Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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mercoledì, settembre 27, 2006

Concertgebouw di Amsterdam: una gran voglia di crescere

Tastiamo il polso ad un grande complesso orchestrale europeo: il Concertgebouw di Amsterdam tra tradizione e disponibilità a nuove esperienze

Il 4 novembre 1988 l'Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam ha compiuto cent'anni. E allo scoccare del suo primo secolo di vita, sul podio del concerto ricorrenza c'era Riccardo Chailly, nuovo direttore musicale, quinto nella storia del complesso e primo straniero. Nel piccolo mazzo delle grandi orchestre europee, quella del Concertgebouw ha una storia fitta di bei nomi da raccontare e una disponibilità ai repertori moderni, alle esperienze nuove, che non è in contraddizione coi suo forte legame alla tradizione.
Da un colloquio col suo direttore artistico, Hein van Royen, esce il ritratto di un'orchestra che, nata guardando al modello di Vienna, dal rapporto ora sotterraneo ora affiorante con diverse realtà musicali di Amsterdam ha sviluppato caratteristiche strumentali e aperture insolite. Un'orchestra che, nel trovarsi decentrata rispetto ai grandi giri commerciali, s'è riservata uno spazio autonomo nel gestire i delicati "affari discografici".

Signor van Royen, circolano versioni diverse sulla nomina di Riccardo Chailly a direttore musicale dell'Orchestra del Concertgebouw. Come sono andate realmente le cose?
So che i più sorpresi e dubbiosi per questa scelta sono proprio in Italia. E noi ci sorprendiamo di questo. Invece d'essere soddisfatti per la congiuntura favorevole alle vostre migliori bacchette... Claudio Abbado organizza la vita musicale di Vienna, Riccardo Muti ha in mano, oltre alla Scala, che è un'istituzione internazionale, una delle più grandi orchestre del mondo, Chailly comincia con noi un lavoro importante e a lungo respiro ...
E Sinopoli? Oltre alla Philharmonia dirigerà dal '90 l'Opera di Berlino.
Sì, è un direttore in ascesa, anche se personalmente trovo che sia un musicista che pensa troppo. Comunque seguiamo Chailly da dieci anni, dalle sue prime uscite importanti. Ci era stato segnalato dall'Italia. Lo ascoltai per la prima volta nel Rakes Progress al teatro Lirico di Milano, nell'allestimento di Hockney e Cox acquistato dalla Scala. Poi nel lavoro con la London Sinfonietta su Stravinsky. Da allora non l'abbiamo mai perso d'occhio.
E' vero che nella scelta di un direttore giovane e "latino" ha pesato anche qualche dissapore con Haitink?
Sì. Diciamo che l'orchestra cominciava ad essere sempre meno interessata ai programmi che Haitink stava sviluppando. In generale abbiamo sentito la necessità, in questo momento, di un'iniezione di entusiasmo. Tutta la cultura nordica ha sempre avvertito la necessità di collegarsi allo spirito di Dioniso. Riccardo è, per talento naturale, portatore di quel seme mediterraneo di cui Nietzsche e la grande tradizione archeologica, ad esempio, hanno sempre dichiarato di aver bisogno. E vorrei che anche voi italiani dubbiosi ammetteste che Chailly, da quando lavora stabilmente con noi, è molto migliorato sul piano tecnico. Perché lo scambio non è mai a senso unico. L'orchestra spesso dà al direttore più di quanto non riceva. Perché è un organismo molto più complesso e difficile da costruire. Chailly dà a noi un certo spirito vitale. L'orchestra gli dà i suoi cent'anni di storia, la sua tradizione. E se uno spirito assimila, com'è il suo caso...
Chailly ha il consueto contratto quinquennale?
Sì, ma noi speriamo che stia con noi molto di più: almeno i quindici che furono di vari Beinum o i venticinque di Haitink. Lei sa che nei cent'anni della sua storia l'Orchestra del Concertgebouw ha avuto solo quattro direttori e, a parte Willem Kes, che lasciò l'incarico dopo sette anni per andare a dirigere in Scozia, Willem Mengelberg rimase al suo posto per circa quaranta.
E furono motivi politici, di "simpatia" per i tedeschi, a troncare quel rapporto.
Sì, e fu un trauma nazionale. Perché Mengelberg aveva fatto la grandezza dell'orchestra.
Fra i primi aveva creduto in Mahler.
Ed era amico di Strauss, e per lui, per i suoi rapporti con i musicisti erano venuti a dirigere tanti compositori: Stravinsky, Debussy, Ravel, Casella, Milhaud, Hindemith.
Con i direttori stabili abbiamo l'usanza di stabilire un rapporto molto più duraturo del consueto. E' il nostro stile.
Ma c'è anche voglia di novità. L'esperienza con Harnoucourt com'è nata, per quali esigenze?
Noi abbiamo una tradizione: una Passione di Bach al tempo di Pasqua. L'eseguiamo ogni anno, più o meno da quando esiste l'orchestra. Un giorno sentimmo che quella tradizione andava rinnovata. All'orchestra non interessava più il Bach massiccio e troppo sinfonico di certi direttori. Chiedemmo ad Harnoncourt di venire a dirigere la Passione secondo Matteo. Il suo lavoro piacque all'orchestra, che si accorse come altri autori, specie nel repertorio classico, avessero bisogno d'essere affrontati in un'ottica diversa. Di lì è nato il ciclo Mozart per la Teldec. Non tutte le orchestre sono disposte a lavorare a organici ridotti e revisionando il proprio stile. Qui è un'esigenza che era sentita.
In che rapporti sta l'orchestra del Concertgebouw con l'ambienteffiologico di Amsterdam? Vi conoscete? Tenete conto delle loro ricerche?
Il rapporto con Harnoncourt non è nato per caso. Sappiamo che cosa sta avvenendo nella musica del Settecento.
Ma anche oltre. Hogwood è già arrivato alla Nona di Beethoven.
Sì, ho ascoltato il suo Mozart e il suo Beethoven, che mi ha molto indisposto: trovo che sia una strada molto "cheap", molto a buon mercato. Si mette in testa una parrucca, si veste con abiti d'epoca... Trovo che Harnoncourt abbia fatto con noi un lavoro più interessante su Mozart. E intendiamo proseguire con lui anche oltre. Harnoncourt eseguirà per la prima volta con noi un pezzo di musica contemporanea.
Di?
Berio. Gli abbiamo commissionato un pezzo da inserire in un ciclo dedicato a Schubert. E lui ha avuto un'idea meravigliosa: legare i frammenti della Sinfonia in re maggiore rimasta incompiuta con materiale composto anche di temi contenuti nella musica che Schubert scriveva in quel periodo, il 1818. Sarà come la materia grezza che serve a tenere insieme e a colmare i vuoti dei frammenti di un mosaico o di un dipinto murale. I frammenti di Schubert ignoto "galleggeranno" in quel tessuto connettivo fatto anche di Schubert noto. Trovo che sia un'idea splendida, che ha anche relazioni con la ricerca musicologica ed entra da un lato diverso nel terreno in cui lavora la filologia. E sarà Harnoncourt, che ormai si sta dedicando a Schubert, a dirigerlo. Tornando comunque al discorso delle esecuzioni cosiddette "originali", trovo che Norrington o la stessa Orchestra del Settecento abbiano raggiunto un equilibrio più stabile fra strumentazione e tecnica antiche, e tradizione.
Non avete mai pensato di avere rapporti con Brüggen?
Ci abbiamo tanto pensato che cominceremo presto a lavorare insieme. Harnoncourt ci ha annunciato che dirigerà ancora il rito della Passione di Bach nel 1989, e poi più. Dal 1990 ci sarà Frans Brüggen.
Sottoponendosi a questo nuovo lavaggio del cervello l'orchestra non teme di perdere certi connotati, certa competitività che l'ha portata così vicino ai Berliner?
La ringrazio per questa stima del Concertgebouw. Io ho un'opinione un po' diversa sui valori delle orchestre europee.
Ad Amsterdam abbiamo sempre avuto come modello Vienna: lo può vedere chiunque anche nella architettura pubblica di fine secolo e primo 900, Concergebouw compreso.
Forse anche per questo io sento che i Wiener Philharmoniker sono l'unica orchestra di grande tradizione che non abbia perso la gioia di suonare. I Berliner, anche per la dominante presenza di una personalità, sono diventati negli ultimi tempi una macchina senz'anima.
Ma al Concertgebouw, come ai Berliner, sono possibili certi affondi nel Novecento che i Wiener, per maniacale ossequio alla tradizione, nemmeno concepiscono. A Vienna, sullo stampo della Sinfonia classica, i fiati sono trattati con una tecnica "di ripieno" che non è vostra.
Questo è vero. Da noi esiste una tradizione "di bottega" nella tecnica dei legni e degli ottoni. Non dico che si tramandi di padre in figlio, ma quasi. E' un patrimonio decisamente nostro.
Esistono gruppi strumentali di fiati dai quali l'orchestra attinge veri virtuosi. E questo non permetteremo mai che venga sacrificato in repertori incapaci di valorizzarlo. Nonostante ciò provo sempre al Musikverein un piacere del far musica che da anni non trovo alla Philharmonie. Anche se credo, come per noi del resto, che i Wiener diano senz'altro il meglio di se stessi con un direttore dionisiaco come Bernstein.
I Berliner sono un'orchestra eccellente, pulita, ma senza spirito, sacrificata al dio dell'efficienza.
A causa di Karajan?
Direi proprio di sì.
E anche il festival di Salisburgo versa in condizioni di sclerosi per la stessa causa?
Senz'altro. L'anno scorso ero a colazione con il presidente della Polygram e gli ho detto chiaramente che aspetto solo il giorno in cui poter andare a un festival di Salisburgo senza dischi e ritratti in vetrina. Sono dovute a quella dittatura molte, troppe esclusioni. Non è possibile che un festival nato e vissuto nel segno di Mozart non abbia mai fatto dirigere Harnoncourt. Ma l'elenco dei veti è molto lungo.
E quale uomo vede adatto alla svolta?
Abbado. L'unico che abbia autorità, cultura e aperture per avviare il festival su nuove strade, senza provincialismi.
Ma gli consentiranno, in Austria, di prendere così tanto potere? Possono coesistere i due impegni, a Vienna e a Salisburgo?
Non vedo conflitti. Per quanto ne so, credo proprio che sarà lui il prossimo direttore del festival.

intervista di Carlo Maria Cella (Musica Viva, Anno XIII n.5, maggio 1989)

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