"Le nostre due orecchie sono separate da una distanza di circa quindici centimetri, mentre i microfoni stereofonici che captano per noi i suoni di un'orchestra in diretta sono talvolta lontani l'uno dall'altro dieci volte tanto. Quindi noi non udiamo stereofonicamente le esecuzioni dal vivo, e la stereofonia - invece di darci «il miglior posto nella sala da concerti» - in realtà è una sorta di poltrona inesistente e onnipresente. (E non è neppure un posto in seno all'orchestra, poiché un'orchestra non percepisce se stessa stereofonícamente). Dico questo però non per criticare la stereofonia, ma per contestare il significato di «alta fedeltà». Fedeltà a che cosa? Ma per quanto la stereofonia possa essere irreale secondo il mio senso, in un altro senso può essere ideale e come tale avere conseguenze importanti. Per dirne una, essa è una sfida alle attuali sale da concerti; come possiamo continuare a preferire una realtà inferiore (la sala da concerti) all'ideale stereofonico?
I1 principio stereofonico per cui la distanza tra gli altoparlanti è il «microfono», invece del microfono stesso, è dimostrato in modo ancora troppo imperfetto dalla maggior parte dei dischi che ho sentito; mi rendevo conto infatti molto piú del passaggio da un altoparlante all'altro che non dello spazio intercorrente. Questo effetto di «ping-pong», in certi generi di musica - quella di Wagner, per esempio - può davvero diventare una distorsione fastidiosa. L'idea acustico-musicale di Wagner a Bayreuth era di giungere a una fusione completa dell'orchestra, di raggrupparla in un tutto unico. La separazione stereofonica, con la sua illusione di spazio orchestrale, è quindi del tutto estranea alle sue intenzíoní musicali. Ma qualsiasi musica puramente armonica - musica che dipenda cioè da fusione e da equilibrio - risentirà dell'eccessivo focalizzare le sue singole parti. In teoria, naturalmente, la registrazione stereofonica dovrebbe essere in grado di ottenere fusione ed equilibrio ma in pratica abbiamo spesso la sensazione che si prova seguendo l'equivalente di una partitura «Arrow» (un'edizione americana di partiture orchestrali in cui si usano frecce per guidare il lettore a seguire ciò che vien fatto apparire come la parte principale), cioè di saltare sui violini quando entrano, o di deviare a mo' di riflettore acustico verso l'entrata dei tromboni.
Ma d'altra parte una distorsione di questo genere non guasta certi tipi di musica polifonica, per la semplice ragione che questa musica è poli-fonica, cioè la si può ascoltare da diverse prospettive uditive. Certa musica polifonica non dipende da un equilibrio armonico circolare e in questo caso siamo persino riconoscenti quando certi brani di costruzione interna vengono improvvisamente fatti risaltare, oppure quando particolari di scrittura contrappuntística vengono messi in rilievo.
La stereofonia ci mette anche in grado di udire il vero effetto di molti tipi di «vera» musica stereofonica, come il Notturno per quattro orchestre di Mozart, per esempio, o i cori spezzati dei veneziani, musica in cui la stereofonia è stata composta piuttosto che congegnata. Vorrei inoltre includere in questa categoria la maggior parte delle opere di Webern, poiché una composizione quale le Variazioni per orchestra Op.30, mi sembra sfrutti il «fattore distanza» e anticipi la nuova idea stereofonica.
La stereofonia ha esercitato la sua influenza anche sulla musica già composta. Su un piano questo equivale allo sfruttamento dell'effetto stereofonico (o meglio, del difetto stereofonico) per mezzo della sua «immissione» artificiale nella musica, creando cioè distanza e separazione con una ri-disposizíone dell'orchestra, ecc..
(Quando ascolto della musica cosí riprodotta, scopro che sto guardando nella direzione del suono, come faccio al Cinerama; perciò «direzione» mi sembra un termine altrettanto buono quanto «distanza» per descrivere l'effetto stereofonico). Gruppen di Stockhausen e Doubles di Boulez sono esempi di questa influenza. Su di un altro piano, i compositori si avvedranno presto di come la stereofonia li obbligherà a costruire nella loro musica una «dimensione centrale» piú interessante.
Non posso contribuire molto sul tema delle attuali tecniche di registrazione stereofonica, ma so qualcosa delle difficoltà che i direttori d'orchestra incontrano per soddisfare le esigenze dei microfoni stereofonici durante le loro sedute di registrazione. La separazione stereofonica era solita richiedere una separazione tra coristi e orchestrali per cui i vari gruppi separati di strumentisti e di cantanti vengono talvolta molto ostacolati nel reciproco ascolto; e inoltre cantanti solisti o gruppi di cantanti, o forse un tamburo particolarmente risonante, devono essere talvolta isolati mediante pannelli, il che rende quasi impossibile l'esecuzione d'insieme.
Ma nonostante tutte le mie riserve sulla stereofonia, so che quando mi ci sarò abituato - abituato al suo volume e alla sua gamma dinamica piú potenti, al suo potere veramente notevole di chiarificazione dei raddoppi orchestrali (che probabilmente era meglio lasciare nell'ombra), alla sua capacità di creare la distanza tra uno strumento vicinissimo e un altro molto lontano - non sarò piú in grado di ascoltare altro.
da "Colloqui con Stravinsky" di Igor Stravinsky e Robert Craft (Einaudi, 1977)
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