Gustav Mahler (1860-1911) |
«Con mia Madre mi recai a Dobbiaco» scrisse nel suo libro «Memorie e Lettere di Gustav Mahler», nell'anno 1908 la vedova del Maestro - «per fare un sopraluogo su tutte le case colà disponibili. Trovammo una che sembrò adatta per noi; una spaziosa casa di contadini, fuori del paese, in posizione incantevole. Undici stanze e due bagni, il tutto piuttosto primitivo, ma l'affittammo subito per i mesi estivi. Le due più belle e grandi camere furono scelte per Mahler. Avevamo due grandi pianoforti a coda ed uno verticale per la casina nel bosco. Fu in questa casina che Mahler scrisse negli ultimi tre anni della sua vita il 'Canto della Terra', la nona e frammenti della sua decima sinfonia... ».
Di questa casina nel bosco vorrei parlare. La visitai pochi mesi fa, in occasione di un giro in Alto Adige; volendo porgere un riverente saluto alla memoria del grande musicista, la cui opera, contrastata e trascurata durante la sua vita e per parecchio dopo, oramai ha convinto il pubblico dei due emisferi; di recente anche quello italiano, così difficilmente accessibile all'apprezzamento della musica tedesca postwagneriana e neo-romantica. Proprio durante queste ultime stagioni sinfoniche in diverse grandi nostre città ho sentito accogliere con entusiasmo le opere di Mahler, sempre presentate da insigni direttori d'orchestra, tutti ossessionati dal desiderio di propagare una musica che a loro sembra l'apice della produzione sinfonica del Novecento. Ancora più rimasi dolente perciò di vedere come in terra italiana venga abbandonato all'indifferenza ed al deterioramento un luogo che dovrebbe essere onorato e rispettato dal popolo che ne ha conquistato il terreno.
«In questo posto silenzioso, sulla radura muscosa circondata da alti abeti, finalmente trovò la pace per lavorare» così continua ancora la Signora Mahler. «Dopo una notte di pioggia calda si videro spuntare intorno alla casetta innumerevoli funghetti bianchi. Egli tornò a mezzogiorno commosso, le lagrime negli occhi, attento a non pestare camminando uno solo di quei minuscoli organismi viventi. Lavorò con passione incandescente tutta l'estate a metter in musica le poesie cinesi di Hans Bethge. Sotto la sua penna l'opera crebbe, si amplificò, prese sempre più profondo respiro. Le singole poesie furono collegate mercè interludi orchestrali e l'opera si avvicinò alla forma base della più alta ispirazione Mahleriana, di quella sinfonica. La superstizione di non dover sopravvivere alla composizione di una "Nona" gli impedì di chiamare il lavoro "Sinfonia". Pensò così di giuocare un tiro al destino. Ma la musica creata in quell'estate esprime tutta l'angoscia e la desolazione di un condannato a morte prematura. In origine, all'intera sequenza dei brani fu imposto il nome: «Il Canto della afflizione terrestre». Forse era anche impressionato dal trapasso di Anton Bruckner, quasi suo contemporaneo; quale pochi anni prima dopo aver terminato la sua "Nona", sparì, colpito dall'analogo fatale capriccio della sorte. Ma nell'estate successiva l'impulso di produrre fece superare a Mahler questo sbigottimento e sempre nella medesima casina, compose la sua "Nona"». A finire la "Decima" non arrivò.
In collina sopra Val Pusteria, nella frazione del comune Dobbiaco chiamato Alt-Schluderbach, si può sempre visitare l'abitazione che vide fra le sue pareti le sofferenze e l'estasi del genio creatore. Anzi, si può perfino affittarla. E' sempre proprietà della stessa famiglia di contadini tirolesi da più di quaranta anni fa; c'è chi ricorda ancora il soggiorno del «Signor Direttore» della Hofoper Viennese. Ci stanno i villeggianti durante i periodi di vacanze; chiunque può dormire nel letto di Mahler, suonare il suo pianoforte che è sempre lì, insieme col cassettone ove tenne i suoi spartiti. Nessuna lapide lo ricorda. E la capanna nel bosco è vuota, lurida, colle finestrine cieche e le pareti insudiciate da iscrizioni volgari, anche di quelle di certe coppiette che si godono la solitudine della fitta foresta. Fra le tante altre ne trovai una sola commovente, firmata "N". L'anonimo scrittore aveva copiato le parole di una delle strofe più ispirate del "Canto della Terra", e ci aveva aggiunto «per B. W.». Evidentemente stava rievocando anche l'immagine di Bruno Walter e di qualche indimenticabile esecuzione di questo lavoro offerta dal maestro direttore, amico, discepolo, sommo interprete, cui l'opera risuscitata deve più che a chicchessia, se la sappiamo oggi viva ed ammirata. Quelle righe tracciate col lapis sulla misera tavola di legno testimoniavano che c'era passato uno che ricordava Mahler.
Gli Italiani ebbero sempre comprensione per gli illustri stranieri che scelsero il loro paese per soggiornarvi. Sapevano di dare e ricevere; quando un capolavoro nacque entro i loro confini, seppero apprezzarlo e prima o poi commemorarne la nascita. Ci sono innumerevoli case in Italia adornate di lapidi; tavole di marmo che ricordano - nella lingua più bella e più adatta del mondo per esprimere il rispetto di un grande passato - gli stranieri che ci vissero e lavorarono. Ci sono quelle che ricordano Goethe, Byron, Shelley, i Browning, ci sono le molte dimore di Wagner a Napoli, Sorrento, Roma, Siena, fin a quella a Venezia che doveva essere l'ultima sua terrestre. Tutte queste case conservano la memoria di uomini ed avvenimenti importanti per noi ed anche per le future generazioni.
L'Alto Adige oramai è italiano come lo sono quegli altri luoghi; e colui che visse in quella casina modestissima, parlò la lingua della musica, la lingua che non conosce confini, che parla attraverso le frontiere in termini universali, a tutto ed a tutti. Queste poche righe vorrebbero servire da appello a coloro che hanno l'autorità per decretare, i mezzi per realizzare, ed anzitutto la convinzione del dovere di emanare provvedimenti per salvare la casina ad Alt-Schluderbach dall'irreparabile deperimento. Non ci vorrebbe molto: l'assistenza della Provincia di Bolzano, quella del Comune di Dobbiaco, qualche iniziativa privata che organizzasse a beneficio del progetto concerti con esecuzioni delle opere di Mahler, sia da noi in Italia, sia all'Estero; concerti ai quali certamente i migliori direttori d'orchestra si presterebbero con entusiasmo. Comperare, pulire, assiepare quel pezzettino di terra ombreggiata, spazzare, nettare la casina, le pareti, di fuori e di dentro. Applicare la lapide semplicissima che dice: «Qui visse e lavorò Gustav Mahler... ». Che dice, anche senza parole, il pensiero di Goethe: «Il luogo che abbia accolto un valoroso è sacro; dopo cento anni risuona la sua parola e l'opera al nipote».
articolo di Gisella Selden-Goth, apparso sulla rivista "La Scala" (dicembre, 1952)
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