanno bisogno di una lunga sedimentazione, dato che trascorrono una quindicina d'anni fra l'op. 95 e il gruppo degli ultimi cinque Quartetti: nell'ordine cronologico op. 127 (1825), op. 132 (1825), op. 130 (1825, con il finale del 1826), la Grande Fuga op. 133 (1825) originariamente pensata per l'op. 130, op. 131 (1826), op. 135 (1826).
E' un mondo totalmente rinnovato, un rifugio di estreme e intime meditazioni, che si esprimono in una libertà formale che non è possibile riscontrare in nessun'altra opera beethoveniana.di Eduardo Rescigno ("Grande Storia della Musica", Fratelli Fabbri Editore, 1978)

Nessun commento: