Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, settembre 23, 2006

Ferruccio Busoni: Le Opere per pianoforte (1908-1921)

Il biennio 1908-1909 è un periodo cruciale nel percorso artistico ed umano di Ferruccio Busoni: la pubblicazione delle Elegie e di An die Jugend da un lato, la morte del padre dall'altro, rappresentano un momento significativo e doloroso di crescita ed insieme una definitiva emancipazione artistica dai modelli formali e linguistici ottocenteschi che avevano costituito l'humus di tutta la sua produzione fino ad allora. Del resto è lo stesso Busoni a marcare la nascita di un nuovo stile e un nuovo personale linguaggio scegliendo, per la prima delle Elegie, il titolo Nach der Wendung, cioè 'Dopo la svolta'.
Sembra incredibile, a distanza di quasi un secolo, non solo che i grandi capolavori della maturità busoniana siano più celebrati e ammirati che non eseguiti ed ascoltati, ma soprattutto che l'attenzione della maggior parte dei pianisti si rivolga ancora in misura tanto maggiore alle virtuosistiche trascrizioni bachiane dall'organo (che avevano costituito uno dei cavalli di battaglia del giovane Busoni concertista attorno al 1890) che non ai grandi cicli delle Sonatine e delle Elegie (successivi di un ventennio) e persino alla monumentale Fantasia Contrappuntistica.
A ripensare al bizzarro aneddoto raccontato dal grande pianista e discepolo prediletto Egon Petri, che narrava come una volta la moglie Gerda sia stata presentata da una signora americana quale «Signora Bach-Busoni» (gaffe dovuta all'automatica ed inevitabile associazione di idee tra la figura del grande virtuoso empolese ed il genio di Eisenach) si direbbe che, per la fortuna critica del Busoni compositore, un secolo sia passato in parte invano. E' pur vero, d'altra parte, che l'attuale dilagare di Preludi e fuga in re maggiore e Ciaccone rappresenta un atto di giustizia postumo nei confronti di un Busoni furioso e quasi incredulo alle osservazioni di quella «Società del Quartetto» di Milano che nel 1895, a proposito della natura di trascrizione della celebre Toccata e Fuga in re minore, ebbe l'ardire di dire che «sarebbe meglio non farlo notare sul programma!»
Se dunque le roboanti trascrizioni giovanili sono a tutt'oggi più note di capolavori come il Concerto per pianoforte e orchestra, il Doktor Faust, o la Berceuse Elégiaque, certamente non stupirà l'assenza pressoché totale dalle sale da concerto e dalla produzione discografica anche recente di quei lavori che segnano un radicale mutamento di prospettiva nell'arte della trascrizione di Busoni nonché nel suo rapporto con la produzione bachiana: il Preludio, Fuga e Allegro, la Fantasia, Adagio e Fuga ed infine la Fantasia, Fuga, Andante e Scherzo.
Torniamo per un istante alle grandi Trascrizioni da Concerto - espressione busoniana da intendersi in opposizione a Trascrizioni da Camera - per chiarire come paradossalmente uno dei motivi della loro popolarità risieda proprio nel loro appartenere sia cronologicamente che spiritualmente all'Ottocento. Esse infatti presentano senz'altro un arricchimento di mezzi ed un allargamento di prospettiva rispetto alle analoghe operazioni di Tausig e Bülow, gli elementi di novità vengono però utilizzati per portare al massimo fulgore uno stile ancora basato in larga parte sull'amplificazione della sonorità e l'arricchimento della scrittura pianistica. Il pubblico delle grandi sale percepisce la straordinaria fattura dell'operazione busoniana ed allo stesso tempo si sente gratificato dalla scrittura pianistica di stampo romantico che sontuosamente riveste l'austera struttura delle fughe bachiane.
A partire dal 1908, abbandonando tanta opulenza sonora, Busoni nel suo confronto con i modelli bachiani imbocca come si è detto strade completamente nuove: ecco allora la sovrapposizione del materiale di partenza (è il caso ad esempio del Preludio, Fuga e Fuga figurata), l'estrapolazione di melodie interne altrimenti non intelligibili (come nell'ultimo dei Drei Albumblätter), la citazione tanto esplicita quanto «in maschera» (Fantasia nach Bach), la deformazione e lo «straniamento» per mezzo di alterazioni della linea melodica o per immissione di elementi armonicamente eterogenei (Terza Elegia). Di qui una scrittura talvolta spigolosa, scabra, asciutta e un generale senso di modernità che infatti venne stigmatizzato da un critico proprio a riguardo della Fantasia nach Bach: «nel lavoro c'è un carattere moderno e non bachiano» (Busoni laconicamente osservava «ogni Bue se ne accorge»!).
Si potrebbe obiettare che i brani citati appartengano a tutti gli effetti alla produzione di Busoni, nella quale Bach entra come elemento germinativo di opere originali. L'autore infatti nel pubblicarle le inserisce fra le sue composizioni o Nachdichtungen, cioè libere ricreazioni. Anche rimanendo strettamente nel genere della «trascrizione» si dovrà tuttavia osservare innanzitutto come le Übertragungen (vere trascrizioni da un originale per organo o violino) cedano il passo alle Bearbeitungen (piuttosto riedizioni di opere scritte da Bach per il cembalo, strumento che Busoni sentiva come assolutamente contiguo al pianoforte). Inoltre l'uso di tecniche compositive più complesse che non quello della semplice riscrittura per lo strumento moderno viene introdotto anche nei pezzi catalogati come semplici arrangiamenti: vediamo dunque l'accostamento di opere di origine diversa (nella Fantasia, Fuga, Andante e Scherzo), il completamento (dell'incompiuta Fuga BWV 906 inglobata nella Fantasia, Adagio e Fuga), la presenza di brevi interpolazioni (ancora nella Fantasia, Fuga, Andante e Scherzo) e addirittura lo smontaggio e rimontaccio in altra successione (come nel Preludio, Fuga e Allegro).
Tutte queste nuove tecniche, tanto quelle usate in questi ultimi brani quanto quelle citate in precedenza a proposito dei pezzi originali, sono presenti, non a caso, in quella Fantasia nach Bach che a parere di chi scrive rappresenta, accanto alla Fantasia Contrappuntistica anche se in scala diversa, il punto emotivamente più alto dell'intera produzione pianistica busoniana. Dedicata alla memoria del padre e scritta di getto (se Busoni può definirla «uno dei miei pezzi migliori» già in una lettera a Petri del 26 giugno 1909, a sole cinque settimane dall'evento luttuoso) l'opera nasconde sotto le sembianze appunto della Freie Fantasie una innovativa e rigorosa forma palindromica (realmente percettibile è soltanto la somiglianza delle due parti estreme) che ha nel suo centro un climax tanto lentamente costruito quanto subitamente negato. E' questa forse una delle ragioni per cui il brano è difficile al primo ascolto e svela solo un po' alla volta la sua ruvida e altissima poesia, tanto meglio compresa alla luce del difficile rapporto di Busoni col genitore. Questi infatti, clarinettista di talento ma musicista superficiale, fu marito e padre di presenza incostante e capricciosa, anche se Ferruccio gli riconobbe tra tanti difetti almeno un merito: proprio quello di aver insistito sull'importanza di Bach nell'educazione musicale del figlio.
Il visionario inizio dal tono sommesso ed estremamente scuro, le diverse cellule cromatiche che costituiscono altrettante cifre del dolore e dell'affanno, le «campane» finali, sulle note delle quali l'autore appone le parole «PAX EI!» e la desueta didascalia esecutiva di «riconciliato» e che sembrerebbero un gesto conclusivo di grande pace interiore, poi subito contraddetto dai tre accordi di fa minore che chiudono il brano con una delle più terrificanti rappresentazioni in musica del rantolo di un morente: tutto, in quest'opera, porta il segno di un dolore tale da non poter essere sciolto neanche nella sublimazione artistica e nella completa, abbandonata confessione alla pagina musicale.
Sembra quasi impossibile che solo un mese separi la composizione di questa Fantasia da quella del gioiosissimo Preludio, Fuga e Fuga figurata (poi inserito nella succitata raccolta «An die Jugend») in cui al già virtuosistico originale bachiano che costituisce i quasi due terzi del pastiche (il Preludio e Fuga in re maggiore dal primo libro del Clavicembalo ben temperato) succede come parte finale addirittura la sovrapposizione della fuga al preludio! E' uno «studio» dove il carattere «spiritoso» (entrambe le definizioni sono di Busoni) si intreccia, contrappuntisticamente e pianisticamente, al «diabolico». Il gusto per le possibili sovrapposizioni è presente peraltro in molte delle riflessioni teoriche e durante l'intero arco creativo busoniano, a partire dai lavori giovanili e della prima maturità, come la Fantasia in modo antico, il cui modello per la fuga centrale è tematicamente Mendelssohn (vera e propria citazione è l'allusione al Preludio op 104 n. 2 ) ma dal punto di vista formale di nuovo Bach, la cui Fantasia e Fuga BWV 904 è il riferimento dello stile arcaizzante dell'inizio ma soprattutto della doppia fuga centrale, il cui secondo tema cromatico sembra ricalcato su quello del pezzo per cembalo. La consapevolezza di tante innovazioni, apparentemente poco visibili nella lettura del segno, diventa imprescindibile nella lettura del «senso», nella resa esecutiva e persino nell'ascolto delle trascrizioni qui presentate: sia della semplice Fantasia, Fuga, Andante e Scherzo, sia nei due grandi trittici del Preludio, Fuga e Allegro e della Fantasia, Adagio e Fuga.
Per chiarire la natura dei due trittici sembra opportuno cedere la parola a Busoni, che ad introduzione di quest'ultima composizione scrisse : "I pezzi qui da noi riuniti in un gruppo sono, nella forma originale, indipendenti l'uno dall'altro e possono rimanere separati; ma avendo la Fuga bisogno di un'introduzione, a questo scopo si presta la Fantasia quasi come se vi fosse predestinata". A testimonianza della grandezza del Busoni teorico e musicologo basterebbe questa intuizione straordinaria considerato che, fatto a lui sconosciuto, i due brani sono davvero stati scritti da Bach per essere eseguiti in successione. «L'Adagio poi che abbiamo collocato tra i due pezzi si trova in una sonata scritta dal Bach per violino solo; lo stesso maestro l'ha trascritto per il pianoforte in un modo talmente perfetto che bastarono pochissimi ed insignificanti tratti di penna per adattare la riduzione al moderno pianoforte a coda. [ .. ] La bella copia della Fuga non fu mai terminata, il manoscritto originale non si è trovato, però si assicura che esso conteneva la Fuga tutt'intera». Il manoscritto originale è stato in seguito ritrovato, ma la fuga è realmente incompiuta anche se taluni erroneamente ritengono che si tratti di un caso, rarissimo in Bach, di fuga con il da capo e che pertanto non di incompletezza ma di abbreviazione di scrittura si tratti. «Noi abbiamo provato con tutte le nostre forze di completarla secondo le indicazioni facilmente riconoscibili che ci sono date dalla costrnione del frammento». Incredibile è infatti la mancanza di soluzione di continuità tra frammento e completamento, anzi busoniana sembra già l'esposizione del soggetto: se il debito di ciascun compositore successivo e più di tutti di Busoni nei confronti del Thomaskantor è immenso, abbiamo qui forse iperbolicamente un caso di quel bel paradosso di Borges secondo il quale i geni creano i propri predecessori: il che trasmette il desiderio di suonare queste prime pagine uscite dalla penna di Bach immaginando non il cembalo ma la più visionaria delle sonorità pianistiche busoniane.
Per chiarire il senso del suo intervento sul Preludio, Fuga e Allegro, che è invece il titolo originale di un'opera di Bach concepita probabilmente per liuto ma eseguibile anche per cembalo e per quel cembalo-liuto che Bach prediligeva come «il più soave fra gli strumenti a tastiera», Busoni in nota scrive: «L'esatta ripetizione dell'intera prima parte della Fuga allaf ine della medesima non soddisfa, dal punto di vista artistico, l'autore della presente edizione. Quindi egli si permette la licenza d'attaccare l'Allegro immediatamente alla fine della parte seconda, più animata, della Fuga e di fare poi seguire, dopo l'Allegro, il resto della fuga; così la composizione nel suo insieme apparirà più perfetta come forma, ed il sentimento che la ispira sarà reso con maggiore fedeltà e unità».
«Omaggi postumi», come vengono definiti da Sergio Sablich, i Drei Albumblätter pubblicati nel 1921 raccolgono in un unico fascicolo tre composizioni di periodi e stili diversi, la terza della quali presenta ampie citazioni bachiane tanto nel testo quanto nel titolo («Nello stile di un Preludio-Corale»).
In realtà, elemento finora apparentemente trascurato dagli esegeti, è l'intera raccolta ad essere di fatto posta sotto il segno di Bach, con la più sottile allusione del secondo brano (una atonale fughetta) e soprattutto il quasi esoterico ma sicuro richiamo al corale Jesu, meine Freude che costituisce l'ossatura dell'elegiaco tema del primo dei tre pezzi. Proprio il fil rouge bachiano potrebbe essere tra le ragioni della ripresa di un pezzo di tanto precedente (l'originale, per flauto e pianoforte, era già stato scritto nel 1916) accanto ai due fogli d'album del 1921. In ogni caso, pur avendo del brano d'occasione tanto il titolo quanto la durata, si tratta di composizioni di notevole valore, in mirabile equilibrio fra slancio e malinconia, pervase dal tono profetico tipico della produzione (ma anche della corrispondenza) dell'ultimo Busoni. In una lettera a Petri infatti, a proposito del pezzo che apre la raccolta, il compositore dice dapprima: «Ho trascrittoper pianoforte solo il piccolo foglio d'album, quello che ti piaceva». E subito di seguito aggiunge: «Mi aspetto ancora qualcosa dalla vita e dall'arte, ma bisogna avere coraggio, non chinare mai la testa».
di Andrea Padova ("Orfeo", numero 90. aprile 2005)

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